Questo ho sentito. Una volta il Sublime dimorava presso Râjagaham, nel parco di bambù, nel sito degli scoiattoli. Allora molti ben noti pellegrini si trattenevano nel sito di pastura dei pavoni; come Anubhâro, Varataro, Sakuludâyî ed altri ancora. Il Sublime quel giorno, pronto di prima mattina, preso mantello e scodella, si diresse verso Râjagaham per l’elemosina. Però, accortosi che era ancora troppo presto, decise di andare a visitare quei pellegrini. Nel frattempo Sakuludâyî il pellegrino era seduto in mezzo alla grande comitiva dei pellegrini che, strepitando con gran chiasso, discutevano sopra ogni sorta di cose futili, come su re, briganti, principi, soldati, guerre, battaglie, cibi, bevande, vesti, letti, fiori, odori, relazioni, veicoli, vie, villaggi, borghi, città, contrade, femmine, vini, piazze, mercati, antenati, mutamenti, storie di terra, storie di mare, varie esistenze, e così via.
Avvedendosi dell’avvicinarsi del Sublime, Sakuludâyî ammonì la propria comitiva: “Siate meno chiassosi, amici; ecco che viene l’asceta Gotamo! Questo onorevole non ama il chiasso, loda la quiete: può darsi che vedendo un’assemblea tranquilla, egli pensi di venire qua.”
Quindi ora quei pellegrini tacquero, e allora il Sublime si avvicinò a Sakuludâyî che così lo accolse: “Venga dunque, Signore, il Sublime; salute a lui! Lungamente Egli ha fatto sperare questa occasione di una visita qui. Si segga, Signore: questo sedile è pronto.”
Si sedette il Sublime sul sedile offerto; Sakuludâyî sedette accanto a lui su un sedile più basso e il Sublime chiese: “Per quale conversazione eravate qui ora in consesso, e perché vi siete interrotti?”
“Lasciamo stare, Signore, quella conversazione; Egli la sentirà più tardi. Pochi giorni fa molti penitenti, asceti e sacerdoti si sono riuniti a consesso nella sala delle feste, e hanno cominciato a dirsi l’un l’altro: ‘Fortunati sono il Bengâla e il Magadhâ da quando asceti e sacerdoti, capiscuola seguiti da numerosi discepoli, noti e famosi maestri ben quotati da molta gente, si sono decisi a trascorrere la stagione delle piogge in Râjagaham. Ora sono qui Pûrano Kassapo, e Makkhali Gosâlo, e Ajito Kesakambalî, e Pakudho Kaccâyano, e Sañjayo Belatthaputto, e Nigantho Nathaputto. Ed ora c’è anche l’asceta Gotamo. Ognuno un caposcuola seguito da numerosi discepoli e seguaci, noto e famoso maestro. Chi ora di questi illustri asceti e sacerdoti viene dai discepoli apprezzato, onorato, venerato? E in chi hanno fondato la loro fiducia?’.
Qui alcuni dissero: ‘Ecco, questo Pûrano Kassapo è uno stimato caposcuola, ma egli non è venerato dai discepoli. Una volta egli stava esponendo la sua dottrina a centinaia di persone, quando uno dei suoi discepoli si mise a gridare: ‘Non si deve, signori, chiedergli questo: egli non lo sa. Noi lo sappiamo: chiedetelo a noi, ve lo spiegheremo’. E Pûrano Kassapo, agitando le braccia, non riusciva a farsi sentire: ‘State tranquilli, signori, non fate chiasso: noi vi spiegheremo’. Allora però molti discepoli, togliendogli la parola, si distaccarono da lui contestandone la conoscenza: ‘Tu non conosci questa dottrina e regola: quel che è da dire prima, l’hai detto dopo; quello da dire dopo, l’hai detto prima. Sei confutato! Difenditi, se ne sei capace!’ ‘
Alcuni altri nominarono gli altri maestri, ma nessuno di loro risultò essere onorato e stimato dai discepoli.
