A Sāvatthī. Il Ven. Migajāla si recò dal Beato e, una volta arrivato, dopo averlo salutato con rispetto, si sedette a lato. Lì seduto, disse al Beato: “Una persona che vive in solitudine. Una persona che non vive in solitudine”, così si dice. Fino a che punto, signore, si è una persona che vive in solitudine, e fino a che punto si è una persona che non vive in solitudine?”
“Migajāla, ci sono forme percepibili con l’occhio – gradevoli, piacevoli, affascinanti, accattivanti, seducenti, legate al desiderio sensuale – e un monaco le assapora, le accoglie e prova attaccamento ad esse. Mentre le assapora, le accoglie e prova attaccamento ad esse, nasce il piacere. Essendoci piacere, ne è affascinato. Essendo affascinato, è incatenato. Si dice che un monaco vincolato al piacere sia una persona che non vive in solitudine.
Ci sono suoni percepibili con l’orecchio… aromi percepibili con il naso… sapori percepibili con la lingua… sensazioni tattili percepibili con il corpo… idee percepibili con il pensiero – gradevoli, piacevoli, affascinanti, accattivanti, seducenti, legate al desiderio sensuale – e un monaco le assapora, le accoglie e prova attaccamento ad esse. Mentre le assapora, le accoglie e prova attaccamento ad esse, nasce il piacere. Essendoci piacere, ne è affascinato. Essendo affascinato, è incatenato. Si dice che un monaco vincolato al piacere sia una persona che non vive in solitudine.
Una persona che vive in questo modo – anche se vive in dimore isolate nella foresta o nel deserto, solitario, lontano dall’umanità, adatto alla solitudine – si dice che non viva in solitudine. Perché? Perché il desiderio che lo accompagna non è stato abbandonato. Così si chiama una persona che non vive in solitudine.
Ora ci sono forme percepibili con l’occhio – gradevoli, piacevoli, affascinanti, accattivanti, seducenti, legate al desiderio sensuale e un monaco non le assapora, non le accoglie e non prova attaccamento ad esse. Siccome non le assapora, non le accoglie e non prova attaccamento ad esse, non nasce il piacere. Non essendoci piacere, non ne è affascinato. Non essendo affascinato, non è incatenato.
Un monaco distaccato dal piacere si dice che sia una persona che vive in solitudine.
Ci sono suoni riconoscibili con l’orecchio… odori riconoscibili con il naso… sapori riconoscibili con la lingua… sensazioni tattili riconoscibili con il corpo… idee riconoscibili con il pensiero – gradevoli, piacevoli, affascinanti, accattivanti, seducenti, legate al desiderio sensuale – e un monaco non le assapora, non le accoglie, non prova attaccamento ad esse. Siccome non le assapora, non le accoglie e non prova attaccamento ad esse, il piacere cessa. Non essendoci piacere, rimane distaccato. Essendo distaccato, non è vincolato. Un monaco libero dal piacere si dice che sia una persona in solitudine.
Una persona che vive in questo modo – anche se vive vicino a un villaggio, frequentando monaci e monache, con seguaci laici uomini e donne, con re e ministri reali, con discepoli di varie sette – si dice che sia in solitudine. Una persona che vive in solitudine è un monaco. Perché? Perché il desiderio è stato da lui abbandonato. Così è chiamata una persona che vive in solitudine.”
Traduzione in Inglese dalla versione Pâli di Ṭhānissaro Bhikkhu, Handful of leaves: an Anthology from the Saṁyutta Nikāya © 2014-2021. Tradotto in italiano da Enzo Alfano.
Testo: Samyutta Nikaya