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Milindapañha: Libro IV – Capitolo III

La precedenza del Dhamma

1. “Venerabile Nagasena, è stato detto dal Beato: “Il Dhamma, o Vasettha, è “la realtà migliore al mondo” sia per ciò che ora vediamo sia per ciò che deve ancora venire.” Ma (secondo la vostra gente) il devoto laico – che è entrato nella Corrente, la cui possibilità di rinascita in qualsiasi luogo di sofferenza è stata sradicata, che ha raggiunto la profonda visione, che ha conoscenza della dottrina – anche a costui si deve rispetto e lode, tanto che un qualsiasi membro dell’ordine, sia novizio sia seguace laico, si alza dal proprio seggio in segno di riverenza. Ora se il Dhamma è la realtà migliore, allora quel comportamento è sbagliato, ma se è giusto, allora la prima affermazione deve essere sbagliata. Anche questo dilemma è ambiguo. Ora è posto a voi e voi dovete risolverlo.”

2. “Il Beato disse ciò che avete citato, e voi avete rettamente descritto la regola di condotta. Ma c’è una ragione per quella regola ed è questa. Ci sono queste venti qualità personali che caratterizzano la Perfezione di un asceta, e questi due segni esteriori, per cui l’asceta è degno di lode, di rispetto e di riverenza. E quali sono? La miglior forma di rinuncia, il più alto modo di autocontrollo, la retta condotta, la calma, la padronanza delle proprie azioni e delle proprie parole, il dominio dei propri sensi, la tolleranza, la simpatia, la pratica della solitudine, l’amore per la solitudine, la meditazione, la modestia e la paura di compiere il male, lo zelo, l’ardore, il rispetto dei precetti, la recitazione (delle Scritture), il porre domande (ai saggi conoscitori del Dhamma e del Vinaya), l’elogiare la Virtù e le regole di moralità, la liberazione dall’attaccamento, l’adempimento dei precetti – indossare la veste gialla ed avere la testa rasata. Nella pratica di tutte queste cose vive il membro dell’Ordine. Nel rispettarle tutte, nel renderle perfette, nel compierle, nel praticarle si raggiunge la condizione dello stato di Arahant, la condizione di coloro che non hanno nulla da imparare; egli è sul sentiero che conduce alle realtà più alte. Il seguace laico  lo rispetta e lo degna di lode, anche se è ancora un novizio,  perché lo vede in compagnia dei Nobili (gli Arahant) che sono già Entrati nella Corrente. Perché lo vede in compagnia di coloro che hanno distrutto ogni male, e sa che egli non fa parte di questa comunità – perché sa che costui fa parte della più nobile comunità e che egli non ha raggiunto tale meta – perché sa che ascolta il Patimokka, mentre egli stesso non può – perché sa che riceve membri dell’Ordine e divulga l’insegnamento del Glorioso, mentre egli è incapace di fare tali cose – perché sa che segue molti precetti, mentre egli non li osserva – perché sa che possiede i segni esteriori degli asceti e osserva l’insegnamento del Buddha, mentre egli se n’è allontanato – perché sa che, anche se non ha più capelli e barba, non si unge e non indossa ornamenti, è sempre unto con il profumo della rettitudine, mentre egli  si delizia con gioielli e fini vesti – per questo il seguace  laico convertito crede che sia retto mostrare rispetto e riverenza anche al monaco novizio.

3. Ed inoltre, o re, perché sa che non sono solo tutte queste venti qualità personali che fanno un Asceta, e i due segni esteriori presenti in un monaco, ma la pratica e la continua esercitazione, per questo il seguace laico, sapendo di non prendere parte in tale tradizione, nella conservazione della fede, crede che sia retto mostrare rispetto e riverenza anche al monaco novizio. Proprio come, o re, un principe che viene istruito ed impara i doveri di un Khattiya, dal Bramano che agisce per il suo bene, e dopo un certo tempo, divenuto re, mostra riverenza e rispetto al suo maestro, perché lo rispetta come tale, e perché porta avanti le tradizione della famiglia, così è giusto che un monaco esperto mostri rispetto e riverenza anche ad monaco novizio.

