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Origine Dipendente

Nella Luna Piena del mese di Visakha, ormai più di duemilacinquecento anni fa, l’asceta conosciuto come Gotama, già principe Siddharta ed erede al trono dei popoli Sakiya, grazie alla sua piena comprensione della Verità chiamata Dhamma che è questa mente e questo corpo, divenne il Perfetto Perfettamente Illuminato.

La sua Illuminazione o Risveglio, chiamata Sambodhi, abolì in se stesso l’inconsapevolezza e il desiderio, distrusse la brama, l’odio e l’ignoranza nel suo animo, così che “sorse la visione, sorse la superconoscenza, sorse la saggezza, sorse la scoperta, sorse la luce – una penetrazione totale nella mente e nel corpo, la sua origine, la sua cessazione e la via per la sua cessazione che era allo stesso tempo comprensione completa del “mondo,” la sua origine, la sua cessazione e la via per la sua cessazione. Egli penetrò fino alla Verità che sta alla base di tutta l’esistenza. In concentrazione meditativa per tutta una notte, ma dopo anni di sforzi, da ricercatore, divenne “colui che sa, colui che vede”.

Quando venne a spiegare la sua grande scoperta agli altri, lo fece in vari modi adatti alla comprensione di coloro che ascoltavano e adatti ad aiutare ad alleviare i problemi di cui erano gravati.

Con la sua grande saggezza sapeva esattamente quali erano questi problemi, anche se i suoi ascoltatori non ne erano consapevoli, e per la sua grande compassione insegnò il Dhamma a coloro che desideravano deporre i loro fardelli. I fardelli che gli uomini, anzi tutti gli esseri, si portano dietro non sono diversi oggi dal tempo del Buddha. Perché allora come oggi gli uomini erano oppressi dall’inconsapevolezza e dal desiderio. Non conoscevano le Quattro Nobili Verità né l’Origine Dipendente e bramavano il fuoco e il veleno ed erano, allora come oggi, consumati dalle paure. Il Signore Buddha, colui che ha raggiunto la quiete, ha detto:

“Profonda, Ananda, è questa Origine Dipendente, e appare profonda. È per non capire, per non penetrare questa legge che il mondo assomiglia a una matassa di filo aggrovigliato, a un nido intrecciato di uccelli, a un boschetto di bambù e canne, che l’uomo non sfugge alla (nascita nei) regni inferiori dell’esistenza, agli stati di sventura e di perdizione, e soffre del ciclo delle rinascite.”

La non comprensione dell’Origine Dipendente è la radice di tutti le sofferenze sperimentate da tutti gli esseri. È anche la più importante delle formulazioni dell’Illuminazione del Signore Buddha. Per un buddhista è quindi necessario vedere nel cuore di questo per se stesso. Questo non si fa leggendo su di esso, né diventando esperti nelle scritture, né speculando sui concetti propri e altrui, ma vedendo l’Origine Dipendente nella propria vita e venendo a patti con essa attraverso la calma e la visione profonda nella “propria” mente e nel proprio corpo.

“Colui che vede l’Origine Dipendente, vede il Dhamma”.

Ignoranza (avijja)

Rappresentata da un’immagine di una donna cieca che va a tentoni in avanti, incapace di vedere dove sta andando. Così l’ignoranza è cecità, non vedere. È una mancanza di comprensione della realtà delle cose.

Questa parola Pali “avijja” è un termine negativo che significa “non sapere completamente”, ma non significa “non sapere nulla”. Questo tipo di non-sapere è molto speciale e non riguarda i modi o gli argomenti ordinari della conoscenza, perché qui ciò che non si conosce sono le Quattro Nobili Verità, non le si vede chiaramente nel proprio animo e nella propria vita. Nelle vite passate, non ci importava di vedere ‘dukkha’ (1), quindi non potevamo distruggere ‘la causa di dukkha’ (2) o il desiderio che ci ha spinto a cercare sempre più vite, sempre più piaceri. La cessazione di dukkha (3), che forse avrebbe potuto essere vista da noi nelle vite passate, non è stata realizzata, così arriviamo all’esistenza presente inevitabilmente gravati da dukkha. E nel passato non possiamo certo supporre di aver messo i piedi sul “sentiero di pratica che conduce alla cessazione di dukkha” (4) e non abbiamo nemmeno scoperto ‘l’entrata nella corrente’. Ora stiamo pagando per la nostra negligenza nel passato.

