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MN 94: Gothamukha Sutta – Gothamukho

Questo ho sentito. Una volta l’on. Udeno dimorava presso Benâres, nel bosco di mango di Khemiyo. In quel tempo il brâhmano Gothamukho era giunto a Benâres per un certo affare, e, facendo una passeggiata per diporto, pervenne là dove si trovava l’on. Udeno proprio mentre quest’ultimo faceva una passeggiata all’aria aperta. Il brâhmano Gothamukho si avvicinò, scambiò con lui amichevoli convenevoli e, camminandogli accanto, disse: “Asceta, non esiste, credo, un vero mendicante religioso: perché di tali signori non se ne vedono!”

A queste parole l’on. Udeno, cessando di passeggiare, si recò nella sua cella ed ivi si sedette. E il brâhmano Gothamukho lo seguì. Allora l’on. Udeno disse: “Vi sono dei sedili, sacerdote: siediti se vuoi.”

“Questo appunto aspettavamo dal signor Udeno; come potrebbe un mio pari pensare a sedersi prima di essere invitato?” E, presa una sedia più bassa, si sedette accanto e ripeté: “Asceta, non esiste, credo, un vero mendicante religioso: perché di tali signori non se ne vedono!”

“Se tu, sacerdote, acconsentirai in ciò che è accettabile, riproverai ciò che è riprovevole, e di ciò che non intenderai del mio discorso mi richiederai: ‘Com’è questo, Udeno; qual è il senso di ciò?’; allora potrà esservi tra noi una discussione.”

“Così sia. Vi sia tra noi una discussione!”

“Quattro tipi di esseri, sacerdote, vi sono nel mondo: ecco, uno è tormentatore di se stesso; uno è tormentatore degli altri; un altro è tormentatore di se stesso e degli altri; ed ecco però uno che non è tormentatore né di sé né degli altri. Costui, già in vita spento, estinto, si sente beato, con l’animo santificato. Di questi quattro tipi, sacerdote, quale attrae il tuo cuore?”

“Gli altri no, ma quello che non è tormentatore né di sé né degli altri, attrae il mio cuore!”

“Ma perché quei tre tipi non attraggono il tuo cuore?”

“Perché il tormentatore di se stesso si tortura, pur amando il piacere ed aborrendo il dolore; ed anche il tormentatore degli altri tortura chi ama il piacere ed aborre il dolore; e quel tipo che tormenta se stesso e gli altri, anche lui si tortura e tortura gli altri, pur amando lui e gli altri il piacere ed aborrendo il dolore. Però quel tipo non tormentatore di se stesso né tormentatore degli altri, già in vita spento, estinto, in sé beato, con l’animo santificato non si tortura e non tortura gli altri che amano il piacere ed aborrono il dolore; perciò costui attrae il mio cuore.”

“Due classi vi sono, sacerdote: una avidamente bramosa che desidera ornamenti e gioielli, desidera moglie e figli, servi e serve, casa e campi, oro e argento. L’altra classe però, non avida ne bramosa, lasciando moglie e figli, servi e serve, casa e campi, oro e argento, rinunzia alla casa per la mendicità. Ora, quel tipo che non tormenta se stesso né gli altri, in quale classe lo vedi più di frequente: nella prima classe che ho nominato, o nella seconda?”

“Lo vedo più di frequente, Udeno, nella seconda classe che, lasciando tutto, rinunzia alla casa per la mendicità.”

“Poc’anzi però tu hai detto: ‘Asceta, non esiste, credo, un vero mendicante religioso: perché di tali signori non se ne vedono!”

“Veramente, Udeno, quelle parole dette da me non sono da prendersi in considerazione. Esiste il vero mendicante religioso: così ritengo; e voglia in ciò il signore Udeno credermi! Quei quattro tipi enunciati in breve, non descritti per esteso, sia così buono il signore Udeno da descrivermeli per esteso, mosso da compassione!”

“Allora, sacerdote, ascolta e fa’ ben attenzione a quello che dirò.”

“Sì, signore!”

