Questo ho sentito. Una volta il Sublime girava per la terra degli Anguttarâpi con circa milleduecento monaci, e giunse nel locale borgo di Âpanam. Sentì ora Keniyo, il portatore di treccia, che il Sublime era giunto lì preceduto dal consueto elenco di eccelsi elogi e fama di Svegliato.
Allora Keniyo si recò là dov’era il Sublime, scambiò con lui i consueti rispettosi saluti e si sedette accanto a lui. Il Sublime lo rincuorò, lo sollevò, lo confortò e consolò con istruttivo colloquio ed egli, così consolato disse: “Mi conceda il signore Gotamo di pranzare domani da me con i monaci!”
Così invitato, il Sublime replicò: “Grande, Keniyo, la comitiva è di milleduecento monaci: e tu sei devoto dei brâhmani.”
Per due volte l’invito fu ripetuto e per due volte il Sublime diede la stessa risposta. Alla terza volta il Sublime acconsentì col silenzio, e Keniyo si alzò dal suo posto e ritornò al suo romitorio. Quindi egli convocò i suoi amici, colleghi, parenti e congiunti: “Sentite, cari! L’asceta Gotamo è invitato per domani a pranzo da me, insieme ai suoi uomini: vogliate prestarmi aiuto!”
“Volentieri, signore!” replicarono tutti: ed alcuni prepararono il focolare, altri spaccarono la legna, altri lavarono il vasellame, altri portarono i recipienti con l’acqua, ed altri infine disposero i sedili. Keniyo dal canto suo mise egli stesso in ordine il locale. In quel tempo viveva ad Âpanam il brâhmano Selo, un gran conoscitore dei tre Veda, con le parole ed i riti, con la scienza dei suoni e delle forme, e con le quintuplici leggende: un commentatore e discettatore, fornito, secondo il
giudizio del mondo, di tutti gli attributi di un grande uomo, uno che insegnava i testi a trecento discepoli. E Keniyo era in quel tempo assai devoto al sacerdote Selo. Proprio allora Selo, recandosi a passeggio con i suoi trecento discepoli, giunse al romitorio di Keniyo, e osservò come tutti si davano gran da fare. Allora chiese: “Forse presso il signor Keniyo si celebrano le nozze della figlia, o del figlio, o si prepara un grande sacrificio, o si è invitato per domani a pranzo il re di Maghadhâ, Seniyo Bimbisâro, col suo esercito?”
“Niente di tutto ciò. Però un grande sacrificio è stato da me preparato. L’asceta Gotamo, il discendente dei Sakyâ, che ha rinunciato alla loro eredità, lo Svegliato, è stato da me invitato a pranzo per domani, insieme con i suoi monaci.”
“Lo Svegliato, Keniyo, dici?”
“Lo Svegliato, Selo, dico!”
Selo il brâhmano pensò: ‘Questa parola ‘Svegliato’, si sente assai di rado nel mondo! Però nei nostri testi sono indicati i trentadue attributi, dotato dei quali, un grande uomo ha aperte innanzi a sé due sole vie. Se resta a casa, diviene un re, un sovrano giusto e virtuoso, imperatore della terra, protettore del popolo, dotato delle sette gemme: quella del dominio, degli elefanti, dei cavalli, dei gioielli, delle donne, dei cittadini e dei ministri. Ed egli avrà oltre cento figli, valorosi, eroici, distruttori degli eserciti nemici: così egli reggerà e governerà solo con la giustizia, senza verghe e senza spada, tutta questa terra cinta dal mare. Se però rinuncia alla casa per l’ascetica povertà, allora diviene un santo, perfetto Svegliato, uno svelatore del mondo.’ E quindi chiese: “Dove si trova adesso il signore Gotamo, il santo, il perfetto Svegliato?”
“Là, Selo, dove si stende l’azzurra linea del bosco.”
E il sacerdote Selo si diresse là dov’era il Sublime con i suoi trecento discepoli: ma prima disse loro: “Procedete insieme, miei signori, passo per passo, senza fare chiasso perché questi sommi sono di difficile accesso, come leoni solitari. E quando io sarò in colloquio con l’asceta Gotamo, non interrompete con questioni secondarie, ma vogliate aspettare la fine del discorso!”
Giunto presso il Sublime egli scambiò cortese saluto, notevoli, amichevoli parole, e si sedette accanto. Seduto accanto Selo pensò: ‘L’asceta Gotamo è dotato di tutti i trentadue attributi di un grande uomo, al completo: eppure non so se egli è uno Svegliato o no. Ma io ho sentito dire, dai sacerdoti anziani e dai loro maestri, che i santi, perfetti Svegliati si manifestano, se sono lodati. E se ora salutassi l’asceta Gotamo con versi appropriati?’ E Selo pronunciò questi versi:
“Perfetto tu hai il corpo, o Signore, benfatto, splendente;
forti le membra, aureo il colore, bianchissimi i denti.