E questa inconsapevolezza non è una specie di causa prima nel passato, perché abita nei nostri cuori ora. Ma a causa di questa inconsapevolezza, come vedremo, abbiamo messo in moto questa ruota che porta la vecchiaia e la morte e tutti gli altri tipi di dukkha. Quei “sé” passati nelle vite precedenti che sono nel flusso della mia continuità individuale non hanno controllato il loro desiderio e quindi non hanno potuto tagliare la radice dell’inconsapevolezza. Al contrario, hanno fatto kamma, alcuni dei cui frutti in questa vita presente io, come loro risultato causale, sto ricevendo.

L’immagine ci aiuta a capire questo: una vecchia donna cieca (avijja è di genere femminile) con un bastone si fa strada attraverso una foresta pietrificata cosparsa di ossa. Si dice che l’immagine originale qui dovrebbe essere una vecchia cammella cieca guidata da un conduttore, essendo la bestia abituata a lunghi e faticosi viaggi attraverso un paese inospitale, mentre il suo conduttore potrebbe essere bramoso. Qualunque sia la similitudine usata, l’assenza di inizio e l’oscurità del non sapere sono ben suggerite. Noi siamo i ciechi che hanno barcollato dal passato al presente – verso quale futuro? A seconda dell’esistenza dell’inconsapevolezza nel cuore c’è stata un’azione volitiva, kamma o abhisankhara, fatta in quelle vite passate.

Formazioni mentali (sankhara)

Rappresentate da un vasaio. Proprio come un vasaio forma l’argilla in qualcosa di nuovo, un’azione inizia una sequenza che porta a nuove conseguenze. Una volta messa in moto, la ruota del vasaio continua a girare senza molto sforzo. Allo stesso modo, un’azione crea una predisposizione nella mente.

Le azioni intenzionali hanno il potere latente dentro di loro di dare frutti in futuro – o in una parte successiva della vita in cui sono state compiute, nella vita seguente, o in qualche vita più lontana, ma la loro potenza non si perde nemmeno con il passare degli eoni; e ogni volta che si ottengono le condizioni necessarie affinché il kamma passato possa dare frutti. Ora, nelle vite passate abbiamo fatto kamma, e a causa della nostra ignoranza delle Quattro Nobili Verità siamo stati “proprietari del mondo” e così facendo kamma buono e cattivo ci siamo assicurati l’esperienza continua di questo mondo.

Esseri come questo, ostacolati dall’inconsapevolezza nei loro cuori, sono stati paragonati ad un vasaio che fa vasi: egli fa ceramiche ben riuscite e belle (kamma positivo) e talvolta è negligente e i suoi vasi si rompono e si spezzano per vari difetti (kamma negativo). E la sua argilla viene abbastanza spalmata su se stesso proprio come la purezza del cuore viene oscurata dal fango del kamma. La similitudine del vasaio è particolarmente azzeccata perché la parola ‘Sankhara’ significa “formare”, “modellare” e “comporre”, e quindi è stata spesso resa come “Formazione”.

A seconda dell’esistenza di queste volizioni prodotte nelle vite passate, sorge la Coscienza (connessa) che diventa la base di questa vita presente.

Coscienza (vinnana)

La coscienza di rinascita o “coscienza connessa”, è rappresentata da una scimmia che va di ramo in ramo. Questo rappresenta una singola coscienza che percepisce attraverso i vari organi di senso. La scimmia rappresenta la scintilla molto primitiva della coscienza di senso che è il primo momento della vita mentale del nuovo essere.

