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MN 102: Pañcattaya Sutta – Cinque e tre

Questo ho sentito.Una volta il Sublime dimorava presso Savatthi, nella selva del Vincitore, il parco di Anathapindiko. Quindi ora il Sublime si rivolse ai monaci e disse così: ‘Vi sono, o monaci, alcuni asceti e sacerdoti che meditano, speculano e professano varie opinioni sul futuro. Alcuni credono che l’anima, sanata dopo la morte, sia conscia, altri che sia inconscia, altri ancora che sia non proprio conscia né inconscia. Alcuni poi dimostrano l’annientamento, la distruzione, la dissoluzione dell’essere vivente, e professano quindi la beatitudine durante la vita. Altri infine dimostrano l’anima esistente, sanata dopo la morte, ma professano la beatitudine durante la vita. Così questi essendo cinque sono tre, essendo tre sono cinque. Questo è l’enunciato dei cinque e tre.

Ora, o monaci, gli asceti e sacerdoti che dimostrano conscia l’anima, sanata dopo la morte, dicono che essa è formata o informe, o formata e informe, o non formata né informe; inoltre essa è o singolarmente conscia, o molteplicemente, o limitatamente, o illimitatamente conscia. Alcuni di essi, però, superando la sfera della coscienza, professano illimitata imperturbabilità. Ma il Compiuto, o monaci, riconosce: ‘Questi signori asceti e sacerdoti che dimostrano conscia l’anima, questi ritengono la coscienza quale la perfezione, il massimo, il sommo, il supremo: sia che la coscienza sia formale o informale o singola o molteplice. Altri, dimostrando che niente esiste, professano il regno della non esistenza come illimitata imperturbabilità. Ma ciò è composto, è materiale, mentre v’è una decomposizione dei composti, vi è!’ Così sapendo, e scorgendo lo scampo, il Compiuto supera ciò.

‘Ora, o monaci, gli asceti e sacerdoti che dimostrano inconscia l’anima, questi dimostrano che l’anima inconscia, sanata dopo la morte, è formata o informe, o formata e informe, o non formata né informe. Ora, costoro riprovano quelli che dimostrano l’anima conscia perché dicono: ‘la coscienza è morbo, tumore, tormento; questa invece è la requie, la pace: l’incoscienza.’ Ma il Compiuto, o monaci, riconosce: ‘Questi asceti e sacerdoti che dimostrano inconscia l’anima, se qualcuno di loro dicesse: oltre le forme, le sensazioni, le percezioni, le concezioni, la coscienza, io dimostrerò un venire ed andare, uno sparire e risorgere, un crescere, svolgersi, svilupparsi; ma questo non sarebbe possibile. Ma ciò è composto, è materiale, mentre v’è una decomposizione dei composti, vi è!’ Così sapendo, e scorgendo lo scampo, il Compiuto supera ciò.

Ora, o monaci, gli asceti e sacerdoti che dimostrano che l’anima non è proprio conscia né inconscia dopo la morte e che è formata o informe, o non formata né informe, questi riprovano tanto quelli che dimostrano l’anima conscia, quanto quelli che dimostrano l’anima inconscia. Essi dicono: la coscienza è morbo, tumore, tormento; l’incoscienza è demenza; questa invece è la pace, la requie: la non proprio coscienza né incoscienza.’ Ma il Compiuto, o monaci, riconosce: ‘Questi asceti e sacerdoti che dimostrano l’anima sanata dopo la morte non proprio conscia né inconscia, se alcuni di loro dimostrano che si può raggiungere il fine con la sola confezione della vista, dell’udito, del pensiero e della coscienza; ciò appare come il fallimento del raggiungimento di quel fine: perché quel fine non appare raggiungibile con la confezione, ma col residuo della confezione. Ma ciò è composto, è materiale: mentre v’è una decomposizione dei composti, vi è!

Ora, o monaci, gli asceti e sacerdoti che dimostrano l’annientamento, la distruzione, la dissoluzione dell’essere vivente, questi sono riprovati sia da quelli che dimostrano l’anima conscia, sia da quelli che dimostrano l’anima inconscia, sia da quelli che dimostrano l’anima non proprio conscia né inconscia dopo la morte. E perché ciò? Perché essi professano attaccamento all’al di là: ‘così saremo dopo la morte, così saremo dopo la morte!’ Così come fa un mercante che andando al mercato pensa: ‘da questo me ne verrà questo, con questo guadagnerò questo!’ Ma il Compiuto, o monaci, riconosce: ‘ Questi asceti e sacerdoti che dimostrano l’annientamento, la distruzione, la dissoluzione dell’essere vivente, costoro per timore e per odio dell’esistenza girano e rigirano proprio intorno all’esistenza. Alla stessa stregua di un cane che, legato con un laccio ad una solida colonna, o ad un palo, gira e rigira proprio attorno alla colonna o al palo. Ma ciò è composto, è materiale, mentre vi è una decomposizione dei composti, vi è!’ Così sapendo, e scorgendo lo scampo, il Compiuto supera ciò.

