Così ho sentito. Un tempo il Ven. Lomasakaṁbhiya (Si segue l’edizione tailandese. Le altre edizioni lo chiamano Ven. Lomavaṅgīsa e intitolano il sutta Kaṅkheyya, ‘Dubbio’.) soggiornava tra i Sakya a Kapilavatthu, nella Grande Foresta. Quindi Mahānāma il Sakya si recò da lui e, lì giunto, dopo averlo salutato con rispetto, si sedette a lato. Lì seduto, disse al Ven. Lomasakaṁbhiya: “È vero, venerabile signore, che la dimora (meditativa) di un Tathāgata (Questo termine può essere un epiteto specifico del Buddha o di qualsiasi arahant. Come si evince dalla discussione che segue, in questo caso ha il secondo significato.) è uguale alla dimora (meditativa) di uno che si esercita, oppure la dimora di un Tathāgata è una cosa e la dimora di uno che si esercita un’altra?”
“Non è vero, amico Mahānāma, che la dimora (meditativa) di un Tathāgata sia uguale alla dimora (meditativa) di chi si esercita. La dimora di un Tathāgata è una cosa, mentre la dimora di chi si esercita è un’altra.
Quei monaci novizi, che non hanno ancora raggiunto la meta finale, che dimorano risoluti nell’inesauribile liberazione dalla schiavitù, dimorano abbandonando i cinque ostacoli. Quali cinque? Abbandonano l’ostacolo del desiderio sensuale… l’ostacolo della cattiva volontà… l’ostacolo del torpore e della sonnolenza… l’ostacolo dell’inquietudine e dell’ansia… dimorano abbandonando l’ostacolo del dubbio. Quei monaci novizi, che non hanno ancora raggiunto la meta finale, che dimorano risoluti nell’inesauribile liberazione dalla schiavitù, dimorano abbandonando questi cinque ostacoli.
Ma per quanto riguarda quei monaci che sono arahant, i cui influssi impuri sono terminati, che hanno svolto il compito, deposto il fardello, raggiunto la vera meta, distrutto completamente la catena del divenire, e che sono stati liberati attraverso la retta conoscenza, in loro i cinque ostacoli sono stati distrutti alla radice, resi come un ceppo di palma privato delle condizioni di sviluppo, non destinato a sorgere in futuro. Quali cinque? L’ostacolo del desiderio sensuale è stato distrutto alla radice, reso come un ceppo di palma privato delle condizioni di sviluppo, non destinato a sorgere in futuro. L’ostacolo della cattiva volontà… L’ostacolo del torpore e della sonnolenza… L’ostacolo dell’inquietudine e dell’ansia… L’ostacolo del dubbio è stato distrutto alla radice, reso come un ceppo di palma privo delle condizioni di sviluppo, non destinato a sorgere in futuro. Quei monaci, Mahānāma, che sono arahant, i cui influssi impuri sono terminati, che hanno svolto il compito, deposto il fardello, raggiunto la vera meta, distrutto totalmente la catena del divenire, e che sono stati liberati attraverso la retta conoscenza, in loro questi cinque ostacoli sono stati distrutti alla radice, resi come un ceppo di palma privato delle condizioni di sviluppo, non destinati a sorgere in futuro. E dalla sequenza che segue si può anche sapere come la dimora di un Tathāgata sia una cosa, e la dimora di uno che si esercita sia un’altra.
Un tempo, amico Mahānāma, il Beato soggiornava a Icchānaṅgala, nel boschetto di Icchānaṅgala. Lì si rivolse ai monaci: ‘Monaci, desidero ritirarmi in solitudine per tre mesi. Non dovrò essere avvicinato da nessuno, se non da chi porta il cibo elemosinato.’
“Come desideri, signore.”, gli risposero i monaci. E nessuno si avvicinò al Beato, tranne chi portava l’elemosina.
Allora il Beato, uscito dall’isolamento dopo tre mesi, si rivolse ai monaci: “Monaci, se gli asceti erranti di altre sette vi chiedono: ‘Con quale dimora, amici, l’asceta Gotama, dimorava durante la stagione delle piogge? Voi, così interpellati, dovete rispondere loro in questo modo: ‘Il Beato dimorava con la concentrazione della consapevolezza del respiro’.
C’è il caso, monaci, in cui io attento inspiro (Mentre nella normale formula per la meditazione sul respiro il meditante viene descritto come “sempre attento (sato’va), il Buddha descrive se stesso come attento. Questo, a quanto pare, è un riferimento al fatto che egli è sempre consapevole, quindi non ha bisogno di sottolineare il punto.) e attento espiro.
