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SN 36.19: Pañcakaṅga Sutta – Pañcakaṅga

Pañcakaṅga il falegname si recò dal Ven. Udāyin e, una volta giunto, dopo averlo salutato con rispetto, si sedette a lato. Lì seduto, chiese al Ven. Udāyin: “Venerabile Udāyin, quante sensazioni sono state esposte dal Beato?”

Il Beato ha esposto tre sensazioni, capofamiglia: una sensazione di piacere, una sensazione di dolore, una sensazione di né piacere né dolore. Queste sono le tre sensazioni esposte dal Beato.”
Dette queste parole, Pañcakaṅga il falegname disse al Ven. Udāyin: “No, Venerabile Udāyin, il Beato non ha esposto tre sensazioni, ha esposto due sensazioni: una sensazione di piacere e una sensazione di dolore. Per quanto riguarda la sensazione di né piacere né dolore, quella è stata esposta dal Beato come un piacere quieto e sublime.”

Una seconda volta… Una terza volta, il Ven. Udāyin disse a Pañcakaṅga il falegname: “No, capofamiglia, il Beato non ha esposto due sensazioni, ha esposto tre sensazioni: una sensazione di piacere, una sensazione di dolore, una sensazione di né piacere né dolore. Queste sono le tre sensazioni esposte dal Beato.”

Una seconda volta… Una terza volta, Pañcakaṅga il falegname disse al Ven. Udāyin: “No, Venerabile Udāyin, il Beato non ha esposto tre sensazioni, ha esposto due sensazioni: una sensazione di piacere e una sensazione di dolore. Per quanto riguarda la sensazione di né piacere né dolore, quella è stata esposta dal Beato come un piacere quieto e sublime.”
Ma né il Ven. Udāyin riuscì a convincere Pañcakaṅga il falegname, né Pañcakaṅga il falegname riuscì a convincere il Ven. Udāyin.

Il Ven. Ānanda sentì parlare della conversazione del Ven. Udāyin con Pañcakaṅga il falegname. Così si recò dal Beato e, una volta giunto, dopo averlo salutato con rispetto, si sedette a lato. Lì seduto, raccontò al Beato l’intera conversazione del Ven. Udāyin con Pañcakaṅga il falegname.
Il Beato disse: “Ānanda, era autentica l’esposizione che Pañcakaṅga il falegname non ha accettato da Udāyin il monaco, ed era autentica l’esposizione che Udāyin il monaco non ha accettato da Pañcakaṅga il falegname. C’è l’esposizione in cui ho parlato di due sensazioni, l’esposizione in cui ho parlato di tre sensazioni… cinque… sei… diciotto… trentasei… 108 sensazioni.

Così ho insegnato il Dhamma mediante l’esposizione. Quando ho insegnato il Dhamma mediante l’esposizione, se ci sono coloro che non riconoscono, accettano o approvano ciò che è stato ben esposto e ben dichiarato da un altro, ci si può aspettare che si soffermino a discutere, litigare e disputare, pugnalandosi l’un l’altro con le armi della parola.

Così ho insegnato il Dhamma mediante l’esposizione. Quando ho insegnato il Dhamma mediante l’esposizione, se ci sono coloro che riconoscono, accettano e approvano ciò che è stato ben detto e ben esposto da un altro, ci si può aspettare che vivano armoniosamente, amichevolmente, senza dispute, diventando come il latte mescolato all’acqua, guardandosi l’un l’altro con occhi amorevoli.
Ānanda, ci sono queste cinque catene della sensualità. Quali cinque? Forme riconoscibili tramite l’occhio – gradevoli, piacevoli, affascinanti, accattivanti, seducenti, legate al desiderio sensuale. Suoni riconoscibili tramite l’orecchio… Aromi riconoscibili tramite il naso… Sapori riconoscibili tramite la lingua… Sensazioni tattili riconoscibili tramite il corpo – gradevoli, piacevoli, affascinanti, accattivanti, seducenti, legate al desiderio sensuale. Ora, qualunque piacere e gioia sorga in dipendenza da queste cinque catene della sensualità, si chiama piacere sensuale.
Anche se c’è chi dice: ‘Essi [cioè gli esseri] sperimentano questo come il più alto piacere e gioia esistenti’, io non lo riconosco. Perché? Perché c’è un altro piacere più eccelso di quel piacere e più sublime.

E qual è, Ānanda, l’altro piacere più eccelso di quel piacere e più sublime? C’è il caso in cui un monaco – distaccato dalla sensualità, distaccato dalle nocive qualità mentali – entra e dimora nel primo jhana: estasi e gioia nate dal distacco, accompagnate dall’idea razionale e dal pensiero discorsivo. Questo è l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime.

