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MN 101: Devadaha Sutta – A Devadaha

Questo ho sentito.Una volta il Sublime dimorava nella terra dei Sakka, in un borgo a nome Devadaham. Là ora si volse il Sublime ai monaci e disse: “Vi sono, o monaci, alcuni asceti e sacerdoti che così dicono, così pensano: ‘ Qualunque cosa un uomo provi, piacere o dolore o nè piacere nè dolore, tutto è per causa di fatti precedenti: quindi con la penitenza delle azioni passate se ne ha l’eliminazione, con l’astinenza da nuove azioni non si ha altro influsso futuro, senza influsso futuro vengono a consumarsi le azioni, col consumarsi delle azioni si consuma il dolore, col consumarsi del dolore si consumano le sensazioni, col consumarsi delle sensazioni verrà a distruggersi tutto il dolore.’ Questo dicono, o monaci, gli Svincolati. Allora io dico loro così:’ Sapete voi dunque, cari Svincolati: noi siamo già esistiti nel passato, non siamo non esistiti?’

‘No di certo, amico.’

‘Sapete voi forse, cari Svincolati: noi abbiamo fatto nel passato cattiva azione, non già non l’abbiamo fatta?’

‘No davvero, amico.’

‘Sapete voi forse, cari Svincolati: noi abbiamo fatto la tale o tal’altra cattiva azione?’

‘No veramente, amico.’

‘Sapete voi forse, cari Svincolati: tanto dolore è distrutto, tanto dolore è da distruggersi; con la distruzione di tanto dolore verrà a distruggersi tutto il dolore?’

‘No, certo, amico.’

‘Sapete però, cari Svincolati, come ancora in vita si tralascino le cose non salutari e si acquistino le salutari?’

‘Veramente no, amico.’

‘Se dunque voi non sapete tutte queste cose, allora non è opportuna l’asserzione: col consumarsi delle azioni si consuma il dolore, col consumarsi del dolore si consumano le sensazioni, col consumarsi delle sensazioni verrà a distruggersi tutto il dolore. Viceversa questa asserzione sarebbe opportuna se Voi sapeste con certezza ciò che io Vi ho chiesto.’

‘Così come quasi, cari Svincolati, se un uomo fosse colpito da una freccia spalmata di veleno, ed egli a causa di ciò provasse sensazioni dolorose, cocenti, pungenti; e i suoi parenti e amici gli procurassero un medico chirurgo che circoncidesse col bisturi la bocca della piaga e a causa di ciò egli provasse sensazioni dolorose, cocenti, pungenti; ed il medico specillasse la ferita procurandogli altre sensazioni dolorose; ed il medico estraesse la freccia, procurandogli altre sensazioni dolorose; e poi cauterizzasse la ferita con grande dolore; e poi, col passare del tempo, rimarginata la ferita, cicatrizzata la pelle, egli fosse guarito e si sentisse sano, indipendente e potesse andare dove gli piacesse. Or così anche, appunto, se voi, cari Svincolati sapeste ciò che affermate, la vostra conclusione sarebbe opportuna; ma voi affermate di non sapere, quindi la conclusione non è opportuna.’

Su questo discorso, o monaci, gli Svincolati mi hanno risposto così: ‘Lo Svincolato Nathaputto sa tutto, discerne e professa illimitato discernimento del sapere: che vada o stia, dorma o vegli, sempre ha presente l’intero discernimento del sapere. Egli dice così: Voi, dunque, cari Svincolati, nel passato avete fatto cattiva azione; voi la espiate con questa severa, dolorosa penitenza; e col corpo frenato, la parola frenata, il pensiero frenato, non fate più sorgere altra cattiva azione; così con la penitenza delle azioni passate se ne ha l’eliminazione, con l’astinenza da nuove azioni non si ha altro influsso futuro, senza influsso futuro vengono a consumarsi le azioni, col consumarsi delle azioni si consuma il dolore, col consumarsi del dolore si consumano le sensazioni, col consumarsi delle sensazioni verrà a distruggersi tutto il dolore. E questo ci appaga e ci piace, e noi ne siamo contenti’.

A queste parole, o monaci, io ho replicato agli Svincolati così: ‘Cinque cose, vi sono, cari Svincolati, che ancora durante la vita hanno due diversi risultati, e cioè: fede, devozione, tradizione, esame, amore di speculazione’. Avendo io parlato così, o monaci, non ottengo una qualsiasi spiegazione soddisfacente. Allora io chiedo loro ulteriormente: ‘ Che pensate voi, cari Svincolati: allorché voi vi esercitate fervidamente, provate voi acute, dolorose, ferventi, pungenti sensazioni? E quando non vi esercitate fervidamente, allora non provate acute, dolorose, ferventi, pungenti sensazioni?’

