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Milindapañha: Libro IV – Capitolo II

L’abolizione delle regole

1. “Venerabile Nagasena, così è stato detto dal Beato: “E’ per chiara e profonda conoscenza che io predico il Dhamma, non senza.”
D’altro canto egli così disse sulle regole del Vinaya: “Alla mia morte, Ananda, lascia che l’Ordine, se lo vuole, abolisca tutti i vari precetti minori.”
Allora questi precetti minori furono esposti, o stabiliti per ignoranza e senza valida ragione, tanto che il Beato diede il permesso di abolirli dopo la sua morte? Se la prima affermazione è vera, allora la seconda deve essere falsa. Mentre se la seconda è vera, allora la prima deve essere falsa. Anche questo dilemma è a due facce, fine, sottile, astruso, profondo e difficile da esporre. Ora a voi è posto e voi dovete risolverlo.”

2. “In entrambi i casi, o re, il Beato affermò ciò che avete appena detto. Ma nel secondo caso lo disse per mettere alla prova i monaci se, dopo la sua morte, avrebbero abbandonato i vari precetti minori, o se li avrebbero rispettati. E’ come se un re dei re dicesse ai propri figli: “Questo grande impero, figli miei, arriva fino all’oceano. E’ difficile governarlo con i mezzi che abbiamo a disposizione. Quindi, alla mia morte, fareste meglio, figli miei, ad abbandonare le province lontane vicino ai confini.” Ora i principi, o re, abbandonerebbero, alla morte del padre, quelle lontane province già in loro possesso?”
“No davvero, venerabile. I re sono insaziabili. I principi, per brama di potere, aspirano a possedere altri territori, non certo ad abbandonare quelli già in loro possesso.”
“Allo stesso modo, o re, il Tathagata mise alla prova i monaci quando disse: “Alla mia morte, Ananda, lascia che l’Ordine, se lo vuole, abolisca tutti i vari precetti minori.” Ma i figli di Buddha, o re, nella loro sete di conoscere il Dhamma, e per raggiungere il Nibbana, potrebbero osservare 250 regole, ma non abbandonerebbero mai quelle già stabilite nella pratica ordinaria.”

3. “Venerabile Nagasena, quando il Beato si riferì ai vari precetti minori, i monaci potevano rimanere confusi e dubbiosi, trovare oggetto di discussione, essere perplessi su quali fossero i vari precetti minori.”
“I vari precetti minori, o re, sono riferiti alle piccole colpe commesse in azioni e parole. Anche i venerabili monaci anziani, o re, furono in dubbio su questo argomento, né furono unanimi su tale punto nel Concilio tenutosi per fissare il testo delle Scritture. Ed il Beato aveva previsto che questo problema sarebbe sorto.”
“Allora questo oscuro detto del Glorioso, Nagasena, rimasto celato per molto tempo, è stato oggi svelato al mondo e reso a tutti chiaro.”

[Qui finisce il dilemma sull’abolizione delle regole.]

L’insegnamento esoterico

4. “Venerabile Nagasena, così è stato detto dal Beato: “Per amore di verità, Ananda, il Tathagata non è come il maestro che tiene la sua conoscenza segreta. Ma d’altro canto egli non rispose alla domanda posta dal figlio di Malunkya. Questo dilemma, Nagasena, possiede due risposte, di cui una sola è quella vera, perciò egli non rispose o per ignoranza o per voler nascondere qualcosa. Se la prima affermazione è vera deve essere stata per ignoranza. Ma se egli sapeva e non rispose, allora la prima affermazione deve essere falsa. Anche questo dilemma è a due facce. Ora a voi è posto e voi dovete risolverlo.”

