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Kv 3.11: Asaññakathā – Sulla vita inconscia

Punto controverso: Esiste una coscienza tra gli esseri che abitano la sfera chiamata Inconscio.

Commentario: Questa teoria è degli Andhaka, derivata in parte dall’affermazione: “la mente [alla rinascita] è condizionata dalle azioni precedenti, cosicché, secondo loro, non c’è rinascita vivente senza mente”, in parte da quest’altra affermazione: “quei deva muoiono da quel mondo non appena sorge in loro la coscienza.” Essi attribuiscono la coscienza a quei deva della sfera dell’inconscio al momento della rinascita e della morte. 

Theravāda: Ma non potete certo ammettere che un tale essere abbia una vita o una rinascita cosciente, che dimori tra esseri coscienti, che proceda con continuità cosciente di nascita in nascita, che abbia la coscienza come diritto di nascita, che abbia acquisito una personalità cosciente? Non è forse vero il contrario di tutti questi concetti? La loro vita, ecc. è forse quintuplice nei suoi componenti? Non si tratta piuttosto di una vita, di una rinascita… di una personalità acquisita, di un solo costituente? Quindi, anche se accettiamo la vostra tesi, non potete dire che un tale essere, quando agisce coscientemente, agisce proprio con quell’atto di coscienza che voi gli attribuite; né lo affermate.
Se, sostituite “esseri inconsci” con “uomini”, potreste descrivere questi ultimi come “dotati di vita cosciente, di rinascita e così via”. E li descrivereste, inoltre, come aventi una vita, una rinascita, una dimora, un’ulteriore rinascita, una formazione, una personalità determinata per loro da cinque costituenti organici. Ma quando dico che vi siete convinti di tutto questo per quanto riguarda gli esseri inconsci, in virtù della vostra tesi, voi negate. (continua come prima sostituendo “uomo” con “tale essere”.)
Supponiamo la verità della vostra tesi, ammettendo, naturalmente, che ci sia coscienza nella sfera umana: perché continuate ad affermare, per quei deva, una vita, una rinascita, una dimora, un’ulteriore rinascita, una costituzione, una personalità cosciente acquisita, ma lo negate per gli esseri umani? E perché continuate, inoltre, ad affermare una vita, una rinascita, ecc. di un unico costituente organico per quei deva, ma lo negate per gli esseri umani? Perché, infine, negate, per gli esseri inconsci, una funzione nella coscienza di quella quota di coscienza che assegnate loro, ma lo affermate nel caso degli esseri umani?

Andhaka: Se è sbagliato dire “c’è coscienza nei deva inconsci”, permettetemi di ricordarvi un Sutta in cui l’Eccelso disse: “Ci sono dei deva, monaci, chiamati Esseri Inconsci; ora quei deva, quando sorge la coscienza, decadono da quel mondo”. Ma la nostra tesi è proprio questa, che essi sono coscienti solo a volte.

Theravāda: Cioè, a volte sono esseri coscienti, con una vita cosciente, con una vita organica quintuplicata, e a volte sono esseri inconsci, con una vita inconscia, con un’unica vita organica, il che è assurdo. Inoltre, in quale momento sono coscienti, in quale momento no?

Andhaka: Alla morte e alla rinascita, ma non durante la vita.

Theravāda: Ma allora deve avvenire la stessa assurda trasformazione.

The Points of Controversy, traduzione in inglese dalla versione pâli del Kathāvatthu dell’Abhidamma di Shwe Zan Aung e C.A.F. Rhys Davids. Pubblicato per la prima volta dalla Pali Text Society, 1915. Tradotto in italiano da Enzo Alfano.

TestoKathavatthu