“Qual è dunque, sacerdote, il tormentatore di se stesso? Ecco, uno è un asceta ignudo, uno svincolato, un leccatore di mano, uno che non va, che non sta, che non accetta offerta, non favore, non invito; egli nel ricevere l’elemosina non spia verso la pentola, non verso il piatto, non oltre la soglia, non sopra la grata, non dentro il caldaio; non prende da chi mangia doppio, non da una incinta, non da una che allatta, non da una che è appena stata con un uomo; non da sudici, non dove sta un cane, non dove ronzano mosche; non mangia carne né pesce, non beve vino né liquore né birra. Egli va per l’elemosina ad una casa per un boccone, a due case per due bocconi, a sette case per sette bocconi; si sostenta con la carità di una sola largitrice, di due largitrici, di sette largitrici; prende il cibo solo una volta al giorno, solo ogni due giorni, solo ogni sette giorni: così mutando si dedica a questo esercizio di digiuno esteso sino a mezzo mese. Egli si nutre di erbe o di funghi o di riso o di grano selvatico o di semi o di nocciolo o di lattice o di resina o di gramigna o di sterco di vacca, si sostenta con frutti e radici di bosco, si ciba di frutti caduti. Egli porta camicie di canapa e di canovaccio, vesti tolte ai cadaveri, fatte di stracci rappezzati, di cortecce ricucite, di pelli imbastite, di pelli intrecciate, di erbe impagliate; si veste di scorze e di foglie, porta una fascia di peli o di crini, si copre con un’ala di civetta. Egli si strappa capelli e barba; è un sempre alzato, respinge sedile e giaciglio; è un accovacciato; è un coricato su spine, si corica sopra un letto di spine; si bagna ogni sera tre volte, è dedito all’esercizio dei bagni di purificazione. In diversi modi egli è così dedito alla fervida, dolorosa ascesi del corpo. Questo è il tormentatore di se stesso.

E qual è il tormentatore degli altri? Ecco, uno è beccaio, scannaporci, uccellatore, appostatore, cacciatore, pescatore, brigante, carnefice, carceriere, o un esecutore di qualsiasi altra opera crudele. Questo è il tormentatore degli altri.

E qual è il tormentatore di se stesso e degli altri? Ecco, uno è un re, guerriero, consacrato, o un potente sacerdote. Egli, avendo fatto erigere ad oriente della città una nuova sala delle udienze, raso capelli e barba, indossato un rozzo saio, spalmato il corpo di burro, grattandosi il dorso con un corno di antilope, accede alla sala delle udienze con la prima moglie ed il sommo sacerdote. Ivi egli prende posto sulla terra coperta d’erba. Ad una vacca che ha un vitello, viene munto da un capezzolo il latte per il re; dal secondo capezzolo vien munto il latte per la regina; dal terzo capezzolo vien munto il latte per il sommo sacerdote; dal quarto capezzolo vien munto il latte per sacrificarlo al fuoco: col rimanente si mantiene il vitello. Ed egli ordina: ‘Tanti tori, tanti giovenchi e giovenche, tante capre, tanti montoni siano uccisi per il sacrificio; tanti alberi siano tagliati per i pali, tanta erba sia falciata per lo strame!’ E servi, salariati ed operai, per timore di castighi, doloranti e con occhi lacrimosi, eseguono le opere ordinate. Questo è il tormentatore di se stesso e degli altri.

E qual è il tipo non tormentatore di sé e non tormentatore degli altri? Ecco, sacerdote, il Compiuto appare nel mondo, il santo, perfetto Svegliato, il provato di sapienza e di vita, il Benvenuto, il conoscitore del mondo, l’incomparabile guida dell’animale umano, il Sublime. Egli mostra questo mondo con i suoi cattivi e buoni spiriti, con le sue schiere di asceti e sacerdoti, dèi e uomini, dopo che egli stesso lo ha conosciuto e sperimentato. Egli espone la dottrina benefica in principio, in mezzo ed in fine; fedele di senso e di parola: mostra la santa vita perfettamente purificata, perfettamente rischiarata.

Questa dottrina la sente un padre di famiglia o un suo figlio, o uno rinato in altra condizione. Egli, sentendo questa dottrina, concepisce fiducia nel Sublime. Compreso di questa fiducia egli riflette: ‘Carcere è la casa, letamaio; aria libera è la rinunzia. Non si può, restando in casa, vivere punto per punto la santa vita perfettamente purificata, perfettamente rischiarata. E se io ora, radendo capelli e barba, indossando l’abito fulvo, rinunziassi alla casa per la mendicità?’ Ed egli dopo qualche tempo, abbandonando una piccola o una grande proprietà, abbandonando una piccola o una grande cerchia di parenti, rinunzia alla casa per la mendicità.

Egli, avendo rinunziato al mondo, divenuto asceta, ha assunto le regole di vita dei mendicanti. Si astiene dall’uccidere: senza mazza, senza spada, sensibile e pietoso, egli dimora amorevole e compassionevole per tutti gli esseri viventi. Smettendo di prendere il non dato, prende ed accetta ciò che è dato; dimora senza intenzione furtiva, con animo purificato. Smettendo la vita non santa, vive santamente, castamente, estraneo alla comune legge sessuale. Smettendo il mentire, si astiene da menzogna: dice la verità, è devoto ad essa, è retto, degno di fede, non è un ipocrita adulatore del mondo. Smettendo la maldicenza, ciò che ha sentito qui non lo racconta là, e ciò che ha sentito là non lo racconta qui, per disunire.