Questa coscienza connessa può essere di diverse qualità, secondo il kamma da cui dipende. Nel caso di tutti coloro che leggono questo, la coscienza che “salta” in una nuova nascita al momento del concepimento, era una coscienza connessa umana che sorge come risultato dell’aver praticato almeno i Cinque Precetti, la base dell'”umanità” nelle vite passate. Si dovrebbe notare che questa coscienza connessa è un risultato, non qualcosa che può essere controllato dalla volontà. Se uno non ha fatto il kamma adatto per diventare un essere umano, non può volere, quando arriva l’ora della morte: “Ora diventerò di nuovo un uomo! Il tempo dell’azione intenzionale era quando si aveva la possibilità di praticare il Dhamma. Anche se la nostra coscienza di rinvio in questa nascita è ormai alle nostre spalle, è ora che possiamo praticare il Dhamma e assicurarci una coscienza di rinvio favorevole in futuro, cioè se vogliamo continuare a vivere nel Samsara.

Questa coscienza connessa è il terzo componente necessario per il concepimento, perché anche se è il periodo della madre e lo sperma è depositato nell’utero, se non c’è un “essere” che desidera rinascere in quel luogo e in quel momento non ci sarà la fecondazione dell’ovulo.

Dipendendo dalla connessione della coscienza c’è il sorgere di Mente-Corpo.

Mente-Corpo (namarupa)

Rappresentate da persone sedute in una barca con uno di loro al timone. La barca simboleggia la forma e i suoi occupanti gli aggregati mentali.

Questa non è una traduzione molto accurata, ma dà il significato generale. Nel rupa sono inclusi altri elementi che di solito vengono considerati come corpo, mentre la mente è un composto di sensazione, percezione, volizione e coscienza. La mente e il corpo sono due continuità interattive in cui non c’è nulla di stabile. Sebbene nel linguaggio convenzionale si parli di “mia mente” e “mio corpo”, sottintendendo che c’è una sorta di proprietario in ombra, i saggi capiscono che le leggi governano il funzionamento sia degli stati mentali sia dei cambiamenti fisici e che non si può ordinare alla mente di essere priva di influssi, né al corpo di non invecchiare, ammalarsi e morire.

Ma è nella mente che si può operare un cambiamento, invece di andare alla deriva nella vita in balia dell’instabilità intrinseca di mente e corpo. Nell’illustrazione, quindi, la mente fa il lavoro di condurre la barca degli stati psicofisici sul fiume delle brame, mentre il corpo è il passeggero passivo. L’immagine tibetana mostra una corazzata che viene remata su acque vorticose con altri tre (? o quattro) passeggeri, che senza dubbio rappresentano gli altri gruppi o aggregati (khandha).

Con la nascita della mente-corpo, si verifica la comparsa delle Sei Sfere dei Sensi.

La base dei sei sensi (salayatana)

Rappresentata da una casa con sei finestre e una porta. I sensi sono le “porte” attraverso le quali ci facciamo un’idea del mondo. Ciascuno dei sensi è la manifestazione del nostro desiderio di sperimentare le cose in un modo particolare.

Una casa con sei finestre è il simbolo abituale di questo legame. I sei sensi sono l’occhio, l’orecchio, il naso, la lingua, il tatto e la mente, e sono le basi per la ricezione dei vari tipi di informazioni che ciascuno di essi può raccogliere in presenza delle condizioni corrette. Queste informazioni rientrano in sei voci che corrispondono alle sei sfere: vista, suoni, odori, sapori, cose tangibili e pensieri. Al di là di queste sei sfere di senso e delle corrispondenti sei sfere oggettive, non conosciamo nulla. Tutta la nostra esperienza è limitata dai sensi e dai loro oggetti, mentre la mente è il sesto. I cinque sensi esterni raccolgono dati solo nel presente, ma la mente, il sesto, dove queste informazioni vengono raccolte ed elaborate, spazia attraverso i tre tempi aggiungendo ricordi del passato e speranze e paure per il futuro, oltre a pensieri di vario tipo relativi al presente. Può anche aggiungere informazioni sulle sfere dell’esistenza che sono al di là della portata dei cinque sensi esterni, come i vari cieli, i fantasmi e gli stati infernali. Una mente sviluppata attraverso la meditazione (samadhi) è in grado di percepire questi mondi e i loro abitanti.

