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SN 48.40: Uppaṭipāṭika Sutta – Ordine irregolare

“Monaci, ci sono queste cinque facoltà. Quali cinque? La facoltà del dolore, della tristezza, del piacere, della felicità e dell’equanimità.
Mentre un monaco medita con diligenza, acutezza e determinazione, sorge la facoltà del dolore. Comprende: ‘La facoltà del dolore è appena sorta in me’. E ciò ha un fondamento, una fonte, una condizione e una ragione. Non è possibile che la facoltà del dolore sorga senza un fondamento, una fonte, una condizione o una ragione’. Egli comprende la facoltà del dolore, la sua origine, la sua cessazione e il punto in cui la facoltà del dolore appena sorta cessa senza residuo. E dove cessa la facoltà del dolore manifestata senza residuo? È quando un monaco, distaccato dalla sensualità, distaccato dalle nocive qualità mentali, entra e dimora nel primo jhana: estasi e gioia nate dal distacco, accompagnate dall’idea razionale e dal pensiero discorsivo, mentre pone la mente e la mantiene unita. È lì che la facoltà del dolore appena sorta cessa senza residuo. È chiamato monaco colui che comprende la cessazione della facoltà del dolore e applica la propria mente a questo scopo.
Mentre un monaco medita con diligenza, acutezza e determinazione, sorge la facoltà della tristezza. Comprende: ‘La facoltà della tristezza è appena sorta in me’. E ciò ha un fondamento, una fonte, una condizione e una ragione. Non è possibile che la facoltà della tristezza sorga senza un fondamento, una fonte, una condizione o una ragione’. Egli comprende la facoltà della tristezza, la sua origine, la sua cessazione e il punto in cui la facoltà della tristezza appena sorta cessa senza residuo. E dove cessa la facoltà della tristezza manifestata senza residuo? È quando un monaco, dopo l’acquietarsi dell’idea razionale e del pensiero discorsivo, entra e dimora nel secondo jhana: estasi e gioia nate dalla concentrazione, libero dall’idea razionale e dal pensiero discorsivo, mentre pone la mente e la mantiene unita. È lì che la facoltà della tristezza appena sorta cessa senza residuo. È chiamato monaco colui che comprende la cessazione della facoltà della tristezza e applica la propria mente a questo scopo.
Mentre un monaco medita con diligenza, acutezza e determinazione, sorge la facoltà del piacere. Comprende: ‘La facoltà del piacere è appena sorta in me’. E ciò ha un fondamento, una fonte, una condizione e una ragione. Non è possibile che la facoltà del piacere sorga senza un fondamento, una fonte, una condizione o una ragione’. Egli comprende la facoltà del piacere, la sua origine, la sua cessazione e il punto in cui la facoltà del piacere appena sorta cessa senza residuo. E dove cessa la facoltà del piacere manifestata senza residuo? È quando un monaco, dopo lo svanire dell’estasi dimora nell’equanimità, mentalmente presente e chiaramente consapevole, fisicamente sensibile al piacere, entra e dimora nel terzo jhana del quale i Nobili dichiarano: ‘Felice colui che dimora nell’Equanimità’, mentre pone la mente e la mantiene unita. È lì che la facoltà del piacere appena sorta cessa senza residuo. È chiamato monaco colui che comprende la cessazione della facoltà del piacere e applica la propria mente a questo scopo.
Mentre un monaco medita con diligenza, acutezza e determinazione, sorge la facoltà della felicità. Comprende: ‘La facoltà della felicità è appena sorta in me’. E ciò ha un fondamento, una fonte, una condizione e una ragione. Non è possibile che la facoltà della felicità sorga senza un fondamento, una fonte, una condizione o una ragione’. Egli comprende la facoltà della felicità, la sua origine, la sua cessazione e il punto in cui la facoltà della felicità appena sorta cessa senza residuo. E dove cessa la facoltà della felicità manifestata senza residuo? È quando un monaco, con l’abbandono del piacere e del dolore, con l’anteriore scomparsa di gioia ed angoscia, entra e dimora nel quarto jhana: purezza dell’equanimità e della presenza mentale, al di là del piacere e del dolore, mentre pone la mente e la mantiene unita. È lì che la facoltà della felicità appena sorta cessa senza residuo. È chiamato monaco colui che comprende la cessazione della facoltà della felicità e applica la propria mente a questo scopo.
Mentre un monaco medita con diligenza, acutezza e determinazione, sorge la facoltà dell’equanimità. Comprende: ‘La facoltà dell’equanimità è appena sorta in me’. E ciò ha un fondamento, una fonte, una condizione e una ragione. Non è possibile che la facoltà dell’equanimità sorga senza un fondamento, una fonte, una condizione o una ragione’. Egli comprende la facoltà dell’equanimità, la sua origine, la sua cessazione e il punto in cui la facoltà dell’equanimità appena sorta cessa senza residuo. E dove cessa la facoltà dell’equanimità manifestata senza residuo? È quando un monaco, superando totalmente la dimensione della né-percezione-né-non-percezione, entra e dimora nella cessazione della percezione e della sensazione, mentre pone la mente e la mantiene unita. È lì che la facoltà dell’equanimità appena sorta cessa senza residuo. È chiamato monaco colui che comprende la cessazione della facoltà dell’equanimità e applica la propria mente a questo scopo.”

Traduzione in Inglese dalla versione Pâli di Bhikkhu Sujato, 2018. Tradotto in italiano da Enzo Alfano.

TestoSamyutta Nikaya