Skip to content

Il cuore che ascolta

Estate 2016

Le nostre vite tendono a essere occupate da ogni tipo di attività: fare, aggiustare, smontare e rimontare, per non parlare di tutte le conversazioni da fare, siano esse virtuali, via e-mail, al telefono o faccia a faccia. Sembra che ci sia sempre molto da fare. Anche la nostra pratica di meditazione può essere un tipo di azione sottile e intensa, in quanto ci sforziamo di calmare o concentrare la mente, di sviluppare questo o quello (pazienza, gentilezza, compassione sono in cima alla lista delle cose da sviluppare), frenare o trasformare gli schemi di pensiero negativi, e così via… Ci sono certamente molte cose buone da fare nella meditazione…
Tuttavia, possono sorgere dei problemi se questo è il nostro unico modo di essere: fare e reagire, in uno sforzo continuo per trovare e mantenere un senso di equilibrio interiore o esteriore. Nella nostra pratica buddhista ci viene ricordato che la sofferenza sorge a causa dell’attaccamento a qualsiasi desiderio che le cose vadano diversamente – e cessa quando rinunciamo a quell’attaccamento. Il desiderio e l’attaccamento sono ciò che alimenta una parte significativa delle attività e dei discorsi umani, sia che diciamo le cose ad alta voce, sia che ci limitiamo a mormorare e a brontolare interiormente.
Le domande interessanti che possiamo porci sono: “È possibile avere un desiderio senza provare attaccamento ad esso?” “Come sarebbe?” “Come ci si sentirebbe?” Possiamo anche chiederci: “È possibile notare ed essere pienamente consapevoli di ciò che accade quando un desiderio si è realizzato consapevole di ciò che accade quando un desiderio è stato abbandonato?” Naturalmente la risposta è “Sì”. Questo è possibile – e liberatorio!
Spesso sento dire cose come: “Ma ho tutti questi attaccamenti e tanti desideri. Non riuscirò mai a liberarmene. Sembra senza speranza; questa pratica è troppo difficile per me.” La mia risposta abituale a queste preoccupazioni è qualcosa del tipo: “È proprio così che sembra in questo momento. Va tutto bene, può cambiare… è questo il senso della nostra pratica buddhista.” Tuttavia, in un certo senso, non è qualcosa per cui possiamo fare qualcosa o da cui possiamo pensare di uscire. Nelle ultime settimane sono stata colpita dal livello di ansia espresso da molte persone riguardo al risultato del referendum sull’indipendenza della Scozia. Mentre ci saranno molte persone che ne saranno felici, molti di quelli con cui ho parlato sono profondamente turbati.
Alcuni mi hanno chiesto: “Come possiamo reagire abilmente a questa situazione?”
Uno dei miei mezzi preferiti (upaya) è quello che io chiamo la “mente che non sa”. Funziona riconoscendo che – mentre possiamo avere ogni tipo di idea su ciò che potrebbe accadere e su ciò che è meglio fare – in realtà ci sono momenti in cui semplicemente non lo sappiamo. Quando possiamo permettere che questo senso di non sapere sia presente, accanto al chiacchiericcio interiore di idee, preoccupazioni e strategie, possiamo anche rilassarci in uno spazio del non fare. Invece di obiettare, reagire o sentirsi sopraffatti, questo può offrire uno spazio tranquillo in cui può avvenire un vero ascolto. Tale ascolto è profondamente pacifico; permette un diverso tipo di conoscenza, un diverso tipo di risposta: una capacità di risposta, piuttosto che una mera reattività.
In un campo di preoccupazioni e agitazioni, la presenza di una sola persona capace e disposta a fare questo può fare la differenza. Il cuore che ascolta può aiutare a ristabilire un saggio equilibrio. Invece di aggiungere semplicemente turbolenza, può esserci un sottile assestamento, all’interno del quale si può vedere ciò che è veramente benefico.

Times and the timelessAjhan Candasiri. Tradotto in italiano da Enzo Alfano.

TestoTimes and the Timeless