Questo ho sentito. Una volta il Sublime, girando per la terra di Kosalo con una grande comitiva di monaci, giunse ad un villaggio di brâhmani chiamato Opâsâdam. Ora il Sublime dimorava a settentrione di Opâsâdam, nella selva divina, nella selva di alberi sâla. In quel tempo, nella fiorente Opâsâdam, ricca di prati, campi ed acque, concessa in donazione ai brâhmani dal re Pasenadi del Kosalo, viveva il brâhmano Cankî. I padri di famiglia brâhmani sentirono: “L’asceta Gotamo, discendente dei Sakya, che ha rinunciato alla loro eredità, è qui giunto con una grande comitiva di monaci. Egli è ovunque accolto come un perfetto Svegliato, esperto del mondo, incomparabile guida degli uomini e degli dèi. Egli mostra questo mondo con i suoi dèi, coi suoi cattivi e buoni spiriti, con le sue schiere di asceti e sacerdoti, dèi e uomini, dopo averlo egli stesso conosciuto e sperimentato. Egli espone la chiara dottrina benefica in principio, in mezzo ed in fine; ed illustra la santa vita perfettamente purificata e rischiarata. Beato chi può vedere tali santi!”
Cankî il sacerdote s’era messo a riposare nella veranda della sua casa, quando vide i padri di famiglia brâhmani uscire a frotte dal villaggio e dirigersi a settentrione verso la selva divina, la selva di alberi sâla, e chiese al custode cosa stava accadendo. Il custode gli disse che era giunto il notissimo e stimato asceta Gotamo, e che molti stavano andando a fargli visita. Cankî mandò il custode a dire che lo aspettassero perché voleva andare anche lui.
In quel periodo circa cinquecento brâhmani erano convenuti da diverse contrade ad Opâsâdam per certi impegni, e, sentendo che Cankî voleva recarsi dall’asceta Gotamo, andarono da lui per dissuaderlo: “Non voglia il signore Cankî fare visita all’asceta Gotamo! Non conviene che egli lo faccia, dovrebbe piuttosto essere l’asceta Gotamo a visitare il signore Cankî! Egli infatti è doppiamente ben nato da madre e da padre, puramente concepito, fin dalla settima generazione ascendente immacolato nel lignaggio. Egli è ricco, gran signore, gran proprietario: egli è un ultraconoscitore dei tre Veda nelle parole, nei riti, nella scienza dei suoni e delle forme, nelle quintuple leggende: un commentatore ed esegeta fornito, agli occhi del mondo, di tutti gli attributi di un grande uomo: egli è prestante, ammirevole, amabile, dotato di somma bellezza, di puro colore, di pura voce, ben degno d’essere visto: egli è virtuoso, è un buon parlatore dotato di parola civile, chiara, non inceppata, atta ad istruire: egli è il maestro dei maestri di molti ed insegna a trecento discepoli: egli è apprezzato, stimato, onorato, riverito e venerato dal re Pasenadi e dal sacerdote Pokkharasâti.”
Cankî rispose così a quel discorso: “Vi spiegherò per quale ragione conviene proprio a noi andare a visitare il signore Gotamo, e non il contrario. L’asceta Gotamo è doppiamente ben nato da madre e da padre al pari di me ed è di lignaggio ineccepibile. Egli rinunciando a molte ricchezze è divenuto mendicante; ancor giovane, splendente di capelli neri, nel possesso della bella giovinezza, nel fiore della virilità, ha rinunciato alla casa per la mendicità, e lo ha fatto contro il desiderio dei genitori gementi e piangenti, radendo capelli e barba, indossando l’abito fulvo. Egli è prestante, di bell’aspetto, amabile, di puro colore, di pura voce, ben degno d’esser visto; è virtuoso; è un buon parlatore; è il maestro dei maestri di molti; è privo di desideri, libero da passioni; egli crede nell’azione, crede nell’opera, espone ciò che non è male agli esseri desiderosi di santità. Egli si è distaccato da nobile gente, da antica gente guerriera; si è staccato da gente ricca, da grandi signori e proprietari. A lui vengono le genti da lungi e d’oltre regno per fare domande; in lui diverse migliaia di dèi hanno preso per la vita rifugio. Egli è salutato ovunque con esultanza nel modo che ben conoscete; è fornito dei trentadue attributi di un grande uomo; in lui hanno preso rifugio il re di Magadhâ, Seniyo Bimbisâro, il re Pasenadi di Kosalo, il sacerdote Pokkharasâti, tutt’e tre con le loro mogli e figli. Egli è giunto ad Opâsâdam, e qualsiasi asceta e sacerdote che venga nel nostro villaggio è nostro ospite, e gli ospiti sono da noi stimati, onorati, riveriti e venerati; così sarà pure dell’asceta Gotamo. Tanto io so, signori, del pregio del signore Gotamo; egli ha immenso pregio. Per ognuna di queste ragioni non conviene che egli venga a far visita a noi: proprio noi invece dobbiamo andare da lui. Allora, signori, andiamo tutti insieme a visitare il signore Gotamo!”
E allora Cankî il sacerdote, insieme ad una grande comitiva di brâhmani, si recò là dov’era il Sublime, scambiò con lui i convenevoli d’uso e si sedette accanto. Proprio allora il Sublime terminava un notevole discorso con maturi e venerandi brâhmani, tra i quali un giovane brâhmano di nome Kâpathiko, da poco tonsurato, appena sedicenne, ma ultraconoscitore dei tre Veda e fornito agli occhi del mondo di tutti gli attributi di un grande uomo. Questi, mentre il Sublime ragionava con i venerandi brâhmani, interrompeva di continuo la discussione. Allora il Sublime lo ammonì: “Non interrompa l’on. Bhâradvâjo di continuo la discussione: ne aspetti la fine!”
A queste parole Cankî il sacerdote si rivolse al Sublime dicendo: “Non ammonisca il signore Gotamo il giovane Kâpathiko! Egli è di sangue gentile, è buon parlatore, è dotto ed è in grado di discutere col signore Gotamo sopra ogni argomento.”
Allora il Sublime pensò: ‘Certamente il giovane avrà compiuto lo studio dei tre Veda: perciò i brâhmani lo stimano tanto.’ Ed il giovane Kâpathiko pensò: ‘Quando l’asceta Gotamo mi guarderà negli occhi, gli proporrò una questione.’
Il Sublime allora, percependo in spirito il pensiero e l’intenzione del giovane, diresse gli occhi verso di lui, e il giovane disse: “Per ciò che riguarda i versi degli antichi testi brâhmanici, trasmessi per tradizione orale come un cofano di mano in mano, i brâhmani concordano in questo: ‘Questo solo è verità, stoltezza il resto.’ Che pensa il signore Gotamo di ciò?”
“Che credi però Bhâradvâjo: vi è tra i brâmani anche uno solo d’essi che abbia detto: ‘Io lo so, io lo vedo: questo solo è verità, stoltezza il resto!’ ?”
“No di certo, Gotamo!”
“Lo ha forse detto un maestro, o un maestro dei maestri, fino alla settima generazione antecedente di maestri?”
“No, Gotamo!”
“Che credi: hanno detto così quelli che furono in origine i vati dei brâhmani, gli autori e gli annunciatori dei testi; quelli i cui antichi versi da essi cantati, recitati, raccolti, sono ora qui dai brâhmani ricantati e sempre di nuovo recitati e successivamente trasmessi e insegnati. Quei vati come Atthako, Vâmako, Vâmadevo, Vessâmitto, Yamataggi, Angiraso, Bhâradvâjo, Vasettho, Kassapo, Bhagu: anche loro hanno detto proprio: ‘Noi lo sappiamo, noi lo vediamo: questo solo è verità, stoltezza il resto!’ ?”
“No davvero, Gotamo!”
