Da giovane, il Buddha ebbe una visione del mondo: tutti gli esseri erano come pesci in un ruscello in estinzione, in lotta tra loro per un po’ d’acqua prima di morire. Ovunque si cercasse la felicità, tutto era già stato reclamato. Le implicazioni di questa visione colpirono il suo cuore con terrore: la vita sopravviveva nutrendosi di altra vita, fisicamente e mentalmente; essere interdipendenti è “nutrimento”; la sofferenza che ne deriva non ha uno scopo più grande, e quindi è totalmente inutile. Questa fu la constatazione che lo spinse a lasciare la sua dimora nel deserto, per vedere se poteva esistere una felicità che non dipendesse dalle condizioni, che non morisse, che non avesse bisogno di nutrirsi.
Il suo risveglio fu la scoperta che una tale felicità esisteva: una dimensione, toccata dal cuore e dalla mente, che era totalmente libera da condizioni. Non era il risultato di niente e non causava niente altro. Il percorso che portava a questa scoperta fu quello che insegnò per il resto della sua vita.
Nessun nome singolo rendeva piena giustizia a quella dimensione, così egli la chiamò in gran parte con similitudini e analogie. Il nome principale era nibbana, non vincolante/non condizionato. Questa era un’analogia basata sul modo in cui il fuoco era visto a quel tempo: il fuoco brucia – agitato, intrappolato e caldo – perché l’elemento fuoco si aggrappa al suo combustibile. Quando il combustibile si estingue, il fuoco si spegne.
Ma il Buddha ha dato alla sua scoperta anche più di 30 altri nomi, per indicare i modi in cui vale davvero la pena desiderarlo, vale davvero la pena di fare tutto lo sforzo per raggiungerlo. I nomi si suddividono in cinque gruppi principali, che trasmettono cinque diverse sfaccettature di questa dimensione:
Il primo è che non è un vuoto del nulla. Invece, è un tipo di coscienza. Ma a differenza della coscienza ordinaria, non è conosciuta attraverso i sei sensi, e non si impegna a fabbricare alcuna esperienza – a differenza, per esempio, della coscienza non-duale che si trova nei livelli di concentrazione senza forma. Il Buddha ha descritto questa coscienza come “senza superficie” e “non stabilita”. La sua immagine è un raggio di luce che non arriva da nessuna parte. Sebbene sia luminoso di per sé, non si impegna in nulla, e quindi non può essere rilevato da nessun altro.
La seconda sfaccettatura di questa dimensione è la verità: poiché è fuori dal tempo, non cambia, non ti inganna, non si trasforma in qualcosa di diverso.
La terza è la libertà: libero dalla fame, libero dalla sofferenza, libero dalla posizione, libero da restrizioni di qualsiasi tipo.
La quarta è la beatitudine: non contaminata, innocua e sicura.
La quinta sfaccettatura è l’eccellenza, superiore a qualsiasi realtà conosciuta anche nei paradisi superiori. Nelle parole dello stesso Buddha, è stupefacente, sbalorditivo, ultimo, oltre.
Anche se questa dimensione non è causata, un percorso di pratica conduce ad essa – nello stesso modo in cui una strada verso una montagna non causa la montagna, ma seguendo la strada ci si può arrivare.
La strada è una cosa, la montagna un’altra. Seguire la strada implica favorire, tra le altre cose, la generosità, la virtù, la consapevolezza, la concentrazione e il discernimento. Attraverso queste qualità, sviluppiamo la saggezza e la compassione per vedere che il nibbana è davvero l’obiettivo più saggio e compassionevole che possiamo prefiggerci: saggio in quanto, a differenza di altri obiettivi, ne vale la pena e non ci deluderà mai; compassionevole in quanto non solo ci togliamo dalla frenesia dell’interdipendenza, ma mostriamo anche agli altri che esiste una via d’uscita dalla sofferenza.
È per questo obiettivo che dobbiamo meditare.