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MN 7: Vatthupama Sutta – Il Paragone della veste

Questo ho sentito. Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella Selva del Vincitore, nel parco di Anâthapindiko. Là il Sublime si rivolse ai monaci: “Monaci, se un tintore prendesse una veste sudicia e piena di macchie, e la immergesse in una tintura, non importa quale, azzurra, gialla, rossa o violetta, essa potrebbe prendere solo una tinta brutta e impura perché la veste non è pulita. Allo stesso modo da un cuore immondo c’è da aspettarsi una cattiva riuscita.

Se invece il tintore prendesse una veste netta e pura, essa potrebbe prendere solo una tinta buona e pura. Allo stesso modo da un cuore non immondo c’è da aspettarsi una buona riuscita.

Ora, monaci, cos’è il turbamento del cuore? Esso è dannoso egoismo, malvagità, abiezione, ipocrisia, invidia, gelosia, interesse, frode, malizia, ostinazione, violenza, presunzione, superbia, negligenza e leggerezza.

Ora, un monaco che abbia riconosciuto tutte queste cose, le rinnega, e se ciò accade allora è provato e proclamato il suo amore per lo Svegliato in questo modo: “Questo è il Sublime, il Santo, il perfetto Svegliato, l’Esperto di sapienza e di vita, il Benvenuto, il Conoscitore del mondo, l’incomparabile Guida dell’umano gregge, il Maestro degli dei e degli uomini”; è provato il suo amore alla dottrina: “Bene annunziata è dal Sublime la dottrina evidente, senza tempo, incitante, invitante, ad ogni intelligente intelligibile”; è provato il suo amore ai discepoli: “L’ordine, il Sangha, è, presso il Sublime, bene, degnamente, rettamente, convenientemente affidato, quattro paia di uomini, otto specie di uomini [?]: questo è l’ordine del Sublime, che merita devozione e doni, elemosina e saluto, che è la più santa sede del mondo”. Il detto monaco ha però abbandonato, smesso, disciolto, rinnegato e rigettato il riguardo: conosce il distacco da tutto [?].

“Il mio amore per lo Svegliato, per la dottrina e per i discepoli è provato”: così egli acquista la comprensione del senso, la comprensione della dottrina, l’intelligente deliziarsi della dottrina. Tale delizia lo rende beato. Il corpo del beato si calma. Il calmo prova fisica serenità. Il cuore del sereno prova raccoglimento.

Ora un monaco che possiede tale virtù, tale dottrina, tale sapienza, può anche godere cibo mendicato che sia fatto di riso scelto, ben saporito e condito, e ciò non lo danneggia. Così come una veste sudicia e piena di macchie, lavata in acqua chiara diviene nitida e tersa, oppure l’oro fuso nel crogiolo diventa schietto e puro; così pure un monaco che possiede tale virtù, tale dottrina, tale sapienza, può anche godere cibo mendicato.

Rimanendo con animo amorevole egli irradia in tutte le direzioni, nord, sud, est, ovest, zenit e nadir, dappertutto riconoscendosi, il mondo intero amorevolmente, con ampio, profondo, illimitato animo, schiarito da rabbia e rancore.

Lo stesso egli fa con animo compassionevole, con animo lieto, con animo immoto.

“Così è”, egli comprende; “Vi è ciò che è volgare e vi è ciò che è nobile, e vi è una libertà più alta di questa percepita dai sensi”. E in tale contemplazione, in tale visione il suo cuore viene redento dalla mania del desiderio, dalla mania dell’esistenza, dalla mania dell’errore. Sorge in lui questa conoscenza: “Nel redento è la redenzione”. Comprende allora: “Esaurita è la vita, compiuta la santità, operata l’opera, non esiste più questo mondo”. Questo si chiama, monaci, un monaco purificato nell’intimo.”

In quel frattempo si era avvicinato al Sublime il bramano Sundariko Bhâradvâjo che si rivolse a lui chiedendo: “Va forse il signore Gotamo a bagnarsi nella Bâhukâ?”

“Che c’è, bramano, che c’entra la Bâhukâ?”

“Si crede, Gotamo, che essa purifichi, che essa santifichi, che nelle sue onde si lavino le proprie colpe.”

Allora il Sublime si volse verso il bramano Sundariko Bhâradvâjo e recitò questi versi:
“La Bâhukâ, l’Adhikâ, la Gayâ,
Anche la Sundarî e Sarassatî,
E la corrente del Payâgo fluido,
E di Bâhumatî veloce il fiume,
Non lavano giammai lo scellerato,
Se anche uno si lavasse in ogni tempo.

Che gioverebbe mai la Sundarî,
O l’onda del Payâgo o la Gayâ?
Già l’acqua mai deterge dai suoi falli
Chi passo passo va per falsa strada.

Al giusto sempre ride lieto maggio,
Al giusto sempiterno è dì di festa,
Al giusto, a lui, che valoroso vive,
Adempito vien sempre il suo desio.

Bagnati dunque, o bramano, sol qui:
Per tutto ciò che vive abbi pietà.

E se rinunzia hai fatto alla menzogna,
Se non offendi più vivente alcuno,
E più non prendi ciò che non è dato,
Nella rinunzia ognora sei costante,
A che verrai più mai alla Gayâ?
Fiumana la Gayâ, non altro è a te.”
Dopo queste parole il bramano Sundariko Bhâradvâjo disse al Sublime:

“Benissimo, Gotamo, benissimo! Così come quasi, Gotamo, se uno raddrizzasse ciò che è rovesciato, o scoprisse ciò che è coperto, o mostrasse la via a chi s’è perso, o portasse lume nella notte: “Chi ha occhi vedrà le cose”: così anche appunto il signore Gotamo in vari modi ha esposto la dottrina. Anche io prendo rifugio presso il signore Gotamo, presso la Dottrina e presso l’Ordine. Voglia il signore Gotamo concedermi accoglienza, conferirmi l’ordinazione.”

E il bramano Sundariko Bhâradvâjo venne accolto dal Sublime, venne investito dell’ordinazione. Ma non molto dopo che era stato accolto nell’ordine, egli, solitario, appartato, infaticabile, con fervido, intimo sforzo aveva rapidamente, ancora durante la vita, scoperto, realizzato e raggiunto quell’altissimo scopo dell’ascetismo che porta i nobili figli dalla casa all’eremo. “Esausta è la vita, compiuta la santità, operata l’opera, non esiste più questo mondo”, egli comprese allora. Anche l’onorevole Bhâradvâjo era adesso divenuto uno dei santi.

Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.

Testo: Majjhima Nikaya