Benché il Buddhismo sia ancora una religione considerevolmente minoritaria nei paesi occidentali, sta causando un impatto culturale contundente. La pratica della meditazione, per esempio, si sta espandendo rapidamente. A poco a poco, idee e parole di origine buddhista continuano ad entrare nella cultura. La metà delle volte vengono distorte per altri fini. Ad esempio chiamare “Samsara” un profumo,o “Nirvana “un gruppo di rock.
Una delle appropriazioni più frequenti di queste parole è “karma”( in pali: kamma) . Questa parola ha un significato tecnico preciso nel pensiero buddhista che si perde praticamente nell’uso corrente, generando una costante confusione. Nell’uso buddhista, karma significa sempre “azione volitiva”. ? un atto di volontà, originato nella mente di un individuo che avrà un effetto determinato in un tempo futuro. In altre parole, la legge del karma ci dice che se facciamo il bene, sperimenteremo il bene, e se facciamo il male, sperimenteremo il male.
Formulandolo in questa maniera, karma suona come una specie di giudizio morale. Tuttavia, ciò non è possibile perché nel Buddhismo non c’è nessuno che giudichi. ? meglio pensare al karma come una legge naturale, come la gravità. Un’espressione colloquiale che si avvicina all’idea è: “ciò che si semina, si miete.”
Nel Buddhismo esiste una certa controversia riguardo al karma. Da una parte, i testi dell’Abhidhamma insegnano che ogni impressione sensoriale, e tutte le nostre esperienze, possono essere classificate come “risultato” del karma. D’altra parte, il Buddha una volta dichiarò che è un errore credere che tutto è karma. La mia propria opinione è che, in questo passaggio, il Buddha stava confutando la visione dei deterministi che non lasciavano posto per il libero arbitrio. Il nostro libero arbitrio è scegliere un’azione o un’altra; ma, una volta fatta la scelta, si ottiene il risultato in maniera inesorabile.
A volte, questo insegnamento è screditato perchè considerato una dottrina crudele che incolpa la vittima e che, perfino, giustifica le ingiustizie sociali. Secondo questo argomento, se una persona nasce povero, il karma è una scusa conveniente per non fare niente per lui, poiché si tratta della sua propria colpa di una vita anteriore. Questa è una grave distorsione e non trova posto negli insegnamenti buddhisti. Al contrario, karma significa che abbiamo la responsabilità di agire compassionevolmente verso gli altri. Se non ci riusciamo, crediamo che un karma negativo sia in noi stessi. Atteggiamenti come il giudicare sono stati mentali negativi che causano cattivo karma soltanto a noi stessi.
Prendiamo il caso di qualcuno che nasce con un problema fisico come la cecità. Ad alcuni sembra crudele “gettare” la colpa alle azioni precedenti della persona. Anche questo è un malinteso. La parola emotiva “colpa” non deve essere fraintesa. Il potere determinante del karma non è un giudizio morale, bensì, semplicemente, un risultato esplicativo. Se il karma è respinto come spiegazione, esiste un’altra alternativa meno “crudele”? Sarebbe, in tale caso, o l’azione deliberata di un Creatore o il risultato del cieco caso in un universo senza speranze né senso.
Quando una persona accetta il concetto di karma, e tenta di vivere la sua vita in accordo con esso, l’effetto non sarà, sicuramente, un’insensibile accettazione della sofferenza. Al contrario, si impegnerà a guidare i suoi pensieri, parole ed azioni secondo qualità karmicamente positive come la saggezza, la compassione e la generosità. Il Buddha insegnò che niente è più corrosivo del benessere personale o sociale della credenza che le buone o le cattive azioni non producono frutti.
L’insegnamento buddhista del karma risolve con chiarezza molte delle questioni discusse nella filosofia occidentale. Permette una visione centrale del libero arbitrio in un universo determinato. Sopprime il supposto “problema” del male. Più confacentemente, proporziona una base solida per l’etica che non è né arbitraria né né punitiva.
(Ven. Punnadhammo Bhikkhu. Traduzione a cura di Enzo Alfano.)