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MN 21: Kakacûpama Sutta – Il paragone della sega

Questo ho sentito. Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella Selva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Proprio allora l’onorevole Moliyaphagguno si tratteneva in un momento inopportuno in compagnia delle monache, e, se qualcuno dei monaci biasimava davanti a lui quelle monache, egli, indispettito e irritato, reagiva subito con un rimprovero; e, se, qualcuno dei monaci biasimava l’onorevole Moliyaphagguno davanti alle monache, esse, ugualmente indispettite e irritate, reagivano allo stesso modo.

Allora un monaco si recò dal Sublime, lo salutò riverentemente, si sedette accanto e gli riferì l’accaduto. Il Sublime allora chiese a un monaco di andare da Moliyaphagguno e di dirgli che desiderava vederlo. Quando egli giunse, il Sublime gli disse ciò che gli era stato riferito e gli chiese se era vero. Moliyaphagguno rispose che sì, era vero.

Il Sublime gli chiese: “Non hai tu dunque, come un nobile figlio mosso da fiducia, lasciato la casa per l’eremo?” Avendogli Moliyaphagguno risposto di sì, il Sublime continuò: “Non sta bene che tu abbia fatto ciò che mi è stato riferito, devi smettere di reagire e devi ben esercitarti così: ‘Non deve l’animo mio essere turbato, nessuna parola cattiva deve sfuggire dalla mia bocca, voglio rimanere amichevole e compassionevole, con animo amorevole, senza segreta malizia’. Perciò se anche qualcuno in tua presenza battesse con pugni quelle monache, tirasse loro pietre, le battesse con mazze, le colpisse con spade allora tu, Phagguno, dovrai evitare tutti i moti volgari, tutte le decisioni volgari, e dovrai esercitarti nel modo che ti ho detto. Lo stesso se qualcuno vuole biasimarti, e ancora lo stesso se qualcuno ti battesse con pugni, ti gettasse pietre, ti bastonasse con mazze, ti colpisse con spade.”

E ora il Sublime si rivolse ai monaci: “Una volta i monaci mi venivano incontro con fiducia, e io mi rivolgevo ad essi dicendo: ‘Io prendo solitario pasto, e, così facendo, conservo salute e freschezza, validità, forza e benessere. Fate anche voi come me, e ne avrete gli stessi benefici’. E a quei monaci non occorreva altra esortazione da me, solo il loro sapere era da svegliare. Come se sopra un buon terreno, all’imbocco di quattro strade, fosse pronto un eccellente attacco, fornito della relativa frusta; e un maestro dell’arte di guidare, un esperto auriga, salisse su questo carro, prendesse le redini con la sinistra, la frusta nella destra, e andasse come gli pare e piace qua o là: così appunto quei monaci non avevano bisogno di alcuna esortazione da me: solo il loro sapere era da svegliare. Perciò, monaci, rinnegate il dannoso, siate costanti in ciò che è salutare, perché così anche voi, in questo ordine, giungerete alla riuscita, alla maturità e allo sviluppo.

Come se, nelle vicinanze d’un villaggio o d’una città, vi fosse un fitto bosco pullulante di arbusti di ricino, e uno si impietosisse degli alberi e si mettesse a prendersene cura: tagliasse i tronchi curvi e secchi, li portasse via e tenesse netta la selva ben diboscata, curasse attentamente i tronchi diritti, ben cresciuti; certamente tale selva giungerebbe alla riuscita, alla maturità e allo sviluppo: così anche voi, monaci, rinnegate il dannoso, siate costanti in ciò che è salutare, e riuscirete. Una volta viveva qui in Sâvatthî un massaia di nome Vedehikâ. Essa, che godeva buona fama d’essere mite e pacifica, aveva una serva di nome Kâlî che, lesta e diligente, svolgeva bene le sue diverse faccende. Alla serva venne un dubbio: ‘La mia padrona gode certo di buona fama, ma nasconde solo internamente la sua bile, o ne è priva? Forse io faccio tutte le mie faccende così bene che la padrona non può mostrare il brutto carattere che ha? Voglio proprio, almeno una volta, mettere la mia padrona alla prova!’ La serva allora, il mattino seguente, si alzò a giorno fatto. La padrona le chiese come mai. La serva rispose che a lei non importava. La massaia, incollerita e sdegnata, con le sopracciglia corrugate replicò che invece a lei importava. Ma la serva volle mettere la padrona a più forte prova, e si alzò ancora più tardi. Vi fu un altro duro scontro verbale. Per vedere fino a che punto la padrona avrebbe davvero perso la pazienza, Kâlî si alzò ancora più tardi di prima. La padrona, esasperata, afferrò il paletto della porta e glielo tirò sulla testa. La serva Kâlî, con la testa rotta, grondante sangue, corse dai vicini, e gemendo si lamentava: ‘Guardate, brava gente, l’opera della mite, della pacifica; guardate cosa passa una serva sotto un stimata padrona.’ E alla massaia venne ora una brutta fama: ‘Violenta è la massaia Vedehikâ, furiosa, manesca è la massaia Vedehikâ!’ Così, monaci, accade che un monaco è dolce, mite e pacifico quando lo toccano modi di parlare graditi; ma se i modi sono sgraditi deve ugualmente mostrarsi dolce, mite e pacifico. Io non chiamo mite il monaco che diviene mite, che guadagna mitezza se gli vengono offerte vesti, elemosine, giaciglio e, in caso di malattia, medicine, perché non sarebbe mite se nulla gli fosse offerto. Però un monaco che stima, onora e pregia la verità, e per questo diviene mite, quello io lo chiamo mite. Così devono esercitarsi i monaci a sopportare.

Vi sono cinque specie di modi di parlare che le persone che vi stanno davanti possono usare: tempestivo o intempestivo, sensato o insensato, civile o villano, conveniente o sconveniente, amorevole o maligno. Le persone possono parlare in tutti questi modi, quindi voi, monaci, dovete ben esercitarvi a non esserne turbati, a non lasciar sfuggire dalla bocca nessuna cattiva parola, a rimanere amichevoli e compassionevoli, con animo amorevole, senza segreta malizia. E dovete esercitarvi a irradiare la persona che vi sta davanti con animo amorevole, e poi, cominciando da quella, a irradiare il mondo intero con animo amorevole, con animo ampio, profondo, illimitato, privo di rabbia e rancore. Come se arrivasse un uomo provvisto di zappa e cofano e dicesse di voler sterrare l’intera terra, e scavasse qua e là, rimuovesse qua e là, dicendo più volte: ‘Senza terra devi tu divenire.’ Cosa ne pensate? Potrebbe forse quell’uomo sterrare la terra?” “Certamente no, Signore! La terra è ben profonda, immensa, non la si può sterrare per quanto quell’uomo voglia affaticarsi e darsi da fare.” “Così appunto le persone possono servirsi di cinque modi di parlare [impossibili da eliminare], ma voi monaci dovete ben esercitarvi nel modo che poc’anzi vi ho indicato.

Come se arrivasse un uomo provvisto di lacca o cuccuma, indaco o carminio, e dicesse: ‘Io disegnerò nel cielo delle figure, dipingerò un quadro’. Vi sembra possibile?” “Certamente no, Signore! Il cielo è informe, invisibile, non vi si può disegnare una figura, dipingere un quadro, per quanta fatica e impegno quell’uomo possa metterci.”

” Così appunto le persone possono servirsi di cinque modi di parlare, ma voi monaci dovete ben esercitarvi nel modo che vi ho già indicato. Come se arrivasse un uomo provvisto di un fascio di paglia acceso, e dicesse: ‘Con questa fascina accesa farò evaporare il Gange, completamente.’ Vi pare che ci riuscirebbe?”

“Certamente no. Il Gange è profondo, smisurato, non ci riuscirebbe mai. Oppure se vi fosse un mantice di pelle di gatto, ben conciato, morbido, e arrivasse un uomo con una pietra o un bastone, e dicesse: ‘Riporterò in vita e in forza questa pelle di gatto.’ Potrebbe?”

“Certamente no. Con una pietra o un bastone non potrebbe assolutamente!’

“O ancora, monaci, se briganti e assassini con una sega da alberi vi staccassero articolazioni e membra, chi per questo provasse furore non adempirebbe il mio insegnamento. Quindi voi monaci dovete ben esercitarvi a non essere turbati, a non lasciar sfuggire dalla bocca nessuna cattiva parola, a rimanere amichevoli e compassionevoli, con animo amorevole, senza segreta malizia. E dovete esercitarvi a irradiare chi vi sta davanti, con animo amorevole, e poi, cominciando da quella, a irradiare il mondo intero con animo amorevole, con animo ampio, profondo, illimitato, privo di rabbia e rancore. Di questo insegnamento col paragone della sega vogliate voi spesso ricordarvi. Sapete, monaci, di un modo di parlare che ora non potreste sopportare?”

“Veramente no, Signore!”

“Perciò, dunque, ricordatevi spesso di questo insegnamento col paragone della sega: esso vi riuscirà largamente di bene, di salute.”

Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i monaci delle sue parole.

Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.

Testo: Majjhima Nikaya