E alcuni dissero: ‘Ecco l’asceta Gotamo che è stimato e venerato dai suoi discepoli; in lui essi fondano la loro fiducia. Una volta esponeva la dottrina ad una comitiva di alcune centinaia di persone e uno dei suoi discepoli tossì. Un altro discepolo lo urtò col ginocchio: ‘Stia quieto l’onorevole, non faccia chiasso, il nostro maestro espone la dottrina’. Quando l’asceta Gotamo espone la dottrina a centinaia di persone, allora tra i suoi discepoli non si sente neanche starnutire o tossire, e tutta la gente guarda desiderosamente raccolta: ‘Noi vogliamo ascoltare ciò che il Sublime ci insegnerà’.’ È come se un uomo ad un quadrivio spremesse miele dolce e puro, e molta gente si raccogliesse intorno a guardare con desiderio. Persino quei discepoli che, dopo essersi uniti ai condiscepoli nella vita religiosa ed avendo poi abbandonato l’ascesi, ritornano al mondo, pure quelli lodano il maestro, lodano la dottrina, lodano l’ordine. Biasimano solo se stessi, non gli altri. Ed essi, sia che vivano come fratelli laici o come seguaci, praticano scrupolosamente i cinque precetti della regola[: non uccidere, non rubare, non essere lussurioso, non mentire, non inebriarti]. Così l’asceta Gotamo è dai discepoli stimato e venerato; e in lui essi fondano la loro fiducia’.”
“Quali cose tu, Udâyî, scorgi in me per le quali i discepoli si comportano così?”
“Cinque cose: il Sublime prende poco cibo; Egli è contento di qualunque veste; Egli è contento di qualunque cibo elemosinato; Egli è contento di qualunque giaciglio; Egli è ritirato, e loda tutte queste abitudini. Queste sono le cose che io scorgo nel Sublime, per le quali i discepoli apprezzano, stimano, onorano e venerano il Sublime, e fondano in lui la loro fiducia.”
“Se i discepoli mi apprezzassero perché prendo poco cibo, vi sono allora presso di me, Udâyî, discepoli che prendono solo una coppa, mezza coppa, solo una bilva, mezza bilva di cibo (1). Io però, a volte, prendo questa scodella piena di cibo fino all’orlo ed anche più.
Mi accontento di qualunque veste? Allora vi sono presso di me discepoli vestiti di stracci, che portano rozze vesti: essi raccolgono pezze vecchie nei cimiteri, nei cumuli delle immondizie, nei rifiuti, le ricuciono e le indossano. Io però porto vesti decorose, consistenti, ben cucite, ben fatte.
Mi accontento di qualunque cibo elemosinato? Allora vi sono presso di me discepoli che, chiedendo l’elemosina innanzi alle porte, si accontentano degli avanzi, ed entrando nelle case, invitati a sedere, non accettano. Io però, a volte, invitato, mangio anche riso scelto, bollito, ben condito con varie salse.
Mi accontento di qualunque giaciglio? Allora vi sono presso di me discepoli che vivono sotto gli alberi, a cielo aperto, che per otto mesi non si ricoverano sotto un tetto. Io però, a volte, dimoro in padiglioni intonacati di dentro e di fuori, con porte e finestre ben chiuse contro i venti.
Sono ritirato e lodo il ritiro? Allora vi sono presso di me discepoli che vivono nei profondi recessi delle foreste, solitari anacoreti delle selve. Io però a volte vivo in compagnia dei monaci e delle monache, dei seguaci e delle seguaci, dei re e dei principi reali, dei pellegrini e dei discepoli di pellegrini.
Così dunque, Udâyî, non per queste cinque cose i discepoli mi apprezzano, stimano, onorano, venerano e fondano in me la loro fiducia, ma per altre cinque. Quali?
Ecco, Udâyî, i discepoli mi sono devoti per la virtù: ‘Virtuoso è l’asceta Gotamo, dotato della più alta virtù’. Questa è la prima cosa.
Ed inoltre i discepoli mi sono devoti per la provata chiarezza del sapere: ‘Solo sapendo, l’asceta Gotamo dice di sapere; solo vedendo dice di vedere; per conoscenza egli espone la dottrina; ben fondata, ben comprensibile espone la dottrina. Questa è la seconda cosa.