‘Allorché noi, amico Gotamo, ci esercitiamo fervidamente, allora proviamo acute, dolorose, ferventi, pungenti sensazioni; quando invece non ci esercitiamo fervidamente, non proviamo queste sensazioni dolorose.’ ‘Stando così le cose, onorevoli Svicolati, non è opportuna l’asserzione secondo cui qualunque cosa un uomo provi, è per cause precedenti; perché in questo caso le sensazioni dolorose dovrebbero cessare allorché vi esercitate fervidamente, e quando non vi esercitate fervidamente le sensazioni dolorose dovrebbero permanere. Se ciò avvenisse, allora sarebbe opportuna l’asserzione secondo cui qualunque cosa un uomo provi è per cause precedenti.’

Avendo io parlato così, o monaci, non ottengo dagli Svincolati alcuna spiegazione soddisfacente. Allora io chiedo ulteriormente: ‘ Che pensate, cari Svincolati, è possibile che un’azione sensibile, nello stato presente, con l’esercizio o lo sforzo divenga sensibile anche in futuro?’

‘No di certo, amico.’

‘Ed è possibile che un’azione sensibile nel futuro, con l’esercizio o lo sforzo divenga sensibile nel presente?’

‘No di certo, amico.’

‘E che un’azione, sensibile come piacere, con l’esercizio o lo sforzo divenga sensibile come dolore, e viceversa?’

‘No di certo, amico.’

‘E che un’azione, sensibile come matura, con l’esercizio o lo sforzo divenga sensibile come immatura, e viceversa?’

‘E che un’azione sensibile come grande, con l’esercizio o lo sforzo divenga sensibile come piccola e viceversa? E che un’azione sensibile come piccola, con l’esercizio o lo sforzo divenga sensibile come grande e viceversa? E che un’azione sensibile, con l’esercizio o lo sforzo divenga insansibile e viceversa?’

‘No di certo, amico.’

‘Dunque poichè tutto quanto sopra esposto non è possibile, infruttuoso è l’esercizio, infruttuoso lo sforzo degli onorevoli Svincolati.’

Gli Svincolati che dicono così, o monaci, per dieci possibili princìpi incorrono in uno stato deplorevole. Se, infatti, gli esseri provano piacere e dolore per causa di fatti precedenti, allora gli Svincolati hanno precedentemente fatto cattive azioni, giacché adesso provano tali acute, dolorose, ferventi, pungenti sensazioni. Se gli esseri provano piacere e dolore per creazione di un Signore, allora gli Svincolati sono stati creati da un cattivo Signore, giacché adesso provano tali dolorose sensazioni. Se gli esseri provano piacere e dolore per predestinazione, allora gli Svincolati furono male predestinati. Se gli esseri provano piacere e dolore per la nascita, allora gli Svincolati hanno avuto una infausta nascita. Se gli esseri provano piacere e dolore per l’esercizio durante la vita, certo allora gli Svincolati si esercitano male. In ciascuno di questi cinque casi gli Svincolati sono deplorevoli. E così, dunque, il loro sforzo e esercizio è infruttuoso.

Come però, o monaci, è fruttuoso l’esercizio, è fruttuoso lo sforzo? Ecco, o monaci, un monaco non fa perturbare dal dolore il proprio imperturbato animo, e non respinge un giusto piacere, e persiste, senza attaccamento però, in questo piacere. Egli pensa così: ‘Mentre io mi esercito a scrutare la confezione di questa causa di dolore, con tale esercizio sorge la calma; con lo scrutare dunque equanimemente questa causa di dolore, si produce in me l’equanimità , sorge la calma.’ Ed egli, in qualunque causa di dolore, da cui, esercitandosi a scrutarne la confezione, sorga la calma, ivi si esercita; ed in quella causa di dolore da cui scrutando equanimemente si produca l’equanimità, ivi egli produce l’equanimità. Così dunque quel dolore di lui viene distrutto. Così come quasi, o monaci, se un uomo fosse innamorato di una donna, le fosse in cuore attaccato con fiero desiderio, fiera passione; ed egli vedesse quella donna stare, parlare, ridere e scherzare con un altro uomo. Che pensate voi, o monaci, non sorgerebbero forse in quell’uomo afflizione, affanno, dolore, angoscia e disperazione?’

‘Si, Signore’

Ora però, se quell’uomo pensasse così: ‘Se io rinunziassi a questo mio amore e desiderio per quella donna?’ Ed egli rinunziasse al suo amore e desiderio per quella donna. Ed egli vedesse un’altra volta quella donna stare, parlare, ridere e scherzare con un altro uomo. Che pensate voi, o monaci, sorgerebbero ora forse in quell’uomo afflizione, affanno, dolore, angoscia e disperazione?

‘No di certo, o Signore.’