4. Ed inoltre, o re, potete conoscere da questo fatto la grandezza e l’impareggiabile gloria della condizione dei monaci – che se un seguace laico, un discepolo della dottrina, che è entrato nell’Eccelso Sentiero, raggiungesse la condizione di Arahant, uno dei due risultati deve accadergli, e nient’altro – egli deve o morire in quel giorno, o assumere la condizione di un monaco. Perciò, o re, questo stato di rinuncia è inamovibile, glorioso ed eccelso – cioè la condizione di essere un membro dell’Ordine!”
“Venerabile Nagasena, questo sottile dilemma è stato interamente sciolto dalla vostra potente ed immensa saggezza. Nessun altro è in grado di spiegarlo, a meno che non sia saggio come voi.”

[Qui finisce il dilemma sulla precedenza del Dhamma.]

Il male del predicare

5. “Venerabile Nagasena, voi monaci dite che il Tathagata allontana il male da tutti gli esseri, e reca loro il bene. Inoltre voi dite che nel predicare il sermone del paragone del fuoco circa sessanta monaci vomitarono sangue. Con quel sermone egli procurò del male a quei monaci, non del bene. Quindi se la prima affermazione è corretta, la seconda è falsa; e se la seconda è corretta, allora la prima è falsa. Anche questo dilemma a doppio taglio è a voi posto e voi lo dovete risolvere.”

6. “Sono vere entrambe. Ciò che a loro accadde non fu fatto dal Tathagata, ma da loro stessi.”
“Ma, Nagasena, se il Tathagata non avesse pronunciato quel sermone avrebbero vomitato sangue?”
“No. Quando essi recepirono male ciò che disse, allora una forte infiammazione nacque in loro e vomitarono sangue.”
“Allora ciò deve essere successo per l’atto del Tathagata, Nagasena. Il Tathagata  fu la causa della loro distruzione. Immaginate un serpente, Nagasena, nasccosto in un formicaio, ed un uomo in cerca di terra rompesse il formicaio per portare  via della terra. Nel fare ciò il foro d’entrata del formicaio rimanesse chiuso e il serpente morisse per mancanza d’aria. Il serpente è stato ucciso dall’azione dell’uomo?”
“Sì, o re.”
“Allo stesso modo, Nagasena, il Tathagata fu la causa della loro distruzione.”

7. “Quando il Tathagata pronunciò un discorso, o re, non fu mai per adulazione o per malizia. Egli parlò libero da entrambe. E coloro che recepirono il sermone rettamente furono resi saggi, mentre coloro che lo recepirono erroneamente crollarono. Proprio come, o re, quando un uomo scuote un albero di mango o un albero di jambu, quei frutti pieni di linfa e fortemente attaccati rimangono dove sono, mentre quei frutti con steli marci ed attaccati debolmente cadono a terra – così accadde con il suo predicare. Fu, o re, come quando un agricoltore, desideroso di coltivare un raccolto di frumento, ara il terreno, ma con l’arare molte centinaia e migliaia di fili d’erba vengono estirpati – o fu come quando gli uomini, per amore della dolcezza, schiacciano canne da zucchero in un mulino, e dalla loro azione molte creature vengono anch’esse schiacciate nel mulino – così fu che il Tathagata, rendendo saggi coloro le cui menti erano pronte, predicò il Dhamma senza adulazione e senza malizia. E coloro che lo recepirono rettamente furono resi saggi, mentre coloro che lo recepirono erroneamente crollarono.”

8. “Allora quei monaci non crollarono solo a causa di quel discorso, Nagasena?”
“Allora potrebbe mai un falegname senza toccare un pezzo di legno renderlo dritto ed adatto all’uso?”
“No, venerabile. Egli dovrebbe lavorarlo per renderlo dritto ed adatto all’uso.”
“Allo stesso modo, o re, il Tathagata non avrebbe mai potuto, semplicemente osservando i suoi discepoli, aprire gli occhi di coloro che erano pronti a vedere. Ma con lo sbarazzarsi di coloro che recepivano le sue parole erroneamente egli salvò coloro che erano pronti per essere salvati. E fu per i loro atti ed azioni, o re, che crollarono con menti maligne; proprio come un banano, o un bambù vengono distrutti da ciò che li fa nascere. Come, o re, i ladri che per le proprie azioni vanno incontro allo strappo degli occhi, o ad essere impalati o decapitati, così quelle menti nocive furono distrutte dalle loro proprie azioni e crollarono di fronte all’insegnamento del Glorioso.