5. “Il Beato, o re, fece quella prima affermazione ad Ananda e non rispose alla domanda del figlio di Malunkya. Ma non per ignoranza né per nascondere qualcosa. Vi sono quattro modi di spiegare un dilemma. E quali sono? Vi è il dilemma la cui spiegazione può essere data in modo diretto e finale. Vi è il dilemma che può essere risposto fornendo i dettagli. Vi è il dilemma a cui può essere risposto con un altro. E vi è il dilemma che può essere trascurato.
E qual è, o re, il dilemma la cui spiegazione può essere data in modo diretto e finale? E’ tipo questo: “La forma è impermanente?” – “La sensazione è impermanente?” “La percezione è impermanente?”
“Le formazioni mentali sono impermanenti?” “La coscienza è impermanente?”
E qual è il dilemma che può essere risposto fornendo i dettagli? E’ tipo questo: “La forma è così impermanente?” e così via.
E qual è il dilemma a cui può essere risposto con un altro? E’ tipo questo: “E quindi? L’occhio può percepire tutte le realtà?”
E qual è il dilemma che può essere trascurato? E’ tipo questo: “Il cosmo è eterno?” – “Il cosmo non è eterno?” – “Il cosmo è finito?” – “Il cosmo è infinito?” – “Il cosmo è finito ed infinito?” – “Il cosmo non è né finito né infinito?” – “L’anima ed il corpo sono la stessa cosa?” – “L’anima è diversa dal corpo?” – “Il Tathagata esiste dopo la morte?” – “Il Tathagata non esiste dopo la morte?” – “Il Tathagata esiste e non esiste dopo la morte?” – “Il Tathagata né esiste né non esiste dopo la morte?”
Ora fu ad una simile domanda, di quelle che si possono trascurare, che il Beato non diede risposta al figlio di Malunkya. Perché una simile domanda può essere trascurata? Perché i Beati Buddha non parlano senza una valida ragione.”
“Molto bene, Nagasena! Così è ed io acceetto le vostre parole!”

[Qui finisce il dilemma sull’insegnamento esoterico.]

La morte

6. “Venerabile Nagasena, anche così è stato detto dal Beato: “Tutti gli uomini temono la punizione, tutti hanno paura della morte.” Ma disse pure: “Gli Arahant hanno superato tutte le paure.” E come, Nagasena, l’Arahant teme la punizione? O gli esseri negli inferi, quando stanno bruciando e bollendo, quando sono scorticati e tormentati, hanno paura di quella morte che li libererebbe da quell’inferno e da quell’orribile luogo di sofferenza? Se il Beato, Nagasena, realmente ha detto che tutti gli uomini temono la punizione ed hanno paura della morte, allora l’affermazione che l’Arahant ha superato tutte le paure deve essere falsa. Invece se l’ultima affermazione è realmente sua, allora l’altra deve essere falsa. Questo ambiguo dilemma è ora posto a voi e voi lo dovete risolvere.”

7. “Il Beato, o re, non si riferiva agli Arahant quando disse: “Tutti gli uomini temono la punizione, tutti hanno paura della morte.” L’Arahant rappresenta un’eccezione a quell’affermazione, perché ogni forma di paura è stata rimossa dall’Arahant. Egli si riferiva a quegli esseri in cui il male ancora esiste, che sono ancora affascinati dall’illusione del sé, che sono ancora condizionati dai piaceri e dai dolori. Per l’Arahant, o re, qualsiasi tipo di rinascita è stata tagliata, tutti i quattri tipi di esitenza sono stati distrutti, ad ogni futura esistenza è stata posta fine, le travi della casa della vita sono spezzate e l’intera casa completamente demolita, le formazioni mentali hanno perso le loro radici, il bene ed il male sono cessati, l’ignoranza è stata distrutta, la coscienza non ha più alcun seme (da cui potrebbe svilupparsi), ogni colpa è stata consumata, e tutte le condizioni mondane sono state superate. Perciò l’Arahant è senza paura.

8. Immaginate, o re, un sovrano che avesse quattro capi ministri, fedeli, famosi, fidati, posti in alte cariche. Ed il sovrano, a causa di un’emergenza, dovesse emanare un ordine per tutto il popolo del regno, dicendo: “Tutti devono pagare una tassa, e voi, miei ministri, fate il possibile per una simile emergenza.” Ora ditemi, o re, nei cuori di quei ministri vi sarebbe qualche paura sulla tassa?”
“No, venerabile. Non ci sarebbe.”
“E perché?”
“Perché sono stati nominati dal re per un alta carica. La tassa non riguarda loro, essi sono al di là della tassa. E’ al popolo che il re si riferiva quando emanò l’ordine: “Tutti devono pagare una tassa.”
“Proprio così, o re, è l’affermazione che tutti gli uomini temono la punizione, tutti hanno paura della morte. E’ in quel senso che l’Arahant è senza paura.”