Or così anche appunto, o monaci, un monaco non fa perturbare dal dolore il proprio imperturbato animo, e non respinge un giusto piacere, e persiste, senza attaccamento però, in questo piacere. E inoltre ancora, o monaci, il monaco riflette così: ‘Finché io dimoro nel piacere, crescono le cose non salutari, diminuiscono le salutari; quando però esercito il mio animo nel dolore, diminuiscono le cose non salutari, crescono le salutari: e se io, ora, esercitassi l’animo nel dolore?’ Ed egli esercita l’animo nel dolore: esercitando l’animo nel dolore, diminuiscono le cose non salutari, crescono le salutari. In seguito poi egli non esercita più l’animo nel dolore, perché quello per cui eserciterebbe l’animo nel dolore, s’è già realizzato.

Così come quasi, o monaci, un frecciaro riscalda ed arroventa una freccia tra due fuochi e la fa duttile e dritta; duttile e dritta, il frecciaro non l’arroventa più perché quello per cui il frecciaro riscalderebbe ed arroventerebbe la freccia s’è già realizzato. Perciò quello per cui egli eserciterebbe l’animo nel dolore s’è già realizzato, quindi egli non esercita più l’animo nel dolore. Così dunque è fruttuoso l’esercizio, è fruttuoso lo sforzo.

E inoltre ancora, o monaci: il monaco, ben lungi da brame, lungi da cose non salutari, in senziente, pensante, nata di pace beata serenità, raggiunge la prima contemplazione; così è fruttuoso l’esercizio, è fruttuoso lo sforzo. E dopo compimento del sentire e pensare raggiunge l’interna calma, l’unità dell’animo, la lieta di sentire e pensare, nata dal raccoglimento beata serenità, la seconda contemplazione. Così è fruttuoso l’esercizio, è fruttuoso lo sforzo.

E in serena pace il monaco dimora equanime, savio, chiaro, cosciente, prova nel corpo quella felicità di cui i santi dicono ‘ l’equanime savio vive felice’: così raggiunge la terza contemplazione. Così è fruttuoso l’esercizio e lo sforzo.

E dopo rigetto di gioia e dolore, dopo annientamento di letizia e tristezza anteriore, raggiunge la non lieta, non triste, equanime, savia, perfetta purezza, la quarta contemplazione. Così è fruttuoso l’esercizio e lo sforzo.

Con tale animo intimo, terso, schietto, schiarito di scorie, duttile, malleabile, saldo, compatto, incorruttibile, egli rivolge l’animo alla memore cognizione di anteriori forme di esistenza, come di una vita, due vite, tre vite e così via fino alle epoche durante molte formazioni e trasformazioni di mondi. Così è fruttuoso l’esercizio e lo sforzo. E con tale animo terso, egli rivolge l’animo alla cognizione dell’esaurirsi delle manie. Questo è il dolore, questa è l’origine del dolore, questa è la fine del dolore, questa è la via per la fine del dolore, comprende egli conforme alla realtà. Questa è la mania, questa è l’origine della mania, questa è la fine della mania, questa è la via per la fine della mania, egli comprende conforme alla realtà.

Così vedendo, così riconoscendo, il suo animo si redime dalla mania del desiderio, dell’esistenza, dalla mania dell’ignoranza. ‘Nel redento è la redenzione,’ questa cognizione sorge. ‘Esausta è la vita, vissuta la santità, operata l’opera, non esiste più questo mondo’ egli comprende allora. Così è fruttuoso l’esercizio e lo sforzo.

Così dice dunque il Compiuto, perciò per dieci princìpi raggiunge uno stato pregevole. Se infatti gli esseri provano piacere e dolore per fatti precedenti, allora il Compiuto ha certamente fatto precedentemente buone azioni giacché adesso prova tali non smaniose, piacevoli sensazioni. Se gli esseri provano piacere e dolore per creazione di un Signore, certamente il Compiuto è stato creato da un buon Signore, giacché adesso prova tali non smaniose, piacevoli sensazioni. Se gli esseri provano piacere e dolore per predestinazione, certamente il Compiuto ebbe buone predestinazioni giacché adesso prova tali non smaniose, piacevoli sensazioni. Se gli esseri provano piacere e dolore per la nascita, certo il Compiuto ha avuto una fausta nascita, giacché adesso non prova tali non smaniose, piacevoli sensazioni. Se gli esseri provano piacere e dolore per l’esercizio durante la vita, certo il Compiuto durante la vita si esercita bene, giacché non prova tali non smaniose, piacevoli sensazioni. Per questi cinque motivi il Compiuto è pregevole. Il Compiuto dunque, o monaci, che dice così, per questi dieci principii raggiunge uno stato pregevole.

Contenti quei monaci approvarono quel che aveva detto il Sublime.

Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.

Testo: Majjhima Nikaya