“Così dunque, Bhâradvâjo, non vi è nessuno che abbia pronunciato quell’affermazione. Così come in una fila di ciechi l’un l’altro attaccati, il primo non vede, il medio non vede e l’ultimo non vede: così mi pare sia il parlare dei brâhmani in cui il primo non vede, il medio non vede e l’ultimo non vede. Non appare dunque infondata la fede nei brâhmani?”
“Non solo per fede, Gotamo, si seguono i brâhmani: essi si seguono anche per tradizione.”
“Prima dunque hai parlato di fede: ora poi parli di tradizione. Cinque cose vi sono in questo mondo che hanno due aspetti: fede, devozione, tradizione, attenta riflessione e tolleranza di false concezioni. Si può anche avere fede in una cosa, ed essa è vacua, vana e falsa; e si può anche non avere fede in una cosa, ed essa è reale, vera ed esatta. Si può anche avere devozione, tradizione, attenta riflessione e tolleranza di false concezioni in una cosa: ed essa è vacua, vana e falsa; e si può anche non avere devozione, tradizione, attenta riflessione e tolleranza di false concezioni in una cosa: ed essa è reale, vera ed esatta. La verità, Bhâradvâjo, ricercata da un uomo intelligente, non fa trovare subito unilateralmente la conclusione: ‘Questo solo è verità, stoltezza il resto!’ “
“Come dunque, Gotamo, si ricerca la verità?”
“Se un uomo ha fede e, dicendo ‘tale è la mia fede’, ricerca la verità e non ne trae subito unilateralmente la conclusione: ‘Questo solo è verità, stoltezza il resto!’ Se un uomo ha devozione, tradizione, attenta riflessione e tolleranza di false concezioni e, dicendo ‘tale è la mia devozione, la mia tradizione, la mia attenta riflessione e tolleranza di false concezioni’, ricerca la verità e non trae subito unilateralmente la conclusione: ‘Questo solo è verità, stoltezza il resto!’ Così si ricerca la verità: ma non per questo si ha la comprensione della verità.”
“E come si comprende la verità?”
“Ecco, un monaco mendicante dimora presso un villaggio o un borgo, e lo visita un padre di famiglia o un suo figlio, e lo esamina su tre cose: brama, avversione ed errore: ‘Vi è forse in questo onorevole tale brama per cui egli, dominato da siffatte brame, non sapendo dica ‘io so’, non vedendo dica ‘io vedo’ ed ecciti gli altri in modo tale che ad essi ciò riesca lungamente di danno e dolore?’ E, avendolo così esaminato, egli riconosce: ‘Non vi è in questo onorevole tale brama ed egli non si comporta in quel falso e nocivo modo. La condotta e la parola di questo onorevole è quella di un non bramoso. E la dottrina che questi espone, è profonda, difficile da scoprire, da comprendere, buona, preziosa, inescogitabile, intuibile, accessibile ai sapienti: non può questa dottrina essere bene esposta da un bramoso’. Avendolo riconosciuto puro di brama, allora egli lo esamina ulteriormente sull’avversione.
‘Vi è forse in questo onorevole tale avversione che egli, con l’animo dominato da siffatte avversioni, non sapendo dica ‘io so’, non vedendo dica ‘io vedo’ ed ecciti gli altri in modo tale che ad essi ciò riesca lungamente di danno e dolore?’ E, avendolo così esaminato, egli riconosce: ‘Non vi è in questo onorevole tale avversione che egli, con l’animo dominato da siffatte avversioni, non sapendo dica ‘io so’, non vedendo dica ‘io vedo’ ed ecciti gli altri in modo tale che ad essi ciò riesca lungamente di danno e dolore. La condotta e la parola di questo onorevole è quella di un non astioso. E la dottrina che questi espone, è profonda, difficile da scoprire, da comprendere, buona, preziosa, inescogitabile, intuibile, accessibile ai sapienti: non può questa dottrina essere bene esposta da un astioso.’ Avendolo riconosciuto puro di astio, allora egli lo esamina ulteriormente sull’errore.