9. “Ma, Nagasena, la parola “tutti” implica ogni essere? Nessuno è lasciato fuori? Datemi un’ulteriore spiegazione per meglio capire.”
“Immaginate, o re, che in un villaggio il signore del villaggio desse un ordine al banditore, dicendo: “Vai e riunisci in fretta davanti a me tutti gli abitanti.” E che costui, ubbidendo all’ordine, stesse al centro del villaggio e per tre volte gridasse: “Che tutti gli abitanti del villaggio si riuniscano dinanzi al signore.” E costoro si riunissero in fretta, ed egli annunciasse al signore, dicendo: “Tutti gli abitanti, Maestà, sono riuniti. Fate ciò che desiderate.” Ora quando il signore, o re, ha riunito tutti i capi delle case, egli inoltra il suo ordine a tutti gli abitanti del villaggio, ma non sono tutti gli abitanti che sono là riuniti, sono solo i capi delle case. Ed il signore è soddisfatto, sapendo che tale è il numero degli abitanti del suo villaggio. Vi sono molti che non vengono – donne ed uomini, ragazze, schiavi e schiave, operai, servitori, contadini, malati, buoi, bufali, pecore, capre e cani – Perché tutti questi non contano. Fu ai capi delle case che l’ordine fu emanato con le parole: “Che tutti si riuniscano.” Proprio così, o re, non fu riferito agli Arahant quando fu detto che tutti hanno paura della morte. L’Arahant è escluso da tale affermazione, perché l’Arahant non vi sono cause da cui possa nascere una qualche paura.

10. Vi è l’espressione non inclusiva, o re, il cui significato è non inclusivo, e l’espressione non inclusiva il cui significato è inclusivo; c’è l’espressione inclusiva il cui significato è non inclusivo, e l’espressione inclusiva il cui significato è inclusivo. Ed il significato, in ogni caso, deve essere all’unanimità accettato. E vi sono cinque modi in cui il significato deve essere accettato: per connessione, per consenso, per tradizione dei maestri, per significato e per abbondanza di ragioni. E qui per “connessione” si intende il significato dello stesso sutta, per “consenso” si intende che è affine ad altri sutta, per “tradizione dei maestri” si intende ciò che essi tramandano, per “significato” si intende ciò che essi pensano, e per “abbondanza di ragioni” si intende tutti questi quattro messi assieme.”

11. “Molto bene, Nagasena! Accetto le vostre parole. L’Arahant in questa frase rappresenta una eccezione, e sono gli altri esseri che hanno paura della morte. Ma quegli esseri negli inferi, di cui ho parlato, che soffrono dolorose, acute e penose agonie, che sono tormentati da fiamme in tutto il corpo, le cui bocche sono colme di lamentazione, di grida di pietà, di pianti, di lamenti e di dolore, che sono oppressi da dolori troppo acuti per essere sopportati, che non hanno alcun rifugio, né protezione, né aiuto, che patiscono l’impossibile, che sono destinati alla certezza di ulteriore pena nella peggiore e nella più bassa delle condizioni, che vengono bruciati da calde, acute, terribili e crudeli fiamme, che gridano e si lamentano per l’orrore e la paura, che sono avvolti da ghirlande di fiamme che si stringe intorno a loro da tutte le sei direzioni, e si dirige velocemente attraverso un centinaio di leghe da ogni parte – possono quei disperati aver paura della morte?”
“Certo che possono.”
“Ma, venerabile Nagasena, non sono gli inferi luoghi di sofferenza? E se è così, perché gli esseri là destinati dovrebbero aver paura della morte, che li libererebbe da una sicura sofferenza? Che amano gli inferi?”
“No, davvero. Essi bramano di essere liberati. Essi hanno paura del potere della morte.”
“Ora, Nagasena, io non posso credere che, coloro che vogliono essere liberati, abbiano paura della rinascita. Essi devono certamente rallegrarsi all’idea della condizione che bramano. Convincetemi con un’altra ragione.”

12. “La morte, grande re, è una condizione di cui coloro che non hanno conosciuto il Dhamma ne hanno paura. Queste persone sono angosciate e terrorizzate. Chi ha paura di un serpente, o di un elefante, o di un leone, o di una tigre, o di un leopardo, o di un orso, o di una iena, o di un bufalo, o di un gayal, o del fuoco, o dell’acqua, o delle spine, o degli aculei, o delle frecce, in ogni caso ha paura e teme solamente la morte. Questa, o re, è l’essenziale potenza naturale della morte. E tutti gli esseri, schiavi del peccato, tremano e temono la sua potenza. E’ in questo senso che, anche gli esseri negli inferi, che bramano di essere liberati, hanno paura della morte.

13. Immaginate, o re, una vescica formarsi, piena di materia, sul corpo di un uomo, e costui, dolorante e cercando di guarire, chiamasse un medico. Ed il medico, accettando la chiamata, preparasse una medicina per eliminare il suo male – affilasse un bisturi, ponesse dei bastoncini sul fuoco come cauterizzatori, ponesse qualcosa su una mola per essere mischiata in una lozione salata. Ora, avrebbe paura il paziente del taglio del bisturi ben affilato, o del bruciore dei bastoncini cauterizzatori, o dell’applicazione di una pungente lozione?”
“Certamente.”
“Ma se l’uomo malato, che desidera liberarsi del suo disturbo, può cadere nel terrore per paura del dolore, proprio così possono gli esseri negli inferi, sebbene bramino di venir liberati, cadere nel terrore per paura della morte.