Egli unisce i disuniti, rafforza quelli uniti; si allieta, si rallegra della concordia; dice parole che promuovono la concordia. Si astiene dalle parole aspre, dice parole che sono senza offesa, benefiche all’orecchio, amorevoli, che vanno al cuore, urbane, che rallegrano e sollevano molti. Si astiene dalle ciarle, parla a tempo debito, conforme ai fatti, attento al senso, fedele alla dottrina e alla disciplina; il suo dire è ricco di contenuto, occasionalmente è ornato di paragoni, chiaro, determinato e adeguato al suo oggetto.

Egli si astiene dal cogliere frutti e piante. Prende il cibo una volta al giorno, di notte digiuna, si astiene dal mangiare fuori tempo. Si astiene da balli, canti, suoni, giochi e rappresentazioni. Non accetta corone, profumi, unguenti, ornamenti, acconciature, addobbi. Evita giacigli alti, ampi. Non accetta oro e argento. Non prende cereali crudi, né carne cruda. Non prende donne e fanciulle, né servi e serve. Non prende capre e pecore, polli e porci. Non prende elefanti, buoi e cavalli. Non prende casa e terreno. Non assume messaggi, incarichi, invii. Si astiene da compra e vendita. È lontano dall’usare falso peso e misura, dalle oblique vie dell’inganno, simulazione, bassezza. Si tiene lontano da zuffe, baruffe, risse; da predazioni, saccheggi e violenze. È contento dell’abito che copre il corpo, della scodella dell’elemosina che sostenta la sua vita: dovunque vada porta solo quello. Come un uccello, che dovunque voli, lo fa col solo peso delle sue penne, così egli è contento dell’abito e della scodella.

Con l’adempimento di questi santi precetti di virtù egli prova un’intima immacolata gioia. Vedendo con la vista una forma, egli non prova attrazione, interesse. Siccome desiderio ed avversione, dannosi e pericolosi pensieri ben presto sopraffanno chi non vigila la vista, egli è attento a questa vigilanza, sorveglia la vista. Lo stesso fa udendo un suono con l’udito, odorando un odore con l’olfatto, gustando un sapore col gusto, toccando un oggetto col tatto. Riconoscendo col pensiero una cosa, egli non ne è attratto né interessato. Siccome desiderio e avversione, dannosi e nocivi pensieri, ben presto travolgono chi rimane col pensiero non vigilato, egli si dedica a questa vigilanza, e sorveglia con attenzione il pensiero.

Con l’adempimento di questo santo raffrenamento dei sensi egli prova un’intima inalterata gioia. Con chiara consapevolezza egli viene e va, si alza e si muove, porta l’abito dell’Ordine e la ciotola dell’elemosina, mangia e beve, mastica e gusta, libera vescica e intestino; consapevole egli siede, s’addormenta, si sveglia, parla e tace. Munito di questi santi precetti di virtù, dotato di questo santo raffrenamento dei sensi, dotato di questo santo chiaro sapere, egli cerca un appartato luogo di riposo: il piede d’un albero nel bosco, una grotta nelle rupi, una caverna di montagna, un cimitero, il folto d’una foresta, un mucchio di strame nell’aperta pianura. Dopo il pasto raccolto dal giro dell’elemosina, egli si siede con le gambe incrociate, il busto diritto, e si esamina. Egli ha smesso ogni brama mondana e se ne sta con animo senza brama, col cuore purificato da brama; ha smesso l’avversione e sta ora con animo privo d’avversione, pieno d’amore e compassione per tutti gli esseri viventi; ha smesso l’accidia, né è libero, purifica il cuore dall’accidia; ha smesso superbia e fastidio; non è più incerto, non dubita di ciò che è bene.

Egli ha eliminato questi cinque impedimenti, ha imparato a conoscere le debilitanti scorie dell’animo: ben lontano da brame e da cose non salutari, egli vive in senziente, pensante serenità nata dalla pace, nel grado della prima contemplazione. Dopo il compimento del sentire e pensare egli raggiunge l’interna calma serena, l’unità dell’animo, la beata serenità libera dal sentire e pensare nata dal raccoglimento: la seconda contemplazione. In serena pace egli resta equanime, savio, chiaro cosciente, e prova nel corpo quella felicità di cui i santi dicono: ‘L’equanime savio vive felice’; così raggiunge il grado della terza contemplazione. Dopo il rigetto di gioie e dolori, dopo l’annientamento di letizia e tristezza anteriori, egli raggiunge la non triste, non lieta, equanime, saggia, perfetta purezza: la quarta contemplazione.

