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La realizzazione del Nibbana

Lo Yogi che desidera realizzare il Nibbana tenta di conoscere le cose fenomeniche come realmente sono. Con la mente ben concentrata investiga il suo sé ed arriva a scoprire che quella realtà chiamata “Ego – Anima – Sé” non è altro che una effimera composizione di mente e materia – la prima formata da stati mentali fluttuanti che sorgono come risultato dei sensi in contatto con i loro oggetti stimolanti; mentre la seconda formata da forze e caratteristiche che si manifestano in vari fenomeni.

Dopo aver ottenuto una retta visione della reale natura del suo sé, libero da una falsa conoscenza sulla mente e sulla materia, inizia ad investigare la causa di questo “ Ego – Sé”. Realizza che ogni fenomeno mondano, incluso se stesso, viene condizionato da cause presenti remote, e che la sua stessa esistenza è dovuta ad una remota ignoranza (avijja), brama (tahna), attaccamento (upadana), dal Kamma, dal nutrimento fisico (ahara) della vita presente. Da queste cinque cause deriva la sua personalità, e come la sua vita presente è condizionata dalle sue azioni passate, così le sue azioni presenti condizioneranno la sua vita futura.
Così meditando, egli trascende ogni dubbio sul passato, sul presente e sul futuro.

Poi contempla che tutte le cose condizionate sono impermanenti (anicca), soggette alla sofferenza/insoddisfazione (dukkha), e prive di un sé o un’anima immortale (anatta). Scopre che l’esistenza è un mero flusso, un continuo scorrere. Sia nei regni celesti sia in quelli terreni non esiste una reale, perenne e solida felicità.
Tutto ciò che è impermanente è, quindi, soggetto alla sofferenza e dove esiste cambiamento e dolore non vi può essere un ego permanente.

Così assorto in meditazione, un giorno, con sua sorpresa, sperimenta un aura che emana dal suo corpo (obhasa). Sperimenta un immenso piacere, felicità e pace. Ottiene energia e concentrazione. La sua fede religiosa aumenta, la consapevolezza diventa perfetta, e la visione profonda straordinariamente acuta. Scambiando questo stato avanzato di progresso morale per la Vita santa, a causa della presenza dell’aura, sviluppa un’attrazione per questo stato mentale. Presto comprende che queste esperienze sono soltanto un ostacolo per il progresso morale e coltiva, così, la “purezza della Conoscenza” riguarda al “Sentiero e al Non-sentiero” (maggamagga- ñanadassana visuddhi).

Praticando il retto sentiero riprende la sua meditazione contemplando il sorgere ed il morire dei fenomeni condizionati. Di queste due caratteristiche l’ultima si imprime maggiormente nella sua mente, perché il cambiamento risulta più evidente del divenire. Quindi conduce la sua attenzione alla contemplazione della dissoluzione dei fenomeni. Comprende che sia la mente sia la materia, che formano la sua personalità, sono in uno stato di costante flusso, mai uguale. Ottiene la conoscenza che tutti i fenomeni che si dissolvono sono spaventosi. L’intero mondo gli appare come un pozzo pieno di tizzoni ardenti, fonte di pericolo. Poi contempla l’infelicità e la vacuità di questo spaventoso mondo e la sensazione di disgusto che viene a formarsi; così desidera fuggire.

Con questa visione medita di nuovo sulle tre caratteristiche, e quindi diventa completamente indifferente verso tutti i fenomeni condizionati – non avendo più né attaccamento né avversione verso gli oggetti del mondo. Raggiungendo questo stadio di cultura mentale, assume verso i suoi oggetti un particolare comportamento che lo porta a sviluppare una visione penetrante della realtà, e intraprende un’acuta investigazione, la quale, per la prima volta, gli farà realizzare il Nibbana, la sua ultima meta. (…)

(AnuruddhAcariya, Abhidhammattha-Sangaha, Un manuale dell’Abhidhamma. Traduzione di Enzo Alfano.)