… a Rājagaha, nel boschetto di bambù, nella riserva degli scoiattoli. A quel tempo a Rājagaha c’era un gruppo di diciassette amici, di cui il giovane Upāli era il capo. Allora i genitori di Upāli pensarono: “Con quale mezzo Upāli potrebbe, dopo la nostra morte, vivere a suo agio e non essere nel bisogno?” Poi i genitori di Upāli pensarono: “Se Upāli imparasse a scrivere, anche Upāli, dopo la nostra morte, vivrebbe a suo agio e non sarebbe in difficoltà.” Poi i genitori di Upāli pensarono: “Ma se Upāli impara a scrivere, come piacevole abitudine e condotta, dopo aver mangiato buoni pasti può riposare su letti al riparo dal vento. Ora, se Upāli andasse tra i monaci, i figli dei Sakya, così dopo la nostra morte, vivrebbe a suo agio e non sarebbe in difficoltà.”
Il giovane Upāli ascoltò questa conversazione dei (suoi) genitori. Quindi il giovane Upāli si avvicinò ai suoi amici e disse loro quanto segue: “Venite, amici, andremo tra i monaci, figli dei Sakya.”
“Come desideri, amico. Noi ti seguiremo.”
Quindi quei ragazzi, andarono dai loro genitori, e dissero: “Dateci il consenso di abbandonare la vita domestica per l’ascetismo.”
I genitori di quei ragazzi acconsentirono, pensando: “Tutti questi ragazzi desiderano la stessa cosa, sono orientati verso il bene.” Costoro, recatosi dai monaci, chiesero di vivere la vita ascetica. I monaci acconsentirono, conferendo loro l’ordinazione di upasampadā.
Di notte verso l’alba, iniziarono a gridare: “Dateci da bere, dateci riso, dateci cibo solido.”
I monaci dissero: “Aspettate, venerabili, che faccia giorno.” Se ci sarà da bere, berrete; se ci sarà del riso, lo mangerete; se ci sarà del cibo solido, lo mangerete. Ma se non ci fosse né da bere né riso né cibo solido, dopo aver camminato per l’elemosina, mangerete.”
Ma quei novizi, a cui i monaci così si erano rivolti, gridarono ancora: “Dateci da bere, dateci riso, dateci cibo solido!”, sporcando le lenzuola e bagnandole.
Il signore, alzandosi verso l’alba, udì il rumore dei ragazzi e, sentendolo, si rivolse al venerabile Ānanda dicendo: “Perché mai, Ānanda, c’è questo rumore di ragazzi?”
Il venerabile Ānanda raccontò la vicenda al signore. Il signore, in questa occasione, dopo aver fatto riunire il Sangha, interrogò i monaci dicendo: “È vero, come si dice, monaci, che i monaci hanno consapevolmente conferito l’ordinazione upasampadā a un individuo di età inferiore ai vent’anni?”
“È vero, signore.”
L’illuminato, il Signore, li rimproverò dicendo: “Come possono, monaci, questi stolti conferire consapevolmente l’upasampadā, l’ordinazione, a un individuo di età inferiore ai vent’anni? Monaci, un individuo di età inferiore ai vent’anni non è in grado di sopportare il freddo, il caldo, la fame, la sete, il contatto con tafani, zanzare, vento e sole, esseri striscianti, linguaggio offensivo; non è il tipo (di persona) che sopporta sensazioni corporee che, sorgendo, sono dolorose, acute, pungenti, sgradevoli, spiacevoli, mortali. Ma, monaci, un individuo di vent’anni è in grado di sopportare il freddo, il caldo… spiacevoli, mortali. Monaci, questo non serve a soddisfare coloro che non sono (ancora) soddisfatti… E così, monaci, questa regola di pratica dovrebbe essere così enunciata:
“Qualunque monaco conferisca consapevolmente l’ordinazione upasampadā a un individuo di età inferiore ai vent’anni, sia quell’individuo non ordinato sia i monaci sono biasimevoli; questa è una colpa da espiare.”
Sa significa: o lo sa da solo o glielo dicono gli altri o (qualcuno) glielo dice. Sotto i vent’anni significa: non ha raggiunto l’età di vent’anni.
Se pensa: “Conferirò l’ordinazione di upasampadā” (e) cerca un gruppo o un maestro o una ciotola o una veste, o se stabilisce un limite, c’è una colpa di cattiva condotta. Come risultato della mozione c’è una colpa di cattiva condotta; come risultato di due avvisi ci sono colpe di cattiva condotta. Alla fine degli avvisi, c’è una colpa da espiare per il precettore, una colpa da espiare per il gruppo e per il maestro.
Se pensa di avere meno di vent’anni quando ne ha meno di venti e conferisce l’ordinazione di upasampadā, c’è una colpa da espiare. Se dubita che abbia meno di vent’anni e conferisce l’ordinazione di upasampadā, c’è una colpa da espiare. Se pensa che abbia compiuto vent’anni quando invece ne ha di meno, (e) gli conferisce l’ordinazione di upasampadā, non c’è colpa. Se pensa di avere meno di vent’anni quando ne ha compiuti venti, c’è la colpa di aver commesso un errore. Se dubita di aver compiuto vent’anni, c’è una colpa di cattiva condotta. Se pensa di aver compiuto vent’anni quando ne ha compiuti venti, non c’è colpa.
Non c’è colpa se conferisce l’ordinazione upasampadā a uno che ha meno di vent’anni pensando che abbia compiuto vent’anni; se conferisce l’ordinazione upasampadā a uno che ha compiuto vent’anni pensando che li abbia compiuti; se è pazzo, se è la prima colpa.
Traduzione in Inglese dalla versione Pâli di I.B. Horner, The Book of the Discipline.
Tradotto in italiano da Enzo Alfano.
Testo: Pācittiya