[1] Inspirando a lungo, io discerno: ‘Sto inspirando a lungo’; o espirando a lungo, io discerno: ‘Sto espirando a lungo’. [2] O inspirando brevemente, io discerno: ‘Sto inspirando brevemente’; o espirando brevemente, io discerno: ‘Sto espirando brevemente’. [3] Io discerno, (Mentre nella normale formula per la meditazione sul respiro, il verbo di questo passo e degli altri è ‘si esercita (sikkhati)’, quando il Buddha parla della propria pratica, dice semplicemente: ‘Io discerno (pajānāmi)‘. Non ha più bisogno di esercitarsi.) ‘Inspirerò sensibile a tutto il corpo’. Io discerno: ‘Espirerò sensibile a tutto il corpo.’ [4] Io discerno: ‘Inspirerò calmando i processi fisici [respirazione interna ed esterna]’. Io discerno: ‘Espirerò calmando i processi fisici’. [5] Io discerno: ‘Inspirerò sensibile all’estasi’. Io discerno: ‘Espirerò sensibile all’estasi’. [6] Io discerno: ‘Inspirerò sensibile al piacere’. Io discerno: ‘Espirerò sensibile al piacere’. [7] Io discerno: ‘Inspirerò sensibile alle formazioni mentali [sensazione e percezione].’ Io discerno: ‘Espirerò sensibile alle formazioni mentali.’ [8] Io discerno: ‘Inspirerò calmando le formazioni mentali’. Io discerno: ‘Espirerò calmando le formazioni mentali’. [9] Io discerno: ‘Inspirerò sensibile alla mente’. Io discerno: ‘Espirerò sensibile alla mente.’ [10] Io discerno: ‘Inspirerò calmando la mente’. Io discerno: ‘Espirerò calmando la mente.’ [11] Io discerno: ‘Inspirerò concentrando la mente’. Io discerno: ‘Espirerò concentrando la mente’. [12] Io discerno: ‘Inspirerò liberando la mente’. Io discerno: ‘Espirerò liberando la mente’. [13] Io discerno: ‘Inspirerò concentrandomi sull’impermanenza’. Io discerno: ‘Espirerò concentrandomi sull’impermanenza’. [14] Io discerno: ‘Inspirerò concentrandomi sulla dissoluzione’. Io discerno: ‘Espirerò concentrandomi sulla dissoluzione’. [15] Io discerno: ‘Inspirerò concentrandomi sulla cessazione’. Io discerno: ‘Espirerò concentrandomi sulla cessazione’. [16] Io discerno: ‘Inspirerò concentrandomi sul distacco’. Io discerno: ‘Espirerò concentrandomi sul distacco’.
Infatti, qualsiasi realtà uno chiami, a ragione, ‘una nobile dimora’, ‘una dimora di brahmā’, ‘una dimora dei Tathāgata’, sarà la concentrazione della consapevolezza del respiro che egli, a ragione, chiamerà ‘una nobile dimora’, ‘una dimora di brahmā’, ‘una dimora dei Tathāgata’.
Quei monaci che stanno praticando, che devono ancora raggiungere la propria realizzazione, che rimangono risoluti sull’inesauribile liberazione dalla schiavitù: quando la concentrazione della consapevolezza del respiro è da loro sviluppata e perseguita, conduce alla fine degli influssi impuri.
Quei monaci arahant, i cui influssi impuri sono terminati, che hanno raggiunto la realizzazione, svolto il compito, deposto il fardello, raggiunto la vera meta, distrutto totalmente la catena del divenire, e sono stati liberati grazie alla retta conoscenza: quando la concentrazione della consapevolezza del respiro è da loro sviluppata e perseguita, conduce a una piacevole dimora qui-e-ora e alla consapevolezza e all’attenzione. Infatti, qualsiasi realtà uno chiami, a ragione, ‘una nobile dimora’, ‘una dimora di brahmā’, ‘una dimora dei Tathāgata’, sarà la concentrazione della consapevolezza del respiro che egli, a ragione, chiamerà ‘una nobile dimora’, ‘una dimora di brahmā’, ‘una dimora dei Tathāgata’.
È con questa sequenza, amico Mahānāma, che si può sapere come la dimora di un Tathāgata sia una cosa, e la dimora di uno che si esercita sia un’altra.”
Traduzione in Inglese dalla versione Pâli di Ṭhānissaro Bhikkhu, Handful of leaves: an Anthology from the Saṁyutta Nikāya © 2014-2021. Tradotto in italiano da Enzo Alfano.
Testo: Samyutta Nikaya