Anche se c’è chi dice: ‘Sperimentano questo come il più alto piacere e gioia esistenti’, io non lo riconosco. Perché? Perché c’è un altro piacere più eccelso di quel piacere e più sublime.
E qual è, Ānanda, l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime? C’è il caso in cui un monaco – dopo l’acquietarsi dell’idea razionale e del pensiero discorsivo, entra e dimora nel secondo jhana: estasi e gioia nate dalla concentrazione, libero dall’idea razionale e dal pensiero discorsivo. Questo è l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime.

Anche se c’è chi dice: ‘Sperimentano questo come il più alto piacere e gioia esistenti’, io non lo riconosco. Perché? Perché c’è un altro piacere più eccelso di quel piacere e più sublime.
E qual è, Ānanda, l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime? C’è il caso in cui un monaco – dopo lo svanire dell’estasi dimora nell’equanimità, mentalmente presente e chiaramente consapevole, fisicamente sensibile al piacere. Entra e dimora nel terzo jhana del quale i Nobili dichiarano: ‘Felice colui che dimora nell’Equanimità.’ Questo è l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime.

Anche se c’è chi dice: ‘Sperimentano questo come il più alto piacere e gioia esistenti’, io non lo riconosco. Perché? Perché c’è un altro piacere più eccelso di quel piacere e più sublime.
E qual è, Ānanda, l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime? C’è il caso in cui un monaco – con l’abbandono del piacere e del dolore – con l’anteriore scomparsa di gioia ed angoscia – entra e dimora nel quarto jhana: purezza dell’equanimità e della presenza mentale, al di là del piacere e del dolore. Questo è l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime.

Anche se c’è chi dice: ‘Sperimentano questo come il più alto piacere e gioia esistenti’, io non lo riconosco. Perché? Perché c’è un altro piacere più eccelso di quel piacere e più sublime.
E qual è, Ānanda, l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime? C’è il caso in cui un monaco – con l’abbandono del mondo della forma, della materia e della molteplicità, entra e dimora nella sfera dell’infinità dello spazio. Questo è l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime.

Anche se c’è chi dice: ‘Sperimentano questo come il più alto piacere e gioia esistenti’, io non lo riconosco. Perché? Perché c’è un altro piacere più eccelso di quel piacere e più sublime.
E qual è, Ānanda, l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime? C’è il caso in cui un monaco – con una completa trascendenza della sfera dell’infinità dello spazio, entra e dimora nella sfera dell’infinità della coscienza. Questo è l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime.

Anche se c’è chi dice: ‘Sperimentano questo come il più alto piacere e gioia esistenti’, io non lo riconosco. Perché? Perché c’è un altro piacere più eccelso di quel piacere e più sublime.
E qual è, Ānanda, l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime? C’è il caso in cui un monaco – con una completa trascendenza della dimensione dell’infinità della coscienza, (percependo,) ‘Vi è il nulla,’ entra e dimora nella sfera della vacuità. Questo è l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime.

Anche se c’è chi dice: ‘Sperimentano questo come il più alto piacere e gioia esistenti’, io non lo riconosco. Perché? Perché c’è un altro piacere più eccelso di quel piacere e più sublime.
E qual è, Ānanda, l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime? C’è il caso in cui un monaco – con la completa trascendenza della dimensione della vacuità, entra e dimora nella dimensione di né-percezione-né-non-percezione. Questo è l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime.

Anche se c’è chi dice: ‘Sperimentano questo come il più alto piacere e gioia esistenti’, io non lo riconosco. Perché? Perché c’è un altro piacere più eccelso di quel piacere e più sublime.
E qual è, Ānanda, è l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime? C’è il caso in cui un monaco – con la completa trascendenza della dimensione di né-percezione-né-non-percezione, entra e dimora nella cessazione della percezione e della sensazione. Questo è l’altro piacere più eccelso di quello e più sublime.

Ora, è possibile, Ānanda, che alcuni asceti erranti di altre dottrine possano dire, ‘L’asceta Gotama parla della cessazione della percezione e della sensazione e tuttavia le descrive come piacere. Come mai? Quando dicono questo, bisogna rispondere loro: ‘Ebbene, amici, il Beato non descrive solo la sensazione piacevole come piacere. Ovunque vi sia il piacere, in qualsiasi condizione, il Beato lo descrive come piacere.”

Traduzione in Inglese dalla versione Pâli di Ṭhānissaro Bhikkhu, Handful of leaves: an Anthology from the Saṁyutta Nikāya © 2014-2021. Tradotto in italiano da Enzo Alfano.

TestoSamyutta Nikaya