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MN 97: Dhanañjâni Sutta – Dhanañjani

Questo ho sentito. Una volta il Sublime dimorava presso Râjagaham, nella selva di bambù, nel sito degli scoiattoli. In quel periodo l’on. Sâriputto con una grande comitiva di monaci girava per le montagne del mezzogiorno. Un certo monaco che aveva trascorso la stagione delle piogge a Râjagaham, si recò dove si trovava l’on. Sâriputto. Là giunto, scambiò con lui i consueti rispettosi saluti e si sedette accanto. L’on. Sâriputto gli chiese:

“Dunque, amico, il Sublime è sano e forte?”

“Sì, amico, è sano e forte.”

“E i fratelli dell’Ordine?”

“Anche loro stanno bene.”

“Vi è, amico, a Tandulapâladvârâ un sacerdote di nome Dhanañjani: sta bene anche lui?”

“Anche lui sta bene, amico.”

“Ed è diligente?”

“Ma come, amico, il sacerdote Dhanañjani, presso il re, diffama i brâhmani padri di famiglia; e presso i brâhmani diffama il re. La sua moglie fedele, presa da una fedele famiglia, è morta: ora ha un’altra moglie, infedele, presa da una famiglia infedele.”

“Brutta cosa davvero, amico, aver appreso che Dhanañjani è negligente. Eppure vorremmo incontrarci qualche volta con lui e avere una conversazione!”

Quindi, l’on. Sâriputto, dopo aver dimorato a piacere nelle montagne di mezzogiorno, si diresse, passando di luogo in luogo, verso Râjagaham e, giuntovi, si sistemò nella selva di bambù, nel sito degli scoiattoli. Egli, pronto di prima mattina, prendendo mantello e scodella, si avviò a Râjagaham per l’elemosina. Proprio allora il sacerdote Dhanañjani faceva mungere le vacche in una stalla fuori dalla città. L’on. Sâriputto, dopo aver questuato e poi consumato il cibo elemosinato, passò là dove si trovava il sacerdote il quale, quando lo vide, gli andò incontro e gli disse:

“Qui, signor Sâriputto, venga a bere il latte: è proprio ora del desinare.”

“Grazie, sacerdote, per oggi ho già mangiato. Passerò il pomeriggio al piede di quell’albero: là potrai venire.”

“Sì, signore!: replicò Dhanañjani e, dopo aver mangiato, si recò dall’on. Sâriputto, scambiò i consueti rispettosi scambi di saluti e si sedette accanto. E Sâriputto chiese: “Sei tu diligente?”

“Ma come, Sâriputto, facciamo ad esserlo noi che dobbiamo mantenere padre, madre, moglie, figli, servi e lavoranti: che dobbiamo rendere servizi amichevoli ad amici e conoscenti, servizi parentali ai congiunti e consanguinei, servizi ospitali agli ospiti, servizi funebri ai defunti, servizi divini agli dèi, servizi regi al re, e dobbiamo anche sostenere e curare questo corpo?!”

“Tu che pensi, Dhanañjani: ecco, uno che, per amore del padre e della madre, fosse stato d’ingiusta cattiva condotta e, per quella fosse trascinato all’inferno dai custodi infernali: scamperebbe da ciò dicendo: ‘L’ho fatto per amore del padre e della madre, non mi portate all’inferno, custodi infernali!’ ? O sfuggirebbe se il padre e la madre dicessero: ‘Lo ha fatto per amor nostro, non lo portate all’inferno!’ ?”

“No di certo, Sâriputto! Per quanto egli implorasse, i custodi infernali lo getterebbero nell’inferno.”

“E se l’avesse fatto per amore della moglie e dei figli, potrebbe sfuggire all’inferno?”

“No di certo, Sâriputto!”

“E se l’avesse fatto per amore di servi e lavoranti, di amici e conoscenti, di congiunti e consanguinei; per amore degli ospiti, dei defunti, degli dèi, del re?”

“No di certo, Sâriputto! Per quanto egli implorasse, i custodi infernali lo getterebbero nell’inferno.”

“E se l’avesse fatto per sostenere e curare il corpo?”

“No di certo, Sâriputto!”

“Tu che pensi, Dhanañjani: è migliore chi è stato, per amore dei genitori, di cattiva condotta, o chi è stato di buona condotta?”

“Chi è stato di buona condotta. Perché la giusta, buona condotta è migliore dell’ingiusta, cattiva condotta.”

“Ben vi sono dunque, Dhanañjani, ragionevoli e giuste occupazioni, con le quali si può mantenere i genitori e non fare cattiva azione, e seguire la retta via. È migliore chi per amore della moglie e dei figli ha una cattiva condotta, o una buona condotta?”

“Chi è stato di buona condotta.”

“È migliore chi per amore di servi e lavoranti, di amici e conoscenti, di congiunti e consanguinei; per amore degli ospiti, dei defunti, degli dèi, del re ha una cattiva condotta, o una buona condotta?”

“Chi è stato di buona condotta.”

“E chi è migliore: chi per sostenere e curare il corpo ha un’ingiusta e cattiva condotta, o chi ha una giusta e buona condotta?”

“Chi è stato di buona condotta.”