9. E così per quei sessanta monaci, non fu per l’atto del Tathagata o di qualcun altro che crollarono, ma solamente per le loro azioni. Immaginate, o re, un uomo dare ambrosia a tutti, e che costoro mangiandola, divenissero sani, longevi e liberi da ogni malattia. Ma un uomo, nel mangiarla, per la sua cattiva digestione morisse. Quindi, o re, l’uomo che diede l’ambrosia sarebbe colpevole di quella morte?”
“No, venerabile.”
“Allo stesso modo, o re, fa il Tathagata nel donare l’ambrosia agli uomini e ai deva nei diecimila sistemi di mondi; e quegli esseri che sono capaci vengono resi saggi dal nettare del Dhamma, mentre coloro che non lo sono sono distrutti e crollano.”
“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sul male del predicare.]

Lo stolto discepolo

15. “Venerabile Nagasena, è stato detto dal Ven. Sariputta, il comandante della fede: “Il Tathagata, monaci, è perfetto nella gentilezza del discorso. Non vi è colpa nelle parole del Tathagata nell’avere a cuore ciò che nessun altro conosce.” D’altra parte il Tathagata nel promulgare il primo Paragika in occasione dell’offesa di Sudinna il Malanda si rivolse a lui con parole dure, chiamandolo un discepolo inutile. E quel monaco anziano, così chiamato, ebbe paura del suo maestro, e sopraffatto dal rimorso, fu incapace di comprendere l’Eccelso Sentiero. Ora se la prima affermazione è corretta, l’asserzione che il Tathagata chiamò Sudinna il Malanda un inutile discepolo deve essere falsa. Ma se è vera, allora la prima affermazione deve essere falsa. Anche questo dilemma è ambiguo. Ora è posto a voi e voi lo dovete risolvere.”

16. “Le parole di Sariputta sono vere, o re. E il Beato chiamò Sudinna un inutile discepolo in quell’occasione. Ma ciò non fu per una naturale asprezza, ma semplicemente per indicare la reale natura (della sua condotta) senza procurargli alcun danno. E cosa significa “indicare la reale natura”? Se un qualsiasi uomo, o re, in questa nascita non raggiunge la percezione delle Quattro Nobili Verità, allora la sua esistenza (l’esser nato come uomo) è vana, ma se agisce diversamente sarà diverso. Per questo fu chiamato un inutile discepolo. Così il Beato si rivolse a Sudinna il Malanda con parole piene di verità, e non con parole separate dai fatti.”

17. “Ma, Nagasena, anche se un uomo dice la verità, insultando un altro dovremmo infliggergli una piccola pena. Perché è colpevole di un’offesa, poiché, anche se dice il vero, usa l’insulto che tende a rompere la pace.”
“Avete mai sentito, o re, di gente che si inchina, o si alza dal proprio posto in segno di rispetto, o mostra onore, o porta considerevoli doni (di solito dati ad ufficiali) ad un criminale?”
“No, se un uomo ha commesso un crimine di qualsiasi tipo, se è realmente degno di biasimo e di punizione, allora verrà decapitato, o torturato, o imprigionato, o ucciso, o privato dei suoi beni.”
“Quindi, o re, il Beato agì con giustizia oppure no?”
“Con giustizia, venerabile, e nel modo più giusto e retto. E quando, Nagasena, il mondo divino ed umano lo ascolterà lo farà con piena coscienza ed avrà paura di cadere nella colpa, terrorizzato alla sua vista, e lo stesso quando si troverà dinanzi a delinquenti e a far del male.”

18. “Ora, o re, un medico darebbe delle dolci medicine per curare un corpo malato, sofferente ed afflitto?”
“No. Volendo porre fine a malanni egli darebbe medicine amare e sgradevoli.”
“Allo stesso modo, o re, il Tathagata ammonisce per sopprimere tutti i mali della colpa. E le parole del Tathagata, anche quando severe, calmano gli uomini e li rendono teneri. Proprio come l’acqua calda, o re, calma e rende tenera qualunque cosa capace di essere calmata, così sono le parole del Tathagata, anche quando severe, ma piene di benefici e di compassione come le parole di un padre per i propri figli. Proprio come, o re, il bere tisane dal cattivo odore, l’inghiottire sgradevoli medicine distrugge la debolezza del corpo umano, così sono le parole del Tathagata anche quando severe, recano vantaggio e compassione. E proprio come, o re, una balla di cotone che cadendo su una persona non reca dolore, così le parole del Tathagata, anche quando severe, non fanno male.”