14. Ed immaginate, o Mld:IV.2.6/14 – La mortere, un uomo che avendo commesso un’offesa contro il sovrano, fosse legato con una catena ed imprigionato, e bramasse la liberazione. Ed il governatore, desiderando liberarlo, si spendesse per lui. Ora quell’uomo, avendo così offeso, sapendolo, non sarebbe nel terrore di mostrarsi dinanzi al sovrano?”
“Certamente, venerabile.”
“Ma se è così, allora anche gli esseri negli inferi, sebbene bramino di venir liberati, hanno ancora paura della morte.”
“Datemi un altro esempio per cui io sia capace di comprendere (questa apparente discrepanza).”
“Immaginate, o re, un uomo, morso da un serpente velenoso, avesse paura, e per l’azione del veleno cadesse, si dimenasse e ruzzolasse ovunque. E poi un altro uomo, attraverso la recitazione di un potente incantesimo, costringesse quel velenoso serpente ad avvicinarsi ed a risucchiare il veleno. Ora quando l’uomo morsicato vede avvicinarsi il velenoso serpente, sebbene con lo scopo di curarlo, ne avrebbe ancora paura?”
“Sì, venerabile.”
“Bene, è lo stesso con gli esseri negli inferi. La morte è una realtà temuta da tutti gli esseri. Perciò ne hanno terrore anche se bramano di essere liberati dagli inferi.”
“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sulla paura della morte.]

La preghiera di protezione Paritta

15. “Venerabile Nagasena, è stato detto dal Beato:

“Non in cielo, né in mezzo all’oceano,
né nel più isolato dei crepacci di montagna,
né in tutto il mondo si trova un luogo
dove si possa sfuggire all’insidia della morte.”

Ma d’altra parte la preghiera di protezione Paritta fu promulgata dal Beato – cioè il Ratana Sutta,il Khanda-paritta, il Mora-paritta, il Dhagagga-paritta, l’Anatatiya-paritta e l’Angulimala-paritta. Se, Nagasena, un uomo non può sfuggire all’insidia della morte, né andando in mezzo all’oceano, né andando sulle cime di sontuosi palazzi, né nella cave o nelle grotte o nei pendii o nei crepacci o nelle caverne di montagna, allora la cerimonia Paritta è inutile. Ma se tramite essa vi è un modo di sfuggire alla morte, allora l’affermazione nel verso che ho citato è falsa. Anche questo è un dilemma a due facce, più intricato di un nodo. E’ ora posto a voi e voi dovete risolverlo.”

16. “Il Beato, o re, disse il verso che avete citato, e riconobbe la preghiera Paritta. Ma è soltanto per coloro che hanno ancora un tempo da vivere, che sono nel pieno dell’età e non sono ostacolati dai mali del kamma. E non esiste nessuna cerimonia o mezzi artificiali per prolungare la vita di qualcuno la cui esistenza è giunta alla fine. Proprio come un tronco di legno secco, morto, arido, senza linfa e senza vita, la cui esistenza è ormai giunta alla fine – gli potreste versare migliaia di secchi d’acqua, ma non ritornerà mai alla freschezza di prima né riuscirà a far germogliare dei fiori e delle foglie. Allo stesso modo non esiste cerimonia o altro mezzo artificiale, né medicina, né preghiera che possa prolungare la vita di colui la cui esistenza è giunta alla fine. Tutte le medicine del mondo sono inutili, o re, e la preghiera Paritta protegge ed assiste coloro che hanno ancora del tempo da vivere, che sono nel pieno della vita e non sono ostacolati dai mali del kamma. E per questo uso che la preghiera fu stabilita dal Beato. Proprio come, o re, un contadino protegge il grano quando è maturo e pronto per essere raccolto dall’influsso dell’acqua, ma lo fa crescere dandogli acqua quando è giovane, e di colore scuro come una nuvola, e pieno di vita – allo stesso modo, o re, dovrebbe essere messa da parte e trascurata la cerimonia Paritta nel caso di colui che ha raggiunto la fine della sua esistenza, ma solo per coloro che hanno ancora da vivere e sono pieni di vigore, per costoro la medicina Paritta può essere recitata per avere dei benefici.”

