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Kv 6.7: Ākāsosanidassanotikathā – Sullo spazio come visibile

Punto controverso: Lo spazio è visibile.

Commentario: Questo è la tesi, ad esempio tra gli Andhaka, secondo cui, poiché abbiamo la cognizione dello spazio chiuso, come i buchi delle serrature, ecc. Essi sostengono che in tal caso lo spazio è rupa, cioè un oggetto materiale visibile. In assenza di un Sutta che lo confermi, l’avversario lo rifiuta, ma insiste sulla testimonianza di pilastri, interstizi, ecc. come cose visibili. In questi casi, tuttavia, ciò che si vede sono i pilastri, gli alberi e così via. Che ciò che sta in mezzo come spazio, non essendoci oggetti visibili, è un atto di ideazione, non di cognizione sensoriale. Questo vale per tutto il resto. Perciò la tesi dell’avversario non è convincente.

Theravāda: Se è così, vi impegnate a dire che lo spazio è materia visibile, oggetto ed elemento visibile, e quindi, in quanto tale, è blu, verde, giallo, rosso o bianco, è percepibile dall’occhio, impatta sull’occhio o sull’organo della vista, entra nell’area visiva – cosa che voi negate… .
Sostituendo “spazio” a “oggetto visibile”, dovete affermare o negare che “a causa dell’occhio e dello spazio sorge la coscienza visiva”. In caso contrario, la vostra tesi decade. Inoltre, non potete citare alcun Sutta per confermare. Tutto ciò che il Sutta dice è: “A causa dell’occhio e dell’oggetto visibile sorge la coscienza visiva”.
Quindi, o chiamate lo spazio oggetto visibile (con le sue proprietà), o non riuscite a sostenere la vostra tesi.

Andhaka: Se la nostra tesi è sbagliata, dovete comunque ammettere che “si vede” l’intervallo tra due alberi o due pali, lo spazio nel buco della serratura o in una finestra. Sicuramente allora lo spazio è visibile.

The Points of Controversy, traduzione in inglese dalla versione pâli del Kathāvatthu dell’Abhidamma di 
Shwe Zan Aung e C.A.F. Rhys Davids. Pubblicato per la prima volta dalla Pali Text Society, 1915. Tradotto in italiano da Enzo Alfano.

TestoKathavatthu