“Bene, avete reso chiaro questo dilemma con molte similitudini. Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Fine del dilemma sulle dure parole dette dal Buddha a Sudinna.]

L’albero parlante

19. “Venerabile Nagasena, il Tathagata disse:
“Bramano! Perchè chiedi ad una cosa incosciente
Che non può sentirti, come oggi?
Attivo, intelligente e pieno di vita,
Come puoi tu parlare a questa cosa insensibile –
Questo selvaggio albero Palasa?”

E d’altra parte disse anche:
“E così l’albero Aspen replicò:
– Bharadvaga, anch’io posso parlare. Ascoltatemi. –

Ora, Nagasena, se un albero è una cosa incosciente, il fatto che l’albero Aspen possa parlare a Bharadvaga deve essere falso. Ma se è vero, allora è falso affermare che un albero sia incosciente. Anche questo è un ambiguo dilemma. Ora è posto a voi e voi dovete risolverlo.”

20. “Il Maestro disse che un albero è incosciente. E l’albero Aspen parlò con Bharadvaga. Ma quest’ultima cosa, o re, è detta per modo di dire. Sebbene un albero, essendo incosciente, non possa parlare, tuttavia la parola “albero” è usata per designare la driade che dentro vi dimora, e dire “l’albero parla” è un modo di dire molto conosciuto. Proprio come, o re, un carro pieno di grano è chiamato un carro di grano. Ma non è fatto di grano, è fatto di legno, eppure siccome è pieno di grano la gente usa l’espressione “carro di grano”. O come quando, o re, un uomo zangola il latte acido, l’espressione comune è che egli zangola il burro. Ma non è il burro che zangola, ma il latte. O come quando, o re, un uomo sta facendo qualcosa che non esiste, la comune espressione è che sta facendo una cosa che ancora non è, ma la gente ne parla come se fosse fatta. Ed il Tathagata, quado espone il Dhamma, usa delle espressioni di uso comune fra le gente.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sull’albero parlante.]

L’ultima malattia del Buddha

21. “Venerabile Nagasena, è stato detto dai Venerabili conoscitori dei Sutta:

“Quando mangiò l’elemosina di Cunda
il fabbro, così ho sentito,
il Buddha sentì un violento malore,
un acuto mortale dolore.”

E dopo il Beato disse: “Queste due offerte di cibo, Ananda, uguali, di uguale frutto e risultato, sono migliori, sia come frutto sia come risultato, di qualsiasi altra.” Ora se un grave malore colpì il Beato, Nagasena, dopo aver consumato l’elemosina di Cunda, ed acuti dolori sorsero in lui fino alla morte, allora l’altra affermazione deve essere falsa. Ma se è vera, allora la prima deve essere falsa. Come poteva quell’elemosina, Nagasena, essere miglior frutto se si trasformò in veleno, causando una grave malattia, che lo portò alla morte? Datemi una spiegazione per confutare gli avversari. La gente è disorientata su questo argomento, credendo che la dissenteria sia stata causata dall’aver mangiato troppo e dall’ingordigia.”

22.“Il Beato, o re, disse che vi erano due elemosine uguali, di ugual frutto e risultato, ed erano migliori, sia come frutto sia come risultato, di qualsiasi altra – quella con cui un Tathagata, dopo averla consumata, raggiunge la suprema e perfetta Illuminazione, e quella per cui, dopo averla consumata, trapassa in quella dimensione da cui non si ritorna. Perché quell’elemosina era piena di virtù, piena di beneficio. I deva, o re, gridarono di gioia e di felicità al pensiero. “Questo è l’ultimo pasto del Tathagata!”, e comunicarono un potere divino di nutrimento a quella tenera carne di maiale (vi sono varie interpretazioni sul pasto consumato dal Buddha). Ed era in buona condizione, leggera, piacevole, saporita e buona per la digestione. Non fu essa la causa del malore del Beato, ma a causa dell’estrema debolezza del suo corpo, e dell’età avanzata, che nacque la malattia e peggiorò – proprio come quando, o re, un comune fuoco sta bruciando, se gli si dà carburante fresco, esso brucerà ancor di più – o come quando un torrente sta scorrendo normalmente, se una forte pioggia cade, allora si ingrosserà trasformandosi in un grande fiume – o come quando il corpo mantiene il suo normale peso, se assume più cibo, allora diventerà più grasso e pesante. Perciò, o re, non fu colpa del cibo preparato, e voi non dovete condannarlo.”