17. “Ma, Nagasena, se qualcuno ha ancora del tempo da vivere vivrà, se invece deve morire morirà, allora sia le medicine sia la preghiera Paritta sono inutili.”
“Avete mai sentito, o re, il caso di una malattia guarita da una medicina?”
“Sì, molte volte.”
“Allora, o re, la vostra affermazione sull’inefficienza della preghiera Paritta e delle medicine deve essere sbagliata.”
“Ho visto, Nagasena, dottori somministrare medicine sotto forma di sciroppi o di applicazione esterne, e con tali mezzi guarire la malattia.”
“E nel sentire la voce di coloro che recitano la preghiera Paritta, o re, la lingua si secca, la gola diventa rauca, ma da quella recitazione ogni malattia si allevia, ogni calamità sparisce. Ancora, avete mai visto, o re, un uomo morso da un serpente avere il veleno riassorbito dallo stesso serpente che lo ha morso attraverso un potente incantesimo o distrutto da un antidoto o tramite un unguento applicato sulla ferita?”
“Sì, è usanza comune al mondo d’oggi.”
“Allora ciò che avete detto sull’inefficienza della preghiera Paritta e delle medicine è sbagliato. E quando la preghiera Paritta sarà recitata su un uomo, un serpente pronto a mordere non lo morderà, ma chiuderà le mascelle – il bastone che i ladri hanno per colpire, non colpirà mai, ma lo lasceranno cadere e saranno gentili – l’elefante imbestialito che sta per investirlo, di colpo si fermerà – l’infuocato incendio che lo minaccia, si spegnerà – il malefico veleno che ha mangiato non avrà effetto – gli assassini venuti per ucciderlo diventeranno umili servi – e la trappola preparata per lui non funzionerà!

18. Ancora, avete mai sentito, o re, di quel cacciatore che per 700 anni non riusciva a catturare con la sua rete il pavone che aveva praticato la preghiera Paritta, ma ci riuscì nel giorno che non l’aveva praticata?”
“Sì, ho sentito questa storia. E’ molto famosa.”
“Allora ciò che avete detto sulla preghiera Paritta e sulle medicine è sbagliato. E avete mai sentito di quel Danava che, per custodire sua moglie, la mise in una scatola e, dopo averla inghiottita, la trasportava nel suo stomaco. E di un Vidyadhara che entrò nella sua bocca e si mise a giocare con sua moglie. E come quel Danava, quando se ne accorse, vomitò la scatola e l’aprì e il Vidyadhara fuggì con sua moglie?”
“Sì, l’ho sentita. Anche questa storia è molto conosciuta.”
“Bene, il Vidyadhara riuscì a fuggire grazie al potere della preghiera Paritta?”
“Sì, venerabile.”
“Allora ci deve essere del potere nella preghiera Paritta. Ed avete sentito di quell’altro Vidyadhara che si intrufolò nell’harem del re di Benares e commise adulterio con la principale regina, poi fu catturato, ma riuscì a fuggire perchè diventò invisibile?”
“Sì, ne ho sentito parlare.”
“Bene, riuscì a fuggire grazie al potere della preghiera Paritta?”
“Sì, venerabile.”
“Allora, o re, ci deve essere del potere nella preghiera Paritta.”

19. “Venerabile Nagasena, la preghiera Paritta è una protezione valida per tutti?”
“Ad alcuni sì, ad altri no.”
“Allora non è sempre utile.”
“Il cibo tiene in vita tutti?”
“Alcuni sì, altri no.”
“E perché?”
“Perché alcuni, mangiando troppo lo stesso cibo, muoiono di colera.”
“Quindi non tiene in vita tutti?”
“Vi sono due cause che portano alla morte – la troppa abbondanza e la debolezza della digestione. Ed anche il cibo vitale può trasformarsi in mortale per una cattiva ingordigia.”
“Proprio così, o re, è la preghiera Paritta che è una protezione per alcuni e non per altri. E vi sono tre cause del suo fallimento: l’ostacolo del kamma, della colpa e del dubbio. Quella preghiera Paritta, che è una protezione per gli esseri, perde il suo potere protettivo per gli atti compiuti da quegli stessi esseri. Proprio, o re, come una madre nutre con amore il figlio nel suo grembo e lo fa nascere. E dopo la sua nascita lo pulisce da ogni macchia, sporco e muco, e lo cosparge dei migliori profumi, e quando altri lo maltrattano o lo colpiscono li afferra con violenza e li porta davanti al signore del luogo. Ma quando suo figlio è disubbidiente, o ritorna tardi, lo picchia con verghe o bastoni sulle ginocchia o sulle mani. Ora, in questo modo, dovrebbe essere portata e trascinata dinanzi al re?”
“No, venerabile.”
“E perché no?”
“Perché il figlio ha sbagliato.”
“Allo stesso modo, o re, la preghiera Paritta, che è una protezione per gli esseri, a causa delle loro colpe, si rivolterà contro di loro.”
“Molto bene, Nagasena! Il dilemma è stato risolto, la giungla è stata resa chiara, l’oscurità trasformata in luce, la rete di eresie sciolta – da voi, o migliore dei maestri!”