Con tale animo, saldo, puro, terso, schietto, libero da scorie, malleabile, duttile, compatto, incorruttibile egli indirizza l’animo alla memore conoscenza di anteriori forme di esistenza. Egli si ricorda di una, due, tre, dieci, venti, trenta, cinquanta, cento, mille, centomila vite; poi delle epoche durante molte formazioni e trasformazioni di mondi: ‘Là ero io, avevo quel nome, appartenevo a quella famiglia, quello era il mio stato, quello il mio lavoro; provai tale bene e tale male, così finì la mia vita; di là trapassato entrai io altrove in esistenza’. Così egli ricorda molte diverse anteriori forme d’esistenza, ognuna con i propri caratteri, ognuna con le particolari relazioni.

Con tale animo egli indirizza l’animo alla cognizione dell’apparire e sparire degli esseri. Con l’occhio celeste, rischiarato, sovrumano egli vede gli esseri sparire e riapparire, volgari e nobili, belli e brutti, felici ed infelici; egli riconosce come gli esseri riappaiano sempre secondo le loro azioni: ‘Questi cari esseri non retti in opere, parole e pensieri, che biasimano ciò che è salutare e stimano ciò che è dannoso, quando moriranno, andranno a soffrire e penare all’inferno. Quest’altri, retti in azioni, in parole e in pensieri, che apprezzano ciò che è salutare, che stimano e fanno ciò che è retto, alla loro morte andranno in un mondo beato, celeste.

Con tale animo egli indirizza l’animo alla conoscenza dell’esaurimento della mania. Egli comprende, conforme alla realtà: ‘Questo è il dolore. Questa è l’origine del dolore. Questa è l’estinzione del dolore. Questa è la via che conduce all’estinzione del dolore. Questa è la mania. Questa è l’origine della mania. Questa è l’estinzione della mania. Questa è la via che porta all’estinzione della mania’.

Così riconoscendo, così vedendo, il suo animo si redime dalla mania del desiderio, dell’esistenza e dell’ignoranza. Sorge questa conoscenza: ‘Nel redento è la redenzione’. Egli comprende allora: ‘Esaurita è la vita, compiuta la santità, conclusa l’opera, non esiste più questo mondo’. Questo, monaci, è uno che non è tormentatore di se stesso né è dedito a tormentare il prossimo, e, così facendo, già durante la vita è spento, estinto, in sé beato, con l’animo santificato”.

Dopo queste parole il brâmano Gothamukho disse all’on. Udeno: “Benissimo, Udeno, benissimo! Così come se si raddrizzasse ciò che era rovesciato, o si scoprisse ciò che è nascosto, o si mostrasse la via a chi s’è perso, o si portasse luce nell’oscurità: ‘chi ha occhi vedrà le cose’; così appunto è stata dal signore Udeno in vari modi esposta la dottrina. E così io prendo rifugio presso il signore Udeno, presso la Dottrina e presso l’Ordine dei mendicanti. Quale seguace voglia il signore Udeno considerarmi da oggi per la vita fedele.”

“Non prendere me, sacerdote, per rifugio. Lui prendi invece per rifugio, il Sublime, che anche io ho preso per rifugio.”

“Però, Udeno, dove dimora adesso il signore Gotamo, il santo, perfetto Svegliato?”

“Estinto, sacerdote, è Egli adesso, il Sublime.”

“Se noi sapessimo il signore Gotamo lontano dieci marce, anche venti, trenta, quaranta o cinquanta marce, per vederlo le faremmo tutte e cinquanta. Ne faremmo anche cento per vederlo. Però, essendo Egli estinto, allora noi in Lui estinto prendiamo rifugio, e nella Dottrina e nell’Ordine dei mendicanti: quale seguace voglia il signore Udeno ritenermi da oggi per la vita fedele. Il re di Anga mi dà una pensione diaria perpetua: una parte di essa io la do al signore Udeno.”

“Che ti dà però, sacerdote, il re di Anga per pensione?”

“Cinquecento kahâpani, Udeno.”

“Non ci è consentito, sacerdote, accettare oro ed argento.”

“Se è così, allora per il signore Udeno farò costruire una cella.”

“Fai costruire invece a Pâtaliputtam una sala di riunione per l’Ordine.”

“Con questo io sono reso dal signore Udeno ancora più lieto e contento per avermi egli esortato a fare un dono all’Ordine. Così io con quella parte della pensione e con un’altra parte farò costruire a Pâtaliputtam una sala di riunione per l’Ordine.”

Quindi ora il brâmano Gothamukho fece costruire una sala di riunione per l’Ordine. Essa ora si chiama sala Gothamukhî.

Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.

Testo: Majjhima Nikaya