Quali che siano, o monaci, gli asceti e sacerdoti che meditano e speculano sul futuro, e che professano sul futuro diverse opinioni, costoro professano questi cinque campi di opinioni od uno di essi.

Vi sono poi , o monaci, alcuni asceti e sacerdoti che meditano e speculano sul passato, e professano sul passato diverse opinioni ovvero: eterna è l’anima, eterno il mondo; oppure: non eterna è l’anima, non eterno il mondo; oppure: eterna e non eterna è l’anima e così il mondo; oppure: non proprio eterna né non eterna è l’anima, e così il mondo; oppure: finita è l’anima, finito il mondo; oppure: infinita è l’anima, infinito il mondo; oppure: finita ed infinita è l’anima e il mondo; oppure: non proprio finita né infinita è l’anima e il mondo. E ancora: singolarmente conscia è l’anima, e così il mondo; molteplicemente conscia è l’anima e il mondo; limitatamente conscia è l’anima e il mondo; illimitatamente conscia è l’anima e il mondo. E ancora: solo godente è l’anima e il mondo; solo dolente è l’anima e il mondo; godente e dolente è l’anima e il mondo; non godente né dolente è l’anima e il mondo.

Ora, o monaci, questi asceti e sacerdoti che professano tali opinioni sul passato, senza fede, senza devozione, senza tradizione senza scrupoloso giudizio e accurato esame; che essi possano raggiungere da sé la chiara cognizione, questo non è possibile. Non essendovi la pura e chiara cognizione, quella vale per essi come attaccamento. Così sapendo, il Compiuto supera ciò.

Ecco, o monaci, un asceta o un sacerdote, abbandonando le opinioni sul passato e sul futuro, distaccandosi internamente dal giogo del desiderio, dimora nella letizia della solitudine: ‘ Che io dimoro nella letizia della solitudine, questa è la pace, questo è il sommo bene!’ Questa letizia della solitudine gli passa; col passare della letizia sorge la tristezza, col passare della tristezza sorge la letizia, alla stessa stregua di chi è lasciato dall’ombra è colpito dalla luce, e chi è lasciato dalla luce è colpito dall’ombra. Ma il Compiuto riconosce: ‘ciò è composto, è materiale, mentre vi è una decomposizione dei composti.’ Così sapendo, il Compiuto supera ciò.

Ecco, o monaci, un asceta o sacerdote, superando la letizia della solitudine, dimora in pura beatitudine. Questa pura beatitudine gli passa; allora sorge la letizia della solitudine: col passare della letizia della solitudine, sorge quella della beatitudine. Ma ciò è composto, è materiale, mentre vi è una decomposizione dei composti, vi è!’ Così sapendo, e scorgendo lo scampo, il Compiuto supera ciò.

Ecco ancora, o monaci, un asceta o sacerdote, abbandonando le opinioni sul passato, sul futuro, distaccandosi internamente dal giogo del desiderio, superando la letizia della solitudine, superando la pura beatitudine, dimora in sensazione non triste né lieta. Questa sensazione non triste né lieta gli passa e sorge la pura beatitudine; questa gli passa e sorge la sensazione né triste né lieta, alla stregua di chi lasciato dalla luce è colpito dall’ombra e viceversa. Ma il Compiuto supera ciò.

Ed ecco ancora, o monaci, un asceta o un sacerdote, superando anche la sensazione né triste né lieta, dichiara: io sono calmato, io sono estinto, io sono distaccato! Certo questo onorevole professa proprio la via buona per l’estinzione, ma siccome questo onorevole dichiara: io sono calmato, io sono estinto, io sono distaccato, ciò appare anche come un attaccamento di questo signore asceta o sacerdote. Ma il Compiuto supera ciò. Ecco ora però, o monaci, dal Compiuto è stata dischiusa l’incomparabile via che porta alla calma: ossia conoscere origine e fine e gaudio e miseria e scampo delle sei sedi dei sensi, e redimersene senza attaccamento.

Così disse il Sublime. Contenti quei monaci approvarono le Sue parole.

Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.

Testo: Majjhima Nikaya