23. “Ma, venerabile Nagasena, perché quelle due offerte di cibo sono così particolarmente meritevoli?”
“Per il raggiungimento delle esaltanti condizioni da loro scaturite.”
“A quali condizioni vi riferite, Nagasena?”
“Del raggiungimento dei nove stati successivi che furono passati dal primo all’ultimo e viceversa.”
“Fu in due giorni, Nagasena, che il Tathagata raggiunse quelle condizioni nel grado più alto?”
“Sì, o re.”
“E’ una cosa meravigliosa e strana, Nagasena, che di tutti i grandi e gloriosi doni che furono offerti al nostro Beato, nessuno possa essere paragonato con queste due elemosine. E’ straordinario, che come quelle nove condizioni successive siano gloriose, anche quei doni offerti lo siano, di miglior frutto e di enorme beneficio rispetto a qualsiasi altri. Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sull’ultima malattia del Buddha.]

Adorazione delle reliquie

24. “Venerabile Nagasena, disse il Tathagata: “Non preoccuparti di onorare i resti del Tathagata, Ananda.” E d’altra parte disse anche:

“Onorate quella reliquia che è degna di onore,
Agendo in questo modo rinascerete nei paradisi.”

Ora se la prima ingiunzione era giusta la seconda deve essere sbagliata, e se la seconda è giusta la prima deve essere sbagliata. Anche questo è un dilemma ambiguo. Ora è posto a voi e voi dovete risolverlo.”

25. “Entrambi i passi che avete citato sono stati detti dal Beato. Ma furono rivolti ai figli del Glorioso, non a tutti gli uomini: “Non preoccuparti di onorare i resti del Tathagata, Ananda.” Il riverire non fa parte dei figli del Glorioso, ma piuttosto il comprendere la vera natura di tutte le realtà composte, la pratica del pensiero, la contemplazione in accordo con le regole del Satipatthana, la reale essenza di tutti gli oggetti mentali, la lotta contro il male e la devozione al proprio bene spirituale. Queste sono le cose che i figli del Glorioso dovrebbero fare, lasciando ad altri, sia uomini sia deva, il riverire.

26. Ed è così, o re, proprio come è compito dei principi della terra sapere tutto sugli elefanti, sui cavalli, sui carri, sugli archi, sulla scherma, sui documenti e sulle leggi, sul mantenere le tradizioni del clan dei Khattiya, sul come combattere e sul come guerreggiare, mentre l’agricoltura, il mercanteggiare, curare il bestiame sono compiti assegnati ad altri, in genere ai Vessa ed ai Sudda. O proprio come il compito dei Bramani e dei loro figli è conoscere il Rig-veda, il Yagur-veda, il Sama-veda, l’Atharva-veda, i segni fortunati (sul corpo), le leggende, i Purana, la lessicografia, la prosodia, la fonologia, i versi, la grammatica, l’etimologia, l’astrologia, l’interpretazione dei sogni e dei presagi, i segni, lo studio dei sei Vedanga, le eclissi di sole e di luna, i pronostici mediante il corso delle comete, il tuonare dei deva, l’unione dei pianeti, la caduta delle meteore, i terremoti, le conflagrazioni, i segni celesti e terreni, lo studio dell’aritmetica, la casistica dell’interpretazione dei presagi osservando cani, cervi, ratti, miscele di liquidi, versi di uccelli, mentre l’agricoltura, il mercanteggiare, curare il bestiame sono compiti assegnati ad altri, in genere ai Vessa ed ai Sudda. Così fu, o re, il senso della frase: “Non dedicatevi a quelle cose che non sono affare vostro, ma solo a quelle che lo sono.”, questo intendeva il Tathagata quando disse: “Non preoccuparti di onorare i resti del Tathagata, Ananda.” E se, o re, non avesse detto così, allora i monaci avrebbero preso la sua scodella e le sue vesti, e sarebbero stati occupati a riverire il Buddha mediante questi oggetti.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sull’adorazione delle reliquie.]