Tra le sei sfere di senso esistenti, c’è il Contatto.

Contatto (phassa)

Una coppia che si abbraccia rappresenta il contatto degli organi di senso con gli oggetti. Con questo legame, l’organismo psicofisico inizia a interagire con il mondo. L’impressione sensuale è simboleggiata da un bacio. Ciò indica che c’è un incontro con un oggetto e una sua distinzione prima della produzione della sensazione.

Questo significa il contatto tra i sei sensi e i rispettivi oggetti. Per esempio, quando sono soddisfatte tutte le condizioni necessarie, ossia la presenza di un occhio, di un oggetto visivo, di una luce e che l’occhio sia funzionante e che la persona sia sveglia e rivolta verso l’oggetto, è probabile che si verifichi un contatto visivo, ossia che l’oggetto colpisca la base sensibile dell’occhio. Lo stesso vale per ciascuno dei sensi e per il loro tipo di contatto. Il simbolo tradizionale di questo legame mostra un uomo e una donna che si abbracciano.

In dipendenza dalle impressioni sensuali, nasce la Sensazione.

Sensazione (vedana)

Simboleggiata da un occhio trafitto da una freccia. La freccia rappresenta i dati sensoriali che colpiscono gli organi di senso, in questo caso l’occhio. L’immagine suggerisce in modo molto vivido le forti sensazioni che l’esperienza sensoriale evoca – anche se qui è sottinteso solo il sentimento doloroso, si intende sia quello doloroso che quello piacevole. Anche una condizione molto piccola provoca nell’occhio una grande quantità di sensazioni. Allo stesso modo, indipendentemente dal tipo di sensazione che proviamo, dolorosa o piacevole, siamo guidati e condizionati da essa.

Quando ci sono vari tipi di contatto attraverso i sei sensi, sorgono le sensazioni che sono la risposta emotiva a quei contatti. Le sensazioni sono di tre tipi: piacevoli, dolorose e né piacevoli né dolorose. Le prime sono benvenute e sono alla base della felicità, le seconde sono sgradite e sono alla base di dukkha, mentre le terze sono le sensazioni neutre che sperimentiamo spesso ma di cui non ci accorgiamo.

Ma tutte le sensazioni sono impermanenti e soggette a cambiamenti, perché nessuno stato mentale può rimanere in equilibrio. Anche i momenti di massima felicità, qualunque cosa noi consideriamo, passano e lasciano il posto ad altri. Quindi anche la felicità impermanente basata su sensazioni piacevoli è in realtà dukkha, perché come si può trovare la vera felicità immutabile nell’instabilità? L’immagine mostra un uomo con gli occhi trafitti da frecce, un’illustrazione abbastanza forte.

Quando nascono le sensazioni, si producono (di solito) le brame.

Brama (tanha)

Rappresentata da una persona che beve birra. Anche se fa male, non importa quanto si beve, si continua a bere. Conosciuta anche come attaccamento, è un fattore mentale che aumenta il desiderio senza alcuna soddisfazione.

Fino a questo punto, la successione degli eventi è stata determinata dal kamma passato. Il desiderio, tuttavia, porta alla creazione di nuovo kamma nel presente ed è possibile ora, e solo ora, praticare il Dhamma. Ciò che è necessario in questo caso è la consapevolezza (sati), perché senza di essa non si può praticare alcun Dhamma, mentre si verrà travolti dalla forza delle abitudini passate e si lascerà che la brama e la non conoscenza aumentino nel proprio cuore. Quando si ha la consapevolezza, si può e si può sapere “questa è una sensazione piacevole”, “questa è una sensazione spiacevole”, “questa non è né piacevole né spiacevole” – e tale contemplazione delle sensazioni porta a comprendere e a guardarsi dalla brama, dall’odio e dall’ignoranza, che sono rispettivamente associate alle tre sensazioni. Con questa conoscenza si può uscire dalla ruota della nascita e della morte. Ma senza questa pratica del Dhamma è certo che le sensazioni porteranno ad altre brame e ci faranno girare intorno a questa ruota piena di dukkha. Come ha detto il venerabile Nagarjuna:

“I desideri hanno solo una dolcezza superficiale,
la durezza all’interno e l’amarezza ingannevole come il frutto del kimpa.
Così dice il Re dei conquistatori.