‘Vi è forse in questo onorevole tale errore che egli, con l’animo dominato da siffatti errori, non sapendo dica ‘io so’, non vedendo dica ‘io vedo’ ed ecciti gli altri in modo tale che ad essi ciò riesca lungamente di danno e dolore?’ E, avendolo così esaminato, egli riconosce: ‘Non vi è in questo onorevole tale errore che egli, con l’animo dominato da siffatti errori , non sapendo dica ‘io so’, non vedendo dica ‘io vedo’ ed ecciti gli altri in modo tale che ad essi ciò riesca lungamente di danno e dolore. La condotta e la parola di questo onorevole è quella di un non soggetto ad errore. E la dottrina che questi espone, è profonda, difficile da scoprire, da comprendere, buona, preziosa, inescogitabile, intuibile, accessibile ai sapienti: non può questa dottrina essere bene esposta da un ignorante.’
Avendolo riconosciuto privo di errore, allora fonda su di lui la sua fiducia; divenuto fidente lo segue dappresso; seguendolo gli dà ascolto; dandogli ascolto sente la dottrina; sentendo la dottrina ne ritiene i princìpi; dei princìpi ritenuti investiga l’essenza; investigandone l’essenza, i princìpi gli danno l’intuizione; dall’intuizione dei princìpi sorge la loro approvazione; sorta l’approvazione li valuta; valutando li pondera; ponderandoli si esercita; esercitandosi strenuamente realizza di fatto la somma verità, e penetrandola la percepisce. Così, Bhâradvâjo, si comprende la verità, ma non per questo si ha il conseguimento della verità.”
“Come però, Gotamo, si consegue la verità?”
“Il perseguimento, lo svolgimento e l’accrescimento di quei princìpi appunto danno il conseguimento della verità.”
“Per il conseguimento della verità, però, quale cosa è più importante?”
“Lo strenuo esercizio è la cosa più importante. Chi non sa strenuamente esercitarsi, non può conseguire la verità.”
“Per lo strenuo esercizio quale cosa è più importante?”
“Per lo strenuo esercizio la ponderazione è la cosa più importante. Chi non sa ponderare, non può strenuamente esercitarsi.”
“Per la ponderazione quale cosa è più importante?”
“Per la ponderazione la valutazione è la cosa più importante. Chi non sa valutare, non può ponderare.”
“E per la valutazione?”
“Per la valutazione è importante l’approvazione.”
“E per l’approvazione?”
“È importante l’intuizione.”
“E per l’intuizione?”
“È importante l’investigazione dell’essenza.”
“E per l’investigazione dell’essenza?”
“È importante la comprensione della dottrina.”
“E per la comprensione della dottrina?”
“È importante l’audizione della dottrina.”
“E per l’audizione della dottrina?”
“È importante dare ascolto.”
“E per dare ascolto?”
“È importante seguire.”
“E per seguire?”
“È importante stare vicino.”
“E per stare vicino?”
“È importante la fiducia perché chi non ha fiducia non può stare vicino.”
“Noi abbiamo interrogato il signore Gotamo sulla ricerca della verità; sulla comprensione della verità; sul conseguimento della verità; sulle cose più importanti per il conseguimento della verità, ed egli, qualunque cosa gli abbiamo chiesto, ce l’ha spiegata. E ciò ci è piaciuto e ci ha appagato, e noi ne siamo contenti. Noi prima pensavamo: ‘Che sono questi zucconi di asceti spregevoli, bassi e pedestri? Che sanno essi di dottrina?’ Ed ecco che il signore Gotamo mi ha fatto veramente concepire affetto, grazia e rispetto ascetico per gli asceti! Benissimo, Gotamo, benissimo! Così come se si raddrizzasse ciò che era rovesciato, o si scoprisse ciò che è nascosto, o si mostrasse la via a chi s’è perso, o si portasse luce nell’oscurità: ‘chi ha occhi vedrà le cose’; così appunto è stata dal signore Gotamo in vari modi esposta la dottrina. E così io prendo rifugio presso il signore Gotamo, presso la Dottrina e presso l’Ordine dei mendicanti. Quale seguace voglia il signore Gotamo considerarmi da oggi per la vita fedele.”
Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Testo: Majjhima Nikaya