La scheggia di roccia

27. “Venerabile Nagasena, voi monaci dite che: “Quando il Beato camminava, la terra, incosciente per natura, riempiva i suoi profondi luoghi e li rendeva piani.” E d’altra parte voi dite che una scheggia di roccia ferì il suo piede. Quando quella scheggia stava colpendo il suo piede, perché non lo evitò? Se è vero che la terra incosciente rese piani i suoi luoghi più profondi per lui, allora è falso che la scheggia di roccia ferì il suo piede. Ma se l’ultima affermazione è vera, allora la prima deve essere falsa. Anche questo è un ambiguo dilemma ed ora è posto a voi, e voi lo dovete risolvere.”

28. “Entrambe le affermazioni, o re, sono vere. Ma quella scheggia di roccia non cadde da sola, fu buttata giù da Devadatta. Attraverso centinaia di migliaia di esistenze, o re, Devadatta alimentò invidia per il Beato. A causa di quell’odio egli scagliò quell’imponente masso di roccia con la speranza di colpire la testa del Buddha. Ma due altre rocce caddero assieme e la fermarono prima di colpire il Tathagata, e dalla forza di quell’impatto una scheggia colpì il piede del Beato.”

29. “Ma, Nagasena, come quelle due rocce fermarono quell’imponente masso così poteva essere fermata quella scheggia.”
“Ma una cosa fermata, o re, può anche scivolare e sfuggire – come l’acqua attraverso le dita, quando la si vuole prendere in una mano – o come il latte, o il siero di latte, o il miele, o il ghee, o l’olio, o il curry di pesce, o il sugo di carne – o come i fini, sottili e piccolissimi granelli di sabbia, che sfuggono via attraverso le dita una volta chiusi nel pugno di una mano – o come il riso che a volte cade quando lo si prende fra le dita per portarlo in bocca.”

30. “Va bene, Nagasena. Ammetto che la roccia fu fermata. Ma la scheggia doveva almeno aver rispetto del Buddha una volta caduta.”

“Vi sono questi dodici tipi di persone, o re, che non portano rispetto – la persona avida nella sua cupidigia, la persona irata nella sua malignità, la persona sciocca nella sua stupidità, la persona vanitosa nel suo orgoglio, la persona cattiva senza discernimento, la persona caparbia senza remissività, la persona meschina nella sua piccolezza, la persona loquace nella sua vanità, la persona malvagia nella sua crudeltà, la persona miserabile nella sua miseria, il giocatore d’azzardo perché è vinto dalla brama e la persona d’affari nella sua ricerca di guadagno. Ma quella scheggia, appena staccata dalla collisione delle rocce, colpì per puro caso il piede del Buddha – proprio come fini, sottili e minuti granelli di sabbia, quando spazzati via dalla forza del vento, vengono sparsi a caso in ogni direzione. Se la scheggia, o re, non fosse stata separata dalla roccia di cui faceva parte, sarebbe stata fermata dall’impatto. Ma, purtroppo, non potendo essere fissata a terra, né rimanere ferma in aria, prese una direzione a caso e colpì il piede del Beato – proprio come le foglie secche cadono quando sono prese da un vortice. E la vera causa del ferimento del piede fu la sciagurata azione di quell’ingrato, malvagio Devadatta.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sulla scheggia di roccia che ferì il piede del Beato.]

L’asceta

31. “Venerabile Nagasena, il Beato disse:: “Un uomo diviene un Asceta con la distruzione degli Asava.” Ma d’altra parte disse anche:

“ L’uomo che possiede queste quattro disposizioni
è conosciuto nel mondo come Asceta.”

E quel passo si riferisce a queste quattro disposizioni: tolleranza,moderazione nel cibo, rinuncia ed essere privi di attaccamento (che nascono a causa dell’avidità, dell’avversione e dell’ignoranza). Ora queste quattro disposizioni si trovano ugualmente in coloro che sono ancora imperfetti, in coloro le cui Asava non sono ancora state completamente distrutte. Quindi se la prima affermazione è giusta, la seconda è sbagliata, e se la seconda è giusta, allora la prima è sbagliata. Anche questo è un ambiguo dilemma, ed ora è posto a voi e voi lo dovete risolvere.”