[Qui finisce il dilemma sulla preghiera Paritta.]

Mara il maligno

20. “Venerabile Nagasena, la vostra gente afferma: “Il Tathagata sempre riceveva il necessario per un monaco: vesti, cibo, alloggio e medicine.” E poi: “Quando il Tathagata entrò nel villaggio brahmano, chiamato I Cinque alberi di Sala, non ricevette nulla e ritornò con la sua scodella.vuota.” Se la prima citazione è vera, allora la seconda è falsa, mentre se la seconda citazione è vera, la prima è falsa. Anche questo è un dilemma ambiguo, un punto cruciale difficile da districare.”

21. “Entrambe le citazioni sono vere, ma quando il Tathagata non ricevette nulla quel giorno fu per opera di Mara, il maligno.”
“Allora, Nagasena, come mai quel merito accumulato dal Beato attraverso eoni di tempo giunse alla fine quel giorno? Come fu che Mara, appena prodotto, riuscì a superare le forza e l’influenza di quel merito? Quindi, Nagasena, il biasimo è presente in entrambi i casi – o il demerito è più potente del merito, o il potere di Mara è più grande di quello del Buddha. La radice dell’albero deve essere più pesante della cima, o l’immorale più forte del virtuoso.”

22. “Grande re, non è abbastanza per provare l’una o l’altra delle vostre alternative. Comunque una ragione è certamente desiderabile in questa questione.
Immaginate, o re, che un uomo dovesse portare un regalo di favore al re dei re – miele o favo o qualcosa del genere. E il portinaio del re gli dicesse: “Non è il momento opportuno per rendere visita al re. Quindi, mio buon suddito, prendi il tuo regalo più velocemente che puoi e torna indietro prima che il re ti punisca.” Ed allora quell’uomo, per paura di una punizione, riprendesse il suo regalo e ritornasse in gran fretta. Ora il re dei re, per il semplice fatto che l’uomo portò il suo dono nel momento sbagliato, sarebbe meno potente del portinaio o non riceverebbe mai più regali di favore?”
“No, venerabile. Il portinaio rimandò indietro il donatore per la sua scontrosa natura, e per altre centinaia di migliaia di volte potrebbe essere portato lo stesso dono.”
“Allo stesso modo, o re, fu per gelosia che Mara, il maligno, si impadronì dei Bramani e dei capifamiglia del villaggio dei Cinque alberi di Sala. Ed centinaia di migliaia di altri deva offrirono al Buddha la potente ambrosia celeste, e resero omaggio e con la forza della concentrazione alimentarono in lui il vigore.”

23. “Può essere così, Nagasena. Il Beato trovò facilmente le quattro cose per un monaco – egli, il migliore nel mondo – ed alla richiesta dei deva e degli uomini ne godette. Ma l’intenzione di Mara di fermare l’offerta di cibo al Beato fu messa in atto. Quindi, venerabile, il mio dubbio rimane. Sono ancora perplesso ed esitante. La mia mente non è chiara su come il Tathagata, l’Arahant, il supremo Buddha, il migliore dei migliori nel mondo di deva ed uomini, colui che ebbe così glorioso un tesoro di virtuoso merito, l’ineguagliato, l’irraggiungibile, l’impareggiabile e senza pari –
fu impedito di ricevere l’elemosina da un essere così vile, insignificante, immorale, peccatore ed ignobile come Mara.”

24. “Vi sono quattro tipi di ostacoli, o re – l’ostacolo ad un dono non deciso per una persona particolare, ad un dono messo da parte per qualcuno, ad un dono preparato ed al piacere di un dono. Il primo è quando qualcuno pone un ostacolo ad un dono in procinto di essere dato, ma non come un particolare donatario, un ostacolo sollevato, per esempio, col dire: “Perché donarlo a qualcun altro?”. Il secondo è quando qualcuno pone un ostacolo ad un dono di cibo preparato per una persona specifica. Il terzo è quando qualcuno pone un ostacolo ad un dono preparato, ma non ancora accettato. Ed il quarto è quando qualcuno pone un ostacolo al piacere di un dono già dato ( e quindi di proprietà del donatario).