Tali legami rinunciano a vincolare il mondo
all’interno della griglia della prigione del samsara.
Se la tua testa o il tuo vestito prendessero fuoco
in fretta e furia lo spegneresti.
Fai lo stesso con il desiderio.

La ruota della trasmigrazione gira sempre
ed è la radice della sofferenza.
Non c’è cosa migliore da fare!”

In sanscrito, la parola trisna (tanha) significa sete e, per estensione, implica “sete di esperienza”. Per questo motivo, la brama è raffigurata come un uomo che tracanna alcolici e nell’immagine sono state aggiunte altre bottiglie che rappresentano la brama per l’esistenza nella sfera sensuale e la brama per i cieli superiori dei mondi di Brahma, che sono di forma sottile o senza forma.

Dove si produce il kamma dell’ulteriore brama sorge l’Attaccamento.

Attaccamento (upadana)

Rappresentato da una scimmia che cerca un frutto. Conosciuto anche come “aggrapparsi”, significa afferrare mentalmente un oggetto che si desidera.

È lo stato mentale che si aggrappa o afferra l’oggetto. A causa di questo aggrapparsi, che viene descritto come brama in alto grado, l’uomo diventa schiavo della passione.

L’upadana è quadruplice: 1. Attaccamento ai piaceri sensuali; 2. Attaccamento a visioni errate e malvagie; 3. Attaccamento alle mere osservanze esterne, ai riti e ai rituali; e 4. Attaccamento a se stessi, un’idea erronea di vita. Attaccamento al Sé, un’entità animica erronea e duratura. L’uomo nutre pensieri di desiderio che, se non riesce a ignorarli, crescono fino a intensificarsi fino a diventare un tenace attaccamento.

Si tratta di un’intensificazione e di una diversificazione del desiderio che è diretto a quattro scopi: i piaceri sensuali, le opinioni che portano fuori dal Dhamma, i riti e i voti religiosi esterni e l’attaccamento alla visione dell’anima o del sé come permanente. Quando questi aspetti diventano forti, le persone non possono nemmeno interessarsi al Dhamma, perché i loro sforzi sono diretti lontano dal Dhamma e verso il dukkha. La reazione comune è quella di raddoppiare gli sforzi per trovare pace e felicità tra gli oggetti che vengono afferrati. Per questo entrambe le immagini mostrano un uomo che si allunga per raccogliere altri frutti, anche se il suo cesto è già pieno.

Dove si trova l’afferrare, lì si vede il divenire.

Divenire (bhava)

Rappresentato da una donna in tarda gravidanza. Proprio quando sta per dare alla luce un bambino completamente sviluppato, il kamma che produrrà la vita successiva è pienamente potenziato, anche se non ancora manifesto.

Con i cuori che ribollono di brama e di desiderio, le persone si assicurano sempre di più vari tipi di vita, accumulando il combustibile sul fuoco di dukkha. La persona comune, non conoscendo dukkha, vuole alimentare la fiamma, ma il metodo buddhista consiste nel lasciare che il fuoco si spenga per mancanza di combustibile, interrompendo il processo di bramosia e di attaccamento e tagliando così l’ignoranza alla radice. Se vogliamo rimanere nel samsara, dobbiamo essere diligenti e fare in modo che il nostro “divenire”, che avviene in continuazione plasmato dal nostro kamma, sia “divenuto” nella giusta direzione. Questo significa “divenire” nella direzione della purezza e seguire il sentiero puro della pratica del Dhamma. Ciò contribuirà a qualsiasi cosa diventiamo o non diventiamo alla fine di questa vita, quando le vie verso i vari regni saranno aperte e noi “diventeremo” in base alla nostra pratica e alla nostra coscienza della morte.