32. “Entrambe le affermazioni, o re, sono state dette dal Beato. Ma la seconda era riferita a delle caratteristiche di alcuni uomini; la prima è un’affermazione inclusiva – cioè, che tutti coloro le cui Asava sono state distrutte sono degli Asceti. Ed inoltre, di tutti coloro resi perfetti dall’eliminazione del male, se li collocate in un regolare ordine uno dopo l’altro, allora l’Asceta, le cui Asava sono distrutte, è riconosciuto come capo – proprio come, o re, di tutti i fiori prodotti nell’acqua o nella terra, il doppio gelsomino è da ritenersi il capo, e tutte le altre specie di fiori di qualsiasi tipo sono semplicemente fiori, mentre il doppio gelsomino è quello più desiderato ed amato dalla gente. O proprio come, o re, di tutti i tipi di grano, il riso è riconosciuto essere il capo, e gli altri tipi di grano, di qualsiasi genere, sono utili per mangiare o per nutrirsi, ma il riso è riconosciuto essere il migliore.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sulla caratteristica dell’Asceta.]

Entusiasmo del Buddha

33. “Venerabile Nagasena, il Beato disse: “Se, monaci, qualcuno dovesse parlare in mia lode, o della nostra dottrina (Dhamma), o dell’Ordine, voi non dovreste gioire, o deliziarvi, abbandonarvi all’esultanza della mente.” E d’altra parte il Tathagata era così felice, così contento ed entusiasta della lode ricevuta da Sela il Bramano, tanto da glorificare la propria bontà col dire:

“Un re io sono, Sela, il re supremo
della rettitudine. La ruota del regale carro
faccio avanzare nella rettitudine –
quella ruota che nessuno può fermare!”

Ora se il primo passo citato è vero, allora il secondo deve essere falso, ma se è vero, allora il primo deve essere falso. Anche questo è un ambiguo dilemma, ed ora è posto a voi e voi dovete risolverlo.”

34. “Entrambe le citazioni, o re, sono vere. Ma il primo passo fu detto dal Beato con l’intenzione di esporre veramente, esattamente, in linea con la realtà, con il fatto e con il senso, la reale natura, l’essenza e la caratteristica del Dhamma. Il secondo passo non fu detto per ottenere guadagni o fama, né per spirito di parte, né per desiderio di convertire altre persone. Ma fu per pietà e per amore, per donare benefici, sapendo che trecento bramani avrebbero ottenuto la conoscenza del Dhamma, che egli disse: “Un re io sono, Sela, il re supremo della rettitudine.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma dell’esultanza della mente.]

Bontà e punizione

35. “Venerabile Nagasena, il Beato disse:

“Non facendo del male a nessuno
dimorate colmi d’amore e bontà per il mondo.”

E d’altra parte disse anche: “Punite chi merita punizione, lodate chi merita lode.” Ora punizione, Nagasena, significa tagliare mani o piedi, frustare, incatenare, torturare, uccidere, degradare. Queste non sono parole degne del Beato e non avrebbe dovuto usarle. Perciò se la prima affermazione è vera, allora questa deve essere falsa, e se questa è vera allora l’affermazione di non far del male a nessuno, ma di dimorare colmi d’amore e di bontà per il mondo, deve essere falsa. Anche questo è un dilemma ambiguo ed ora è posto a voi e voi dovete risolverlo.”

36. “Il Beato, grande re, diede entrambi i consigli che avete citato. Sul primo, di non far del male a nessuno, ma di vivere colmi d’amore e di bontà per il mondo – è una dottrina accettata da tutti i Buddha. E quel verso è un consiglio, una spiegazione del Dhamma, perché il Dhamma ha come sua caratteristica il non nuocere. Ed il detto è in completo accordo. Ma sul secondo consiglio che avete citato vi è un uso speciale dei termini (che avete frainteso. Il vero significato è questo: “Domate ciò che deve essere domato, praticate, coltivate, favorite ciò che è degno di sforzo, di coltivazione e di approvazione.”) La mente orgogliosa, grande re, è da coltivare, mentre la mente docile è da coltivare– la mente malvagia è da domare e la mente benevola è da coltivare – il pensiero nocivo è da domare e il retto pensiero è da coltivare – colui che è propenso ad avere false visioni è da domare, mentre colui che ha raggiunto la retta visione è da coltivare – colui che non è Nobile è da domare, mentre il Nobile è da coltivare – il ladro è da domare, mentre la persona onesta è da coltivare.”

37. “Va bene, Nagasena. Ma ora, nelle vostre ultime parole, vi siete posto al mio potere, avete girato intorno al senso della mia domanda. Perciò, Nagasena, il ladro come deve essere domato da colui che vuole domarlo?”
“Grande re, se merita di essere biasimato lo si biasimi, se merita di essere multato lo si multi, se merita una punizione lo si punisca, se merita di essere messo a morte lo si uccida.”
“Allora, Nagasena, mettere a morte i ladri fa parte della dottrina annunciata dai Tathagata?”
“Certo che no, o re.”
“Allora perché i Tathagata hanno prescritto che il ladro deve essere meglio istruito?”
“Chiunque, o re, può essere messo a morte, egli non soffre l’esecuzione per volere dei Tathagata. Egli soffre per causa delle sue azioni. Ma nonostante la dottrina del Dhamma insegnata (dai Buddha), potrebbe essere possibile, grande re, per un uomo che non ha fatto nulla di male, e che cammina innocentemente per le strade, essere arrestato e messo a morte da qualche saggio?”
“Certo che no.”
“E perché?”
“Per la sua innocenza.”
“Allo stesso modo, grande re, il ladro non è messo a morte dalla parola del Tathagata, ma solamente per le sue azioni, perciò vi può essere colpa nel Maestro?”
“No, venerabile.”
“Come vedete l’insegnamento del Tathagata è un retto insegnamento.”
“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sulla bontà e sulla punizione.]

L’espulsione dei Venerabili

38. “Venerabili Nagasena, è stato detto dal Beato:

“Non dimoro né nella collera né nel malumore.”

Però d’altra parte il Tathagata espulse i Venerabili Sariputta e Moggallana, insieme con i monaci che formavano la loro comunità di discepoli. Ora, Nagasena, fu per collera che il Tathagata cacciò i discepoli, o fu per piacere? Spiegatemi bene cosa accadde. Perché se, Nagasena, li cacciò per collera, allora il Tathagata non aveva completamente distrutto la colera. Ma se fu per piacere, allora lo fece per ignoranza e senza una valida ragione. Anche questo è un ambiguo dilemma. Ora è posto a voi e voi lo dovete risolvere.”

39. “Il Beato così disse, o re: “Non dimoro né nella collera né nel malumore.”, ed espulse i Venerabili con il loro discepoli. Ma non fu per collera. Immaginate, o re, un uomo inciampare contro una radice, o un palo, o un sasso, o un ramo, o su un terreno irregolare e cadere a terra. La grande terra sarebbe in collera con lui per averlo fatto cadere?”
“No, davvero, venerabile. La grande terra non prova né collera né piacere verso quell’uomo. Essa è totalmente libera da avversione, e non ha bisogno di adulare nessuno. Quell’uomo è inciampato e caduto per la sua disattenzione.”
“Allo stesso modo, grande re, i Tathagata non provano né collera né orgoglio per alcuno. I Tathagata, gli Arahat sono completamente liberi da avversione e dal bisogno di adulare qualcuno. E quei discepoli furono mandati via per ciò che avevano fatto. Anche il grande oceano non sopporta essere associato a qualche cadavere. Ogni corpo morto lo rigetta e lo abbandona sulla spiaggia. Ma forse lo fa per collera?”
“Certo che no, venerabile. Il grande oceano non prova né collera né piacere per alcuno. Non cerca di compiacere nessuno ed è completamente libero dal desiderio di far del male.”
“Allo stesso modo, grande re, i Tathagata non provano né collera verso qualcuno, né obbligano la loro fede a nessuno. I Tathagata, gli Arahat sono liberi dal desiderio e dal conquistare la buona volontà di qualcuno, o di fargli del male. E quei discepoli furono mandati via per ciò che fecero. Proprio come un uomo, grande re, che inciampa nel terreno e cade, così è mandato via colui che inciampa nell’eccelso insegnamento del Glorioso. E quando il Tathagata mandò via quei discepoli lo fece per il loro bene, per il loro beneficio, per la loro felicità, per la loro purificazione, in modo da liberarli dalla nascita, dalla vecchiaia e dalla morte.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma dell’espulsione dei Venerabili.]
Qui finisce il Terzo Capitolo.

Traduzione in Inglese dalla versione Pâli di T. W. Rhys Davids. Tradotto in italiano da Enzo Alfano.

TestoMilindapañha