25. Ora quando Mara, il maligno si impadronì dei bramani e dei capifamiglia del villaggio dei Cinque alberi di Sala, il cibo in quel caso non era proprietà di, né preparato per, né deciso per essere preparato soltanto per il Beato. L’ostacolo fu posto a chi doveva ancora arrivare, che non era giunto, per cui nessun dono era deciso. Non era solo contro al Beato. Ma tutti coloro che quel giorno erano usciti per giungere al villaggio, non ebbero nessuna elemosina. Io non conosco nessuno, o re, fra deva ed uomini, fra i Mara ed i Brahma, fra asceti e bramani, che potesse porre un qualche ostacolo ad elemosine decise per, o già preparate per, o già donate al Beato. E se qualcuno, per gelosia, osasse porre un ostacolo, allora, in quel caso, la sua testa sarebbe fatta in cento o mille pezzi.

26. Ci sono quattro cose, o re, legate ai Tathagata a cui nessuno può recare danno. Quali quattro? Alle elemosine decise per o preparate per il Beato – all’aura lunga un braccio, da lui emanata – al tesoro della conoscenza della sua onniscienza – e alla sua vita. Tutte queste cose, o re, sono in essenza una – sono senza difetti, inamovibili, inattaccabili da altri esseri, immutabili da altre circostanze. E Mara, il maligno, era in agguato e nascosto, quando si impadronì dei Bramani e dei capifamiglia al villaggio dei Cinque alberi di Sala. E’ come quando dei ladri, o re, nascosti nella inaccessibile regione vicino al confine, occupano le vie principali. Ma se il re li scoprisse, voi pensate che quei ladri sarebbero salvi?”
“No, venerabile. Potrebbe farli tagliare in cento o mille pezzi con un’ascia.”
“Bene, fu proprio così che, nascondendosi alla vista, si impadronì di loro. E come se una donna sposata, di nascosto, frequentasse il suo amante. Ma se, o re, facesse i suoi intrighi dinanzi al marito, voi pensate che sarebbe salva?”
“No, venerabile, egli potrebbe ucciderla, o ferirla, o incatenarla o ridurla in schiavitù.”
“Bene, fu proprio così che, nascondendosi alla vista, si impadronì di loro. Ma se, o re, avesse sollevato un qualche ostacolo alle elemosine decise per, preparate per, o in possesso del Beato, allora la sua testa sarebbe stata divisa in cento o mille pezzi.”
“Così è, Nagasena. Mara, il maligno, agì come i ladri, stette in agguato, impadronendosi dei Bramani e dei capifamiglia del villaggio dei Cinque alberi di Sala. Ma se lo stesso Mara, il maligno, avesse ostacolato le elemosine decise per, o preparate per il Beato, o ne avesse preso parte, allora la sua testa sarebbe stata divisa in cento o mille pezzi, o la sua forma corporea sarebbe stata dissolta come una manciata di pula.”
“Molto bene, Nagasena. Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma su Mara il maligno.]

L’inconsapevole colpa

27. “Venerabile Nagasena, la vostra gente afferma: “Chi priva un essere vivente della vita, senza sapere ciò che fa, accumula un gravissimo demerito.” Ma, d’altra parte, così è stato detto dal Beato nel Vinaya: “Non vi è colpa per colui che agisce in ignoranza.” Se il primo passo è corretto, allora il secondo deve essere falso; e se il secondo è giusto, il primo deve essere sbagliato. Anche questo è un dilemma a due facce, difficile da spiegare e da superare. Ora è posto a voi e voi lo dovete risolverle.”

28. “Entrambi i passi, da voi citati, o re, sono stati detti dal Beato. Ma vi è una differenza di senso fra i due. E qual è la differenza? Vi è un tipo di colpa commesso senza coinvolgere la mente, e vi è un altro tipo dove la mente è coinvolta. Fu riguardo al primo dei due che il Beato disse: “Non vi è colpa per colui che agisce in ignoranza.”
“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sull’inconsapevole colpa.]

