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MN 56: Upâli Sutta – Upâli

Questo ho sentito. Una volta il Sublime dimorava presso Nâlandâ, nel bosco di manghi di Pâvâriko. In quel tempo si tratteneva lì anche lo Svincolato Nâthaputto con una grande schiera di svincolati. Dîghatapassî, un libero da vincoli, andò a Nâlandâ per l’elemosina; tornato indietro prese il pasto e poi si recò nel bosco dove si trovava il Sublime. Scambiò con lui i rispettosi convenevoli d’uso e gli si fermò accanto. Il Sublime lo invitò a sedersi, ed egli, preso [per rispetto] un sedile più basso, si sedette accanto. E il Sublime gli chiese: “Quante specie di atti, Tapassî, lo svincolato Nâthaputto ritiene possibili per commettere una cattiva azione?”

“Non sta, amico Gotamo, a Nâthaputto, di designare un atto semplicemente come azione: egli designa un’azione semplicemente come tratto.” “Quante specie di tratti lo Svincolato indica dunque come possibili per commettere una cattiva azione?”

“Tre specie di tratti, amico Gotamo: ossia tratti in opere, in parole e in pensieri. E una cosa sono i tratti in opere, un’altra i tratti in parole, e un’altra ancora i tratti in pensieri”

“Ma quale di questi tre tratti egli lo indica come peggiore per commettere cattiva azione: i tratti in opere, quelli in parole o quelli in pensieri?”

“Lo svincolato indica i tratti in opere come i peggiori per commettere cattiva azione.”

Per tre volte il Sublime chiese conferma di ciò, e ogni volta Tapassî confermò che i peggiori erano i tratti in opere. E ora Dîghatapassî si rivolse al Sublime e chiese: “Tu però, amico Gotamo, quanti tratti indichi possibili per commettere cattiva azione?”

“Non sta al Compiuto designare un atto semplicemente come tratto: un atto lo designo semplicemente come azione.”

“E quante specie di azioni possono far commettere cattiva azione?”

“Tre specie di azioni: in opere, in parole e in pensieri.”

“E qual è la peggiore per commettere cattiva azione?”

“Le azioni in pensieri io indico come le peggiori.”

Per tre volte Dîghatapassî chiese conferma di ciò, e ogni volta il Sublime confermò che le azioni in pensieri erano le peggiori. Poi Dîghatapassî si alzò e si recò da Nâthaputto.

Nel frattempo Nâthaputto sedeva in mezzo ad una grande comitiva di gente di casa che gli era scioccamente devota; tra essi Upâli. Nâthaputto chiese a Dîghatapassî da dove stava arrivando, e, sentito che aveva avuto un colloquio con l’asceta Gotamo, si fece raccontare tutto, parola per parola.

Lo Svincolato allora disse a Dîghatapassî: “Bene, Tapassî, bene. Hai risposto all’asceta Gotamo come un abile discepolo che comprende a fondo la dottrina del maestro. Che vale in verità un miserabile tratto di pensiero in paragone del così importante tratto d’opera? E’ di gran lunga peggiore un tratto d’opera per commettere cattiva azione, piuttosto di un tratto di parola o di pensiero.”

A queste parole Upâli, il padre di famiglia, disse a Nâthaputto: “E’ bravo, Signore, Tapassî il quale ha ben risposto all’asceta Gotamo. Orsù, Signore, anch’io voglio andare ad affrontarlo. Se l’asceta Gotamo mi risponde come ha fatto con Tapassî, allora, così come si può rovesciare un villoso ariete sollevandolo per il vello, così pure io lo rovescerò col discorso; o così come il robusto garzone di un distillatore d’acquavite può gettare in un profondo pozzo il filtro e girarlo, tirarlo e voltarlo, così pure tratterò l ‘asceta Gotamo col discorso; o così come un gagliardo purificatore d’acquavite può impugnare il manico, agitare e scuotere il distillatoio, così pure io lo scuoterò col discorso; o così come un elefante sessantenne si diverte a farsi la doccia in un profondo bacino con piante di loto, così mi divertirò io con l’asceta Gotamo. Orsù, anch’io voglio andare a colloquio con l’asceta Gotamo.”

“Va’ tu, padre di famiglia, e supera l’asceta Gotamo con la parola come ha fatto Dîghatapassî lo svincolato!”

A queste parole di Nâthaputto, replicò Dîghatapassî: “Non mi piace, Signore, che Upâli affronti a parole l’asceta Gotamo, perché egli è abile, conosce seducente astuzