Questo ho sentito. Una volta soggiornava il Sublime presso Savatti, nella selva del Vincitore. In quel tempo un monaco a nome Arittho, già cacciatore di avvoltoi, aveva manifestato la seguente falsa opinione:
– Cosi’ intendo io la dottrina annunziata dal Sublime, che quelle azioni designate dal Sublime come dannose, non riescono necessariamente a danno di chi le fa.
Ora venne a molti monaci agli orecchi ciò che Arittho diceva, andarono presso di lui e gli chiesero se era vero che egli avesse concepito tale falsa opinione. Avutane conferma, quei monaci vollero distogliere Arittho dalla sua falsa opinione, gli si volsero, gli parlarono, lo ammaestrarono:
– Non parlare cosi’, fratello Arittho, non correggere il Sublime, non e’ bene correggere il Sublime, non può il Sublime aver detto ciò. In varia guisa, fratello Arittho, vennero spiegate dal Sublime le azioni dannose, ed esse riescono necessariamente di danno a chi le fa. Inappaganti sono le brame, ha detto il Sublime, piene di dolore, piene di spasimo: la miseria prepondera. Ad ossa spolpate ha paragonato il Sublime le brame: a brani di carne; a paglia infiammata; a carboni accesi; a visioni di sogno; ad accattonaggio; a frutti d’albero; a tagli di spade; a punte di lance; simili a fauci di serpi sono le brame, piene di dolore, piene di spasimo, la miseria prepondera.4
Ma Arittho il monaco, già cacciatore di avvoltoi, sebbene cosi’ sollecitato, ammonito ed ammaestrato, si tenne tenacemente fermo nella sua opinione.
Ora, quando i monaci videro che non potevano distogliere Arittho dalla sua falsa opinione, si recarono dal Sublime, gli dissero delle false opinioni di Arittho e di come essi avevano tentato di distoglierlo. Allora il Sublime disse ad uno dei monaci di chiamare il fratello Arittho. Quando fu al Suo cospetto, gli parlo’ cosi’:
– E’ vero Arittho, che tu hai concepito tale falsa opinione: cosi’ comprendo io la dottrina annunciata dal Sublime, che quelle azioni designate dal Sublime come dannose, non riescono necessariamente di danno a chi le fa?
– Cosi’ e’ sicuro: io, o Signore, comprendo la dottrina in questo modo.
– Da chi tu dunque, hai sentito, uomo vano, che io abbia annunziata una tale dottrina? Non ho io, o uomo vano, in varia guisa spiegato le azioni dannose, ed esposto che esse riescono necessariamente di danno a chi le fa?
Ed il Sublime si volse ai monaci:
– Comprendete anche voi, o monaci, l’annunziata dottrina cosi’, come l’intende questo monaco Arittho, che malintesamente ci corregge e scava a se stesso la fossa e si crea grave danno?
– Non cosi’ o Signore! In varia guisa il Sublime ci ha ben spiegato le azioni dannose ed esposto come esse necessariamente riescono di danno a chi le fa. Inappaganti sono le brame, ha detto il Sublime, piene di dolore, piene di spasimo: la miseria prepondera.
– Bene, voi monaci, bene che voi comprendiate cosi’ l’annunziata dottrina. Ma vi sono, voi monaci, anche uomini vani che apprendono la dottrina; quantunque abbiano appreso la dottrina, essi non ricercano con sapienza il senso della dottrina: per cui le dottrine non forniscono loro alcun sapere. Essi non imparano le dottrine se non per poter esprimere su di esse discorsi ed opinioni. Lo scopo, per cui apprendono le dottrine, essi non lo scorgono. A costoro le male apprese dottrine riescono largamente di danno e di dolore, perché essi hanno afferrato male le dottrine. E’ come se, o monaci, un uomo che brama serpi, esce per serpi, cerca serpi, trovasse un possente serpe e l’afferrasse per il corpo o la coda: il serpe si scaglierebbe su di lui e lo morderebbe alla mano, al braccio o in un altro membro, sicché l’uomo ne patirebbe la morte o mortale dolore. Ma vi sono, o monaci, anche nobili figli che apprendono le dottrine e ricercano con pazienza il senso delle dottrine, e queste forniscono loro il sapere. Essi non imparano le dottrine solo per poter esprimere su di esse discorsi ed opinioni, ma scorgono lo scopo delle dottrine che, in questo modo, riescono loro largamente di vantaggio, di salute, perché hanno afferrato bene le dottrine. E’ come se, o monaci, un uomo che brama serpi, cerca serpi, esce per serpi, trovasse un possente serpe e con un bastone forcuto lo abbattesse quindi lo pigliasse stretto per il collo: anche se il serpe col suo corpo avvinghiasse mano o braccio od altro membro dell’uomo, non per questo l’uomo avrebbe da temere morte ne’ mortale dolore, perché egli ha afferrato bene il serpe.
Perciò, voi monaci, ciò che voi del senso del mio discorso intendete, quello serbate fedelmente, ma ciò che non intendete, quello debbo discuterlo con voi affinché vi siano monaci bene istruiti.
Come zattera, voi monaci, voglio mostrarvi la dottrina, atta a salvarsi, non a tenere. Ascoltate e fate bene attenzione.
Cosi’ come se un uomo in cammino pervenisse ad una grande distesa d’acqua, la riva di qua piena di pericoli e paure, la riva di la’ sicura e senza pericoli, e non vi fosse nessuna barca per il traghetto, nessun ponte. Se quest’uomo pensasse: se io ora raccogliessi canne e tronchi, foglie e fascine e costruissi una zattera e mediante questa tragittassi sull’altra riva? E, costruita la zattera, tragittasse in salvo sull’altra riva e pensasse cosi’: carissima mi e’ veramente questa zattera che mi ha portato in salvo sull’altra riva; e se io ora mi ponessi sul capo questa zattera o me la caricassi sulle spalle, e me ne andassi dove voglio; che pensate voi di ciò, monaci? Quest’uomo con tale agire tratterebbe forse convenientemente la zattera?
– Certamente no, o Signore!
– Se quest’uomo salvato, tragittato, riflettesse cosi’: carissima mi e’ veramente questa zattera che mi ha portato in salvo sull’altra riva; e se io ora posassi questa zattera sulla riva o la gettassi nell’onda e me ne andassi dove voglio; con tale agire veramente, voi monaci, tratterebbe convenientemente la zattera. In questo modo, voi monaci, io ho esposto la dottrina come zattera, atta a salvarsi, non a tenere.
Voi che il paragone della zattera bene intendete anche il giusto, taccio l’ingiusto, lasciare dovete.
– Sei false dottrine, voi monaci, vi sono: l’inesperto uomo comune dei santi inconsapevole, ignaro, estraneo alla dottrina, dei nobili inconsapevole ignaro ed estraneo alla dottrina dei nobili, considera il corpo; la sensazione; la percezione; le distinzioni; ciò che e’ visto, sentito, pensato, riconosciuto, raggiunto, esaminato, ricercato nello spirito; la dottrina che insegna: ciò e’ il mondo, ciò e’ l’anima, ciò diverrò io dopo la mia morte, imperituro, persistente, eterno, immutabile, eternamente eguale, certo cosi’ io rimarrò; di tutte queste cose egli ritiene: ciò mi appartiene, ciò sono io , ciò e’ me stesso. L’esperto santo uditore pero’, voi monaci, di tutte queste cose egli ritiene: ciò non mi appartiene, ciò non sono io, ciò non e’ me stesso. Considerando cosi’ le cose egli non conosce alcun irragionevole tremore. A queste parole si volse uno dei monaci al Sublime:
– Può forse sopravvenire irragionevole tremore per ragioni esteriori?
– Può essere, o monaco, – disse il Sublime – per esempio, un uomo viene in questo stato d’animo: Io l’ho perduto, ahimè, non lo posseggo più! Oh l’avessi io di nuovo! Ah, non l’otterrò mai più! Egli e’ triste, affranto, si lagna, si batte gemendo il petto e cade in disperazione. Cosi’ o monaco, sopravviene irragionevole tremore per ragioni esteriori.
– E può forse, o Signore, cessare irragionevole tremore per ragioni esteriori?
– Può essere, o monaco, – disse il Sublime – un uomo non viene in questo stato d’animo: Io l’ho perduto, ahimè non lo posseggo più! Oh, l’avessi io di nuovo! Ah, non l’otterrò mai più! Ed egli non e’ triste, non affranto, non si lagna, non si batte gemendo il petto e non cade in disperazione. Cosi’ o monaco, cessa irragionevole tremore per ragioni esteriori.
– Ma può, o Signore, sopravvenire irragionevole tremore per ragioni interiori?
– Può essere, o monaco, – disse il Sublime – per esempio un uomo crede: ciò e’ il mondo, ciò e’ l’anima, ciò diverrò io dopo la mia morte, imperituro, persistente, eterno, immutabile, eternamente eguale, certo cosi’ io rimarrò. Egli sente dal Compiuto o da un discepolo l’annunzio della dottrina, che distrugge dalle fondamenta ogni attaccamento e soddisfazione in false dottrine, dogmi e sistemi, che mena alla distruzione di ogni esistenza, al distacco da ogni attaccamento alla vita, all’annientamento della sete di vivere, alla fine della mania, alla dissoluzione, all’estinzione. Allora egli viene in tale stato d’animo: Io perirò, io finirò, ahimè! non sarò più. Egli e’ triste, affranto, si lagna, si batte gemendo il petto e cade in disperazione. Cosi’ o monaco, sopravviene irragionevole tremore per ragioni interiori.
– E può forse, o Signore, cessare irragionevole tremore per ragioni interiori?
– Può essere, o monaco, se un uomo crede in false dottrine, ma poi sente dal Compiuto o da un discepolo l’annunzio della dottrina che distrugge dalle fondamenta ogni attaccamento e soddisfazione in false dottrine, e perciò egli non viene in tale stato d’animo: Io perirò, io finirò ahimè’! io non sarò più. Ed egli non e’ triste, non affranto, non si lagna, non si batte gemendo il petto, non cade in disperazione. Cosi’, o monaco, cessa irragionevole tremore per ragioni interiori.
Potete, voi monaci, conseguire un bene, il cui possesso rimanga imperituro, persistente, eterno, immutabile, eternamente uguale e costante? Conoscete, voi monaci, un tale bene?
– Veramente no, o Signore!
– Bene, voi monaci, anche io non conosco un tale bene. Siete voi forse, o monaci, aderenti ad una fede in immortalità, per la quale il fedele venga redento da affanno, miseria, dolore, strazio e disperazione?
– Veramente no, o Signore!
– Bene, anche io non conosco una tale fede. Seguite voi forse una scuola mediante la quale il seguace venga preservato da affanno, miseria, dolore, strazio e disperazione?
– Veramente no, o Signore!
– Bene, anch’io non conosco una tale scuola. Se l’Io stesso, voi monaci, esistesse, potrebbe allora anche darsi un: a me proprio?
– Si, o signore.
– Se il Proprio, voi monaci, esistesse, potrebbe allora anche darsi un: Me Stesso?
– Certamente, Signore.
– Siccome ne’ l’Io, ne’ il Proprio può veramente e realmente essere conseguito, che n’è del dogma che insegna: ciò e’ il mondo, ciò e’ l’anima, ciò diverrò io dopo la morte, imperituro, persistente, eterno, immutabile, eternamente eguale, certo cosi’ io rimarrò; non e’ ciò o monaci, una ben maturata dottrina di stolti? Che pensate, voi monaci, il corpo, la sensazione, la percezione, le distinzioni, la coscienza, sono mutabili o immutabili?
– Mutabili, Signore.
– Ma ciò che e’ mutabile, e’ doloroso o piacevole?
– Doloroso, Signore!
– Ma ciò che e’ mutabile, doloroso, caduco, si può di esso con diritto dire: ciò mi appartiene, ciò sono io, ciò’ è me stesso?
– Veramente no, o Signore.
Perciò o monaci, tutto ciò che v’è del corpo, delle sensazioni, percezioni, distinzioni, coscienza, passate presenti e future, proprie od estranee, grosse o fini, volgari o nobili, lontane e vicine, tutte sono da considerarsi, conforme a verità, con perfetta sapienza, cosi’: ciò non mi appartiene, ciò non sono io, ciò non e’ me stesso.
Cosi’ vedendo, voi monaci, l’esperto santo uditore, diviene sazio del corpo, della sensazione, della percezione, delle distinzioni, della coscienza. Sazio, rinunzia. Con la rinunzia, si redime. Nel redento e’ la redenzione, questa cognizione sorge. Esausta e’ la vita, compiuta la santità, operata l’opera, non esiste più questo mondo, comprende egli allora. Un tale monaco viene allora chiamato Scardinatore, Colmatore della Fossa, Strappatore della Freccia, Sganciato, Distaccato.
E perché Scardinatore? Perché da questo monaco viene abbattuta l’ignoranza, stroncata dalle radici, fatta simile a ceppo di palma, cosi’ che essa non può più germinare, ne’ svilupparsi.
E perché Colmatore della Fossa? Perché da questo monaco il mutevole mondo delle nascite, gravido d’esistenza, viene rinnegato, stroncato dalle radici, fatto simile a ceppo di palma, cosi’ che essa non può più germinare ne’ svilupparsi.
E perché Strappatore della Freccia? Dal monaco la sete di vivere viene rinnegata, spenta dalle radici, fatta simile a ceppo di palma, cosi’ che essa non può più germinare ne’ svilupparsi.
E perché Sganciato? Dal monaco i cinque vincoli vengono rinnegati, stroncati dalle radici, fatti simili a ceppo di palma, cosi’ che essi non possono più germinare ne’ svilupparsi.
E perché Distaccato? Dal monaco la vanità dell’Io viene rinnegata, stroncata dalle radici, fatta simile a ceppo di palma, cosi’ che essa non possa più germinare ne’ svilupparsi.
Il monaco cosi’ redento d’animo, non ardiscono avvicinarlo nemmeno gli dei Indra, Brahma e Pajapati: salda e’ la coscienza di questo Compiuto. Infatti già in vita io chiamo il Compiuto intangibile. Me, che cosi’ parlo, cosi’ insegno, alcuni asceti e bramani accusano irragionevolmente, falsamente, futilmente, a torto cosi’: Un distruttore e’ l’asceta Gotamo, egli annunzia distruzione, annientamento, rinnegamento della vera vita. Essi mi accusano di ciò che io non sono: oggi come prima, voi monaci, io annunzio soltanto una cosa: il dolore e l’estirpazione del dolore.
Se quindi gli uomini biasimano, condannano, perseguono ed attaccano il Compiuto, egli non si disgusta, ne’ si sdegna, ne’ si abbatte. E se gli uomini valutano, lodano, stimano ed onorano il Compiuto, egli non si allieta, ne’ si allegra o si esalta; allora il Compiuto pensa cosi’: perché questo e’ stato già prima pensato, perciò mi fanno essi qui tali onori.
Perciò o monaci, anche voi dovete comportarvi alla stessa maniera. Rinunziate, voi monaci, a ciò che non vi appartiene, e ciò sarà per voi largamente di vantaggio. E cos’è che non vi appartiene? Il corpo, la sensazione, la percezione, le distinzioni, la coscienza; tutte queste non vi appartengono: rinunciatevi; ciò vi riuscirà largamente di vantaggio, di salute.
Che pensate, voi monaci, se un uomo portasse via, bruciasse o a suo piacimento o trattasse ciò che in questa selva del Vincitore e’ sparso di erbe e fascine, ramoscelli e foglie, pensereste voi forse: costui ci porta via, ci brucia, ci tratta a suo piacimento?
– Veramente no, o Signore!
– E perché no?
– Non e’ certo ciò il nostro Io o Proprio!
– Or cosi’ appunto, rinunziate a ciò che non vi appartiene. Cosi’, voi monaci, ho esposto e svelato la verità. E per coloro che hanno raggiunto lo scopo non vi è più’ girare; coloro che hanno spezzato i cinque vincoli si estinguono per non tornare più in questo mondo: coloro che hanno spezzato i tre vincoli, scaricati di brama, avversione ed errore, torneranno solo una volta e poi porranno fine al dolore; coloro che sono inclini alla verità, inclini alla dottrina, questi si affrettano verso il pieno risveglio.
Cosi’ parlo’ il Sublime. Contenti si rallegrarono quei monaci sulla parola del Sublime.
Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Testo: Majjhima Nikaya