Quindi ora Dhanañjani il sacerdote, accettando ed approvando quel che era stato detto dall’on. Sâriputto, si alzò dal suo posto e se ne andò. Dopo un certo tempo il sacerdote stette poco bene e, sofferente e gravemente ammalato, si rivolse ad uno dei suoi uomini:

“Vai, uomo, dal Sublime, inchinati da parte mia ai suoi piedi, e digli: ‘Dhanañjani il sacerdote è sofferente e gravemente malato: egli s’inchina ai piedi del Sublime’. Poi recati dall’on. Sâriputto, gli dici la stessa cosa, e aggiungi: ‘Sarebbe bene, egli dice, signore, se l’onorevole volesse recarsi alla sua abitazione, mosso da compassione’. “

L’uomo fece quanto gli era stato ordinato e l’on. Sâriputto acconsentì tacendo. Presi mantello e scodella, si recò all’abitazione del sacerdote, e, sedutosi sull’offerto sedile, disse: “Spero, Dhanañjani, che tu stia meglio, che tu resista; che le sensazioni dolorose recedano e che si noti un miglioramento.”

“Non mi sento meglio, Sâriputto, non resisto: forti sensazioni dolorose in me non recedono; si nota un peggioramento. È come se un uomo forte mi percuotesse il cranio con un acuminato pugnale, violente pulsazioni mi battono il cranio. Non mi sento meglio. È come se un uomo forte mi stringesse il capo con una dura cinghia di cuoio. Sto male. È come se un abile macellaio o un suo garzone mi lacerasse il ventre con un affilato coltello; violente pulsazioni mi lacerano il ventre. Peggioro. È come se due uomini forti, afferrando per le braccia un uomo più debole, lo rotolassero, lo arrostissero su un braciere di carboni ardenti; v’è nel mio corpo un tremendo bruciore. Sto proprio male!”

“Che ne pensi, Dhanañjani: è meglio l’inferno o la generazione animale?”

“Meglio dell’inferno è la generazione animale.”

“Ed è meglio la generazione animale o il regno dei defunti?”

“È meglio il regno dei defunti.”

“È meglio il regno dei defunti o il mondo degli uomini?”

“Il mondo degli uomini.”

“È meglio il mondo degli uomini o il cielo dei quattro grandi re?”

“Il cielo dei quattro grandi re.”

“Meglio il cielo dei quattro grandi re o quello dei trentatré dèi?”

“Quello dei trentatré dèi.”

“Meglio il cielo dei trentatré dèi o quello degli dèi della morte?”

“Meglio quello degli dèi della morte.”

“Meglio il cielo degli dèi della morte o quello degli dèi beati?”

“Quello degli dèi beati.”

“Meglio il cielo degli dèi beati o quello degli dèi della gioia illimitata?”

“Quello degli dèi della gioia illimitata.”

“Meglio il cielo degli dèi della gioia illimitata o quello degli dèi di là dalla gioia illimitata?”

“Meglio quello degli dèi di là dalla gioia illimitata.”

“Meglio il mondo degli dèi di là dalla gioia illimitata o il mondo di Brahmâ?”

“Mondo di Brahmâ: ha detto il signore Sâriputto; mondo di Brahmâ!”

Quindi l’on. Sâriputto pensò: ‘Questi brâhmani sono inclini al mondo di Brahmâ. E se io ora a Dhanañjani il sacerdote mostrassi la via che porta a rinascere insieme a Brahmâ?’ E disse: “Io ti mostrerò la via che porta a rinascere insieme a Brahmâ. Ascolta e fai bene attenzione a ciò che dirò!”

“Sì, signore!”: replico allora attento Dhanañjani.

L’on. Sâriputto disse: “Ecco, un monaco dimora irradiando con animo amorevole una regione, poi una seconda, una terza una quarta; così fa in alto ed in basso: dappertutto ed in tutto riconoscendosi, egli dimora irradiando il mondo intero con animo amorevole, ampio, profondo, infinito, senza odio e senza rancore. Questa, Dhanañjani, è la via che porta all’unione con Brahmâ. Inoltre ancora un monaco dimora irradiando con animo compassionevole, con animo lieto, con animo immoto una regione, poi una seconda, una terza una quarta; così fa in alto ed in basso: dappertutto ed in tutto riconoscendosi, egli dimora irradiando il mondo intero con compassionevole, con animo lieto, con animo immoto, ampio, profondo, infinito, senza odio e senza rancore. Questa, Dhanañjani, è la via che porta all’unione con Brahmâ.”

“Allora, Sâriputto, inchinati da parte mia ai piedi del Sublime e digli: ‘Dhanañjani il sacerdote è sofferente, è gravemente malato; egli si inchina ai piedi del Sublime.’ “

Quindi ora l’on. Sâriputto, avendo così fissato Dhanañjani nel caduco mondo di Brahmâ, benché potesse farlo procedere oltre, si alzò dal suo posto e se ne andò. E, non molto tempo dopo che egli se n’era andato, il sacerdote morì, e risorse nel mondo di Brahmâ. Il Sublime [che l’aveva percepito coi suoi poteri] si rivolse ai monaci riferendo l’accaduto.

Quindi ora l’on. Sâriputto giunse dal Sublime, salutò riverentemente, si sedette accanto e riferì le parole di Dhanañjani. “Perché, Sâriputto, avendo fissato il sacerdote nel caduco mondo di Brahmâ, benché potessi farlo procedere oltre, ti sei alzato dal tuo posto e te ne sei andato?”

“Io, Signore, ho pensato: ‘Questi brâhmani sono inclini al mondo di Brahmâ. E se io ora a Dhanañjani il sacerdote mostrassi la via che porta a rinascere insieme a Brahmâ?’ “

“Morto, Sâriputto, è Dhanañjani il sacerdote: ed è risorto nel mondo di Brahmâ!”.

Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.

Testo: Majjhima Nikaya