Ed inoltre i discepoli mi sono devoti per la sapienza: ‘Sapiente è l’asceta Gotamo, dotato della più alta sapienza: non accade che egli non preveda un discorso a venire o non confuti giustamente una sorta contraddizione da confutare’. Tu che pensi, Udâyî: potrebbero i miei discepoli, così conoscendo e vedendo, cadere in interruzioni?”
“Questo no, Signore!”
“Non io aspetto istruzione dai discepoli; in verità essi l’aspettano da me. Questa è la terza cosa.
Ed inoltre i discepoli, venendo da me tormentati, torturati dal dolore, mi chiedono la santa verità del dolore: ed io rispondo e sollevo loro il cuore con la risposta della questione. Ed essi mi chiedono la santa verità dell’origine del dolore, della sua fine, della via per la sua fine: ed io rispondo e sollevo loro il cuore con la risposta della questione. Questa dunque è la quarta cosa.
Ed inoltre ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi raggiungono i quattro pilastri del sapere. Ecco, Udâyî, un monaco dimora nel corpo osservando il corpo; dimora nelle sensazioni osservando le sensazioni; dimora nell’animo osservando l’animo; dimora tra le cose osservando le cose, sempre instancabile, cosciente, sapiente, dopo aver rigettato le brame e le cure del mondo. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi superano le quattro battaglie. Ecco, Udâyî, un monaco, per non far sorgere non sorte, cattive, non salutari cose; per respingere già sorte, cattive, non salutari cose; per far sorgere non sorte, salutari cose; per far persistere già sorte, salutari cose, suscita la volontà, arma il suo cuore e fortemente lotta, pugna, combatte. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi superano le quattro potenze. Ecco, Udâyî, un monaco conquista la potenza prodotta dal raccoglimento, sforzo e concentrazione della volontà; conquista la potenza prodotta dal raccoglimento, sforzo e concentrazione della forza; conquista la potenza prodotta dal raccoglimento, sforzo e concentrazione dell’animo; conquista la potenza prodotta dal raccoglimento, sforzo e concentrazione dell’esame. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi acquistano i cinque poteri. Ecco, Udâyî, un monaco acquista il potere della fiducia, il potere della forza, il potere del ricordo, il potere del raccoglimento, il potere della sapienza. Poteri che menano al sollievo, che menano al risveglio. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi acquistano i sette risvegli. Ecco, Udâyî, un monaco conquista il risveglio del sapere, il risveglio dell’investigazione, il risveglio della forza, il risveglio della serenità, il risveglio della calma, il risveglio del raccoglimento, il risveglio dell’equanimità, derivati dal distacco, dalla rinuncia, dalla cessazione, trapassanti alla consumazione. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi pervengono al santo ottuplice sentiero. Ecco, Udâyî, un monaco perviene a retta cognizione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto sapere, retto raccoglimento. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi trovano le otto liberazioni. Formale vede le forme: prima liberazione. Internamente senza percezione di forme, esternamente vede le forme: seconda liberazione. Così contempla soltanto bellezza: terza liberazione. Con completo superamento delle percezioni di forma, tramonto delle percezioni riflesse, rigetto delle percezioni multiple, col pensiero ‘infinito è lo spazio’ entra nel dominio dell’immensità dello spazio: quarta liberazione. Dopo completo superamento del dominio dell’immensità dello spazio, col pensiero ‘infinita è la coscienza’ entra nel dominio dell’immensità della coscienza: quinta liberazione. Dopo completo superamento del dominio dell’immensità della coscienza, col pensiero ‘niente esiste’ entra nel dominio della non esistenza: sesta liberazione. Dopo completo superamento del dominio della non esistenza, giunge il limite di possibile percezione: settima liberazione. Dopo completo superamento del limite di possibile percezione, raggiunge la fine di ogni percezione: ottava liberazione. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi ascendono gli otto gradi del superamento. Internamente percepente forme, uno vede esternamente forme, limitate, belle e brutte; superando queste, egli è consapevole ‘io so, io vedo’: questo è il primo grado del superamento. Internamente percepente forme, uno vede esternamente forme, illimitate, belle e brutte; superando queste, egli è consapevole ‘io so, io vedo’: questo è il secondo grado del superamento. Internamente non percepente forme, uno vede esternamente forme, limitate, belle e brutte; superando queste, egli è consapevole ‘io so, io vedo’: questo è il terzo grado del superamento. Internamente non percepente forme, uno vede esternamente forme, illimitate, belle e brutte; superando queste, egli è consapevole ‘io so, io vedo’: questo è il quarto grado del superamento. Internamente non percepente forme, uno vede esternamente forme azzurre, di colore, di vista, d’aspetto. Così come un fiore di lino è azzurro; o così come una stoffa di seta di Benâres su entrambi i lati è tinta d’azzurro, di colore, di vista, d’aspetto: così pure uno, internamente non percepente forme, vede esternamente forme azzurre: superando queste, egli è consapevole ‘io so, io vedo’: questo è il quinto grado del superamento. Internamente non percepente forme, uno vede esternamente forme gialle, di colore, di vista, d’aspetto. Così come un fiore di kannikâra è giallo, o così come una stoffa di seta di Benâres su entrambi i lati è tinta di giallo; così pure uno, internamente non percepente forme, vede esternamente forme gialle; superando queste, egli è consapevole ‘io so, io vedo’: questo è il sesto grado del superamento. Internamente non percepente forme, uno vede esternamente forme rosse, di colore, di vista, d’aspetto. Così come un fiore di bandhujîvako è rosso, o così come una stoffa di seta di Benâres su entrambi i lati è tinta di rosso; così pure uno, internamente non percepente forme, vede esternamente forme rosse; superando queste, egli è consapevole ‘io so, io vedo’: questo è il settimo grado del superamento. Internamente non percepente forme, uno vede esternamente forme bianche, di colore, di vista, d’aspetto. Così come la stella mattutina è bianca, o così come una stoffa di seta di Benâres su entrambi i lati è bianca; così pure uno, internamente non percepente forme, vede esternamente forme bianche; superando queste, egli è consapevole ‘io so, io vedo’: questo è l’ottavo grado del superamento. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi comprendono le dieci sfere della totalità. Uno riconosce la totalità della terra, la totalità dell’acqua, la totalità del fuoco, la totalità dell’aria, la totalità dell’azzurro, del giallo, del rosso, del bianco; la totalità dello spazio, la totalità della coscienza; la totalità delle dieci sfere sopra, sotto, attraverso, indivise, illimitate. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi raggiungono le quattro contemplazioni. Ecco, Udâyî, un monaco, ben lungi da brame e da cose non salutari, in senziente, pensante, nata da pace beata serenità, raggiunge il grado della prima contemplazione. Ed egli asperge, cosparge, compenetra e colma di beata serenità nata da pace questo corpo così che non la minima parte del corpo rimane insaturata di beata serenità. Così come, Udâyî, se un abile bagnino o garzone di bagnino ponesse in una conca di bronzo polvere odorosa di sapone da bagno, la spargesse, mescolasse e rimescolasse con l’acqua, sì che la sua saponata intrisa ed imbevuta, fosse completamente saturata di profumo e non sgocciolasse; così appunto fa il monaco in modo che non la minima parte del suo corpo rimane insaturata di beata serenità nata da pace.
Ed inoltre ancora, Udâyî, dopo completamento del sentire e pensare, il monaco raggiunge l’interna calma, l’unità dell’animo, la libera di sentire e pensare, nata dal raccoglimento beata serenità, la seconda contemplazione. Ed egli asperge, cosparge, compenetra e colma di beata serenità nata dal raccoglimento questo corpo, così che non la minima parte del corpo rimane insaturata di beata serenità nata dal raccoglimento. Così come un lago con sorgente sotterranea, nel quale non un rivo sboccasse da levante, ponente, settentrione o mezzodì, né il cielo scaricasse di tempo in tempo qualche rovescio di pioggia, in cui solo la fresca sorgente dal fondo sgorgasse, aspergesse, cospargesse, compenetrasse e lo colmasse di fresca acqua, così che non la minima parte del lago rimanesse insaturata di acqua fresca: così appunto fa il monaco in modo che non la minima parte del suo corpo rimane insaturata di beata serenità nata dal raccoglimento.