Il Buddha ed i suoi seguaci

29. “Venerabile Nagasena, è stato detto dal Beato: “Ora il Tathagata, Ananda, non pensa di guidare la comunità, o che l’Ordine dipenda da lui.” Ma, d’altra parte, nel descrivere le virtù e la natura di Maitreya, il Buddha, così disse: “Sarà la guida di una numerosissima comunità, migliaia di seguaci, così come adesso sono la guida di una numerosa comunità, centinaia di seguaci.” Se la prima affermazione è giusta, allora la seconda è sbagliata. Se la seconda è giusta, allora la prima deve essere falsa. Anche questo è un dilemma a due facce. Ora a voi è posto e voi lo dovete risolvere.

30. “Avete citato correttamente entrambi i passi, o re. Ma nel dilemma che avete posto in un passo il senso è inclusivo, nell’altro no. Non è il Tathagata, o re, che cerca un successore, ma sono i seguaci che lo cercano. E’ una mera opinione comunemente accettata, o re, “Questo è mio.”, non è una realtà assoluta. L’attaccamento è uno stato d’animo abbandonato dal Tathagata, egli è privo di attaccamento, è libero dall’illusione che “Questo è mio.”, egli vive solo per aiutare gli altri. Proprio come la terra, o re, è sostegno agli esseri nel mondo, ed un rifugio per tutti gli altri, e da essa dipendono, ma la grande terra non li desidera con l’idea “Costoro mi appartengono.” – allo stesso modo il Tathagata è un sostegno ed un rifugio per tutti gli esseri, ma non li desidera con l’idea “Costoro mi appartengono.” Proprio come una grande nuvola, o re, rovescia la sua pioggia e dà nutrimento ad erba ed alberi, a bestiame e ad uommini, ma mantiene il lignaggio e tutte queste creature per vivere dipendono dalla sua pioggia, ma la nuvola non ha sentimenti di attaccamento con l’idea “Questi sono miei.” – allo stesso modo il Tathagata dona a tutti gli esseri la conoscenza delle buone qualità e li mantiene nella bontà, e tutti gli esseri hanno in lui la loro vita, ma il Tathagata non prova attaccamento verso loro con l’idea “Questi sono miei.” E perchè? Perchè ha abbandonato il suo sé.”
“Molto bene, Nagasena! Il dilemma è stato spiegato con numerosi esempi. La giungla è stata spianata, l’oscurità si è tramutata in luce, gli argomenti degli avversari sono stati distrutti, la profonda visione è stata risvegliata nei figli del Glorioso.”

[Qui finisce il dilemma sul Buddha ed i suoi seguaci.]

Scisma

31. “Venerabile Nagasena, la vostra gente afferma: “Il Tathagata è una persona i cui seguaci non possono mai essere divisi.” E poi: “In un colpo Devadatta sedusse 500 monaci.” Se la prima è vera, la seconda è falsa, mentre se la seconda è vera, allora la prima è falsa. Anche questo dilemma è ambiguo, profondo, difficile da interpretare, più ingarbugliato di un nodo. Ma se queste persone sono velate, ostacolate, impedite, ostruite ed avviluppate, allora mostrate la vostra abilità contro gli argomenti degli avversari.”

32. “Entrambe le affermazioni sono corrette, o re. Ma l’ultima è causata dal potere di colui che provoca divisione. Dove vi è qualcuno che provoca divisione vi è una madre che si separa dal figlio ed il figlio dalla madre, o il padre dal figlio ed il figlio dal padre, o il fratello dalla sorella e la sorella dal fratello, o l’amico dall’amico. Una nave costruita con legname di ogni tipo è distrutta dalla violenza del vento, ed un albero in piena crescita e pieno di linfa è sradicato dalla forza della violenza del vento, e l’oro più prezioso è diviso dal bronzo. Ma provocare divisione non è l’intenzione del saggio, non è la volontà dei Buddha, non è il desiderio di coloro che seguono gli insegnamenti del Tathagata. E vi è un senso speciale dove ciò che è detto non può accadere. Mai ho sentito dire, secondo la mia conoscenza, che questi seguaci siano stati divisi da un qualche atto compiuto, da qualche parola offensiva, da qualche azione sbagliata, da qualche ingiustizia compiuta dallo stesso Tathagata. In quel senso i suoi seguaci sono invulnerabili. E voi stesso, conoscete qualche caso riportato nelle Scritture di qualcosa fatta da un Bodhisattva che divise i seguaci del Tathagata?”
“No, venerabile. Tale cosa non è stata mai vista né sentita nel mondo. E’ molto giusto, Nagasena, ciò che dite ed io accetto le vostre parole.

[Qui finisce il dilemma sullo Scisma.]

Fine del Secondo Capitolo.

Traduzione in Inglese dalla versione Pâli di T. W. Rhys Davids. Tradotto in italiano da Enzo Alfano.

TestoMilindapañha