In presenza del Divenire c’è il sorgere di una nuova nascita.

Nascita (jati)

Questo legame è rappresentato dall’immagine molto esplicita di una donna che dà alla luce un bambino.

La nascita significa la comparsa dei cinque aggregati (forma materiale, sensazione, percezione, formazione mentale e coscienza) nel grembo della madre.

La nascita, come ci si potrebbe aspettare, è mostrata come una madre nel processo del parto, un’attività dolorosa e un promemoria di come dukkha non possa essere evitata in nessuna vita. Qualunque sia la vita futura, se non siamo in grado di fermare la ruota in questa vita, certamente quel futuro sorgerà condizionato dal kamma compiuto in questa vita. Ma non serve a nulla pensare che, dato che ci saranno nascite future, si può anche rimandare la pratica del Dhamma fino ad allora, perché non si sa con certezza come saranno queste nascite future. E quando arrivano, sono solo il momento presente. Quindi è inutile aspettare!

Il venerabile Nagarjuna dimostra che è meglio estraniarsi:

“Quando la nascita ha luogo,
naturalmente ci sono paura,
vecchiaia e sofferenza,
malattia, desiderio e morte,

così come una massa di altri mali.
Quando la nascita non avviene più,
tutti i legami si interrompono.”

Naturalmente, dove c’è la nascita, c’è anche la vecchiaia e la morte.

Vecchiaia e Morte (dukkha)

L’ultimo anello è rappresentato da una persona morente. L’invecchiamento è sia progressivo, che avviene in ogni momento della nostra vita, sia degenerativo, che porta alla morte.

In futuro ci si assicura, se si dispone di una quantità sufficiente di Inconsapevolezza e Brama, una vita senza fine ma anche una morte con fine. L’uno attira l’avidità, l’altro suscita l’avversione. L’uno senza l’altro è impossibile. Ma questo è il sentiero della noncuranza. Il sentiero del Dhamma conduce direttamente all’assenza di morte, all’andare oltre la nascita e la morte, oltre ogni dukkha.

Siamo ben esortati dalle parole di Acharya Nagarjuna:

“Esercitati dunque:
Cerca sempre di penetrare nel cuore di queste Quattro Verità;
Perché anche coloro che vivono a casa,
con la loro comprensione guaderanno il fiume delle inondazioni (mentali).”

Questo è un brevissimo schema del funzionamento di questa ruota a cui ci attacchiamo per il nostro male e per il male degli altri. Siamo noi gli artefici di questa ruota e i suoi ingranaggi, ma se lo vogliamo e lavoriamo per questo, siamo noi che possiamo fermare questa ruota.

Conclusione

Questa Ruota della Vita ci insegna e ci ricorda molte caratteristiche importanti del Dhamma, come era nelle intenzioni dei maestri di un tempo. La contemplazione frequente di tutte le sue caratteristiche ci aiuta a comprendere veramente la natura del Samsara. Con il suo aiuto e la nostra pratica arriviamo a vedere l’insorgere della dipendenza in noi stessi. Quando questo è stato fatto a fondo, tutte le ricchezze del Dhamma saranno a nostra disposizione, non da libri o discussioni, né dall’ascolto di spiegazioni altrui…

Il Buddha Eccelso ha detto:

“Chiunque veda l’Origine Dipendente, vede il Dhamma;
Chiunque veda il Dhamma, vede l’Origine Dipendente”.

Anicca vata sankhara
uppada vayadammino
Uppajjitva nirujjhant
tesam vupasamo sukho.

Le condizioni sono realmente transitorie
Con la natura del sorgere e del cessare
Dopo essere sorte, scompaiono
Il loro placarsi e cessare è felicità.”

Bhikkhu Khantipalo. Tradotto in italiano da Enzo Alfano.