Ed inoltre ancora, Udâyî, in serena pace dimora il monaco equanime, savio, chiaro cosciente e prova nel corpo una felicità di cui i santi dicono: ‘l’equanime savio vive felice’: così raggiunge il grado della terza contemplazione. Ed egli asperge, cosparge, compenetra e colma di non beata serenità questo corpo, così che non la minima parte del corpo rimane insaturata di non beata serenità. Così come in un lago con fiori di loto azzurri, rossi, o bianchi, alcune piante di loto nate e cresciute nell’acqua, non emergenti dall’acqua, si nutrono immerse, e le loro sommità e le loro radici sono ricolme di fresca acqua, sì che non la minima parte di loro rimane insaturata: così appunto il monaco colma di non beatificata serenità questo corpo in modo che non la minima parte del suo corpo rimane insaturata di non beatificata serenità.
Ed inoltre ancora, Udâyî, dopo rigetto di gioia e dolore, dopo annientamento di letizia e tristezza anteriore, il monaco raggiunge la non triste, non lieta, equanime, savia, perfetta purezza, la quarta contemplazione. Ed egli si siede, avvolgendo questo corpo nell’animo perfettamente purificato, sì che non la minima parte del suo corpo rimane scoperta dell’animo perfettamente purificato. Così come se un uomo stesse seduto, tutto avvolto in un manto bianco, sì che non la minima parte del suo corpo rimanesse scoperta: così appunto fa il monaco sì che nessuna minima parte del suo corpo rimanga scoperta dell’animo perfettamente purificato. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi così riconoscono: ‘Questo è il mio corpo formato, originato dai quattro elementi principali, generato da padre e madre, sviluppatosi con cibo e bevanda, una cosa soggetta al trapasso, alla consumazione, alla scomposizione, alla distruzione: questa però è la mia coscienza, ivi infilata, ivi legata’. Così come se vi fosse una gemma, un gioiello, purissimo, splendente, a otto facce, ben lavorato, chiaro, trasparente, dotato d’ogni qualità; e vi fosse legato un filo azzurro o giallo o rosso o bianco o verde; ed un uomo di buona vista, prendendolo in mano, lo considerasse e lo riconoscesse per quello che è: così pure i miei discepoli riconoscono il corpo e, in esso, la coscienza. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi da questo corpo producono un altro corpo, formale, mentale, completo in ogni parte, ipersensibile. Così come se un uomo estraesse da un giunco il midollo, e pensasse: ‘Questo è il giunco, questo è il midollo; altro è il giunco, altro il midollo; pure dal giunco è stato estratto il midollo’: così come se un uomo estraesse una spada dal fodero, e pensasse: ‘Questa è la spada, questo il fodero; altro è la spada, altro il fodero; pure dal fodero è stata estratta la spada: o così come se un uomo togliesse un serpe da un canestro, e pensasse: ‘Questo è il serpe, questo il canestro; altro è il serpe, altro il canestro; pure dal canestro è stato cavato il serpe’: così anche i discepoli da questo corpo producono un altro corpo, formale, mentale, completo in ogni parte, ipersensibile. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi godono in varia guisa di magico potere: come essendo unico divenire multiplo, e divenuto multiplo ritornare unico; apparire e sparire; passare attraverso muri, valli e rupi come per l’aria; immergersi nella terra ed emergere come nell’acqua; camminare sull’acqua come sulla terra; per l’aria procedere come un uccello alato; sentire e toccare con mano questa luna e questo sole, così potenti; dominare col corpo perfino i mondi di Brahmâ. Così come un abile vasaio o garzone di vasaio qualunque oggetto desiderasse fare potrebbe eseguirlo con della creta ben preparata; o come un abile artigiano o garzone dell’avorio qualunque oggetto desiderasse fare potrebbe ricavarlo da una zanna ben preparata; o così come un abile orefice o garzone di orefice qualunque oggetto desiderasse fare potrebbe eseguirlo con oro ben preparato: proprio così accade ai miei discepoli. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi, con l’udito celeste, purificato, sovrumano, sentono le due specie di suoni, i celesti e i terreni, i lontani e i vicini. Così come un forte trombettiere con poca pena può suonare ai quattro venti, così appunto accade ai miei discepoli di sentire. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi, avendo col cuore intuito il cuore degli altri esseri, delle altre persone, riconoscono come tali il cuore bramoso, il cuore astioso, il cuore errante, il cuore raccolto, il cuore grandioso, il cuore superiore, il cuore quieto, il cuore redento e i loro contrari. Così come se una donna o un uomo, giovane, fresco, piacente, osservando l’immagine del suo volto in uno specchio o in una pura e tersa superficie d’acqua, ne riconoscerebbe i nei se ve ne fossero, o la mancanza di nei se non ve ne fossero: così appunto i miei discepoli, avendo col cuore intuito il cuore degli altri, ne riconoscerebbero il tipo di cuore. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi si ricordano di molte diverse anteriori forme d’esistenza, come di una vita, di due, di tre, di cinque, di dieci, di cinquanta, di cento, di mille, di centomila vite, poi delle epoche durante diverse formazioni, trasformazioni, formazioni e trasformazioni di mondi: ‘Là ero io con tale nome, tale famiglia, tale stato, tale ufficio, tale piacere e dolore provando, così uscendo di vita; di là trapassato, entrai altrove di nuovo in esistenza; di là trapassato, eccomi qui rinato’. Così si ricordano di molte diverse anteriori forme di esistenza, con le loro caratteristiche, le loro circostanze. Così come se un uomo andasse dal suo villaggio ad un altro, e da questo poi ad un altro villaggio, e da questo egli poi ritornasse al suo villaggio, e ricordasse nei dettagli tutti i particolari dei suoi spostamenti: così appunto i miei discepoli si ricordano di molte diverse anteriori forme d’esistenza. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi, con l’occhio celeste, rischiarato, sovrumano, vedono gli esseri sparire e riapparire, volgari e nobili, belli e brutti, felici ed infelici, riconoscono come gli esseri sempre secondo le azioni riappaiono: ‘Questi signori esseri invero si conducono male in opere, in parole, in pensieri; biasimano ciò che è santo, stimano ciò che è perverso, fanno ciò che è perverso: con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, essi vanno giù in perdizione, all’inferno. Quei signori esseri però si conducono bene in opere, in parole, in pensieri; non biasimano ciò che è santo, stimano ciò che è retto: con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, essi ascendono per buona via, in mondo celeste’. Così come se vi fossero due edifici con porte, ed un uomo di buona vista, situato nel mezzo, vedesse gli uomini entrare e uscire di casa, andare e venire: così appunto i miei discepoli, con l’occhio celeste, vedono gli esseri sparire e riapparire, volgari e nobili, belli e brutti, felici ed infelici, riconoscono come gli esseri sempre secondo le azioni riappaiono. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Ed inoltre ancora ai discepoli da me viene indicata la via procedendo per la quale essi, avendo esaurito la mania, ancora in questa vita realizzano e raggiungono la redenzione dell’animo senza mania, redenzione di sapienza. Così come se un uomo di buona vista stesse sulla sponda di un lago di valle alpina, d’acqua chiara, trasparente, pura, e vedesse le conchiglie e le chiocciole, la ghiaia e la sabbia, e le schiere di pesci, come guizzano e stanno, e ne fosse consapevole: così appunto i miei discepoli sanno d’aver raggiunto la redenzione dell’animo senza mania, redenzione di sapienza. Così dunque i miei discepoli raggiungono il termine estremo della più elevata cognizione.
Questa, Udâyî, è dunque la quinta cosa per la quale i discepoli mi apprezzano, stimano, onorano, venerano e fondano in me la loro fiducia. Queste dunque sono le cinque cose.”
Così disse il Sublime. Contento Sakuludâyî il pellegrino approvò il suo discorso.
Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Testo: Majjhima Nikaya