Tutti i segni di nobile nato guerriero
sono in te manifesti, i segni della tua grandezza.
Con l’occhio raggiante, il lieto sembiante e l’alto andamento,
tu splendi tra gli asceti come sole in firmamento.
Mendicante di sì bello aspetto e d’aureo splendore,
perché mai, con queste tue doti, l’asceta tu fai?
Per essere re tu sei nato, guerriero, sovrano,
signore dell’indica terra recinta dal mare.
Guerrieri e principi superbi saranno ai tuoi ordini:
reggili, o Gotamo, quale re dei re, pastore di popoli!”
E il Sublime rispose:
“Un re sono, sì, o Selo, ma un re della dottrina:
con la dottrina reggo il regno, un regno insuperabile.”
E Selo replicò:
“Saresti tu allora, come tu dici, il perfetto Svegliato,
il re della dottrina, che con la dottrina regge il suo regno?
Chi è il tuo successore, chi è il discepolo, che dopo di te
girerà la ruota della dottrina, girata da te?”
E il Sublime rispose:
“La ruota girata da me, l’incomparabile ruota della dottrina,
sarà, o Selo, girata da Sâriputto, dopo il Compiuto.
Il conoscibile ho conosciuto, il compibile ho compiuto,
il lasciabile ho lasciato: perché sono, o sacerdote, uno Svegliato.
Non dubitare perciò di me, abbi fede in me:
difficile è, o brâhmano, rivedere uno Svegliato.
Quel che di rado si vede nel mondo, quello io sono:
un medico, un artista senza pari, un perfetto Svegliato.
Sommo santo e senza pari vincitore della Morte,
vittorioso, sicuro, sereno dimoro in letizia.”
A queste parole Selo il sacerdote si rivolse ai suoi discepoli:
“Ascoltate, o signori, e seguite quel che il vate ci dice:
egli è medico, egli è l’eroe, che ha il ruggito di leone!
Chi, vedendo il sommo santo, vincitore della Morte,
non s’indìa (?), se anche è un servo?
Chi mi ama, quei mi segua; chi non m’ama, se ne vada:
un discepolo io divento del migliore dei maestri!”
E i discepoli gli risposero:
“Se tu credi di seguire di tal Sommo la dottrina,
anche noi sarem discepoli del migliore dei maestri!”
Quindi ora i trecento discepoli con le mani giunte implorarono: “Fa’, o Signore, che noi possiamo seguire presso di te la vita della tua santità!”
E il Sublime rispose:
“Santa vita qui s’insegna, assai chiara e senza tempo:
non invano qui rinunzia, chi sul serio fa l’asceta.”
E Selo il brâhmano coi suoi trecento discepoli fu dal Sublime accolto nell’ordine dei mendicanti.
La mattina seguente Keniyo il portatore di treccia, avendo fatto portare nel suo romitorio scelte pietanze e bevande, fece annunziare al Sublime: ‘È tempo, o Gotamo, il pranzo è pronto!’ E il Sublime, già per tempo pronto prese mantello e scodella e si recò da Keniyo. Là giunto si sedette insieme ai monaci nei posti preparati. E Keniyo curò e servì di propria mano, con scelte pietanze e bevande, lo Svegliato e i suoi discepoli. Quando il Sublime ebbe mangiato e tolta la mano dalla scodella, Keniyo prese un’altra sedia più bassa e gli stette accanto. Il Sublime lo rallegrò con questi versi:
“Gloria del sacrificio è il fuoco, gloria degli inni Sâvittî,
gloria degli uomini il re, gloria dei fiumi il mare.
Gloria delle stelle è la luna, gloria delle luci il sole,
gloria dell’opere la buona azione, gloria dell’elemosina la mendicità.”
Ora il Sublime, avendo rallegrato con questi versi Keniyo, si alzò dal suo posto e se ne andò. Intanto l’on. Selo, dimorando solitario, ritirato, solerte, tenace, instancabile, aveva ben presto fatto a sé palese, realizzato e raggiunto quel sommo fine dell’ascetismo per cui i nobili figli rinunciano alla casa per l’ascetica mendicità. Comprese egli allora: “Esausta è la vita, compiuta la santità, operata l’opera, non esiste più questo mondo”. E così anche l’on. Selo era divenuto un altro dei santi.
Allora l’on. Selo, insieme ai suoi discepoli, si recò dal Sublime e, con una spalla scoperta e le mani giunte, si rivolse al Sublime con questi versi:
“Il rifugio, o Signore, da noi preso in te or sono otto giorni,
realizzato è già da noi, discepoli della tua dottrina.
Tu sei lo Svegliato, tu il Maestro, tu il Savio immortale,
tu il salvato Salvatore degli altri.
Distaccato da ogni attaccamento, spassionato di passioni,
tu sei il Leone, che avanza sicuro, senza paura.
Trecento mendicanti son qui, a te genuflessi:
porgi il tuo piede, o eroe, alla nostra adorazione.”
Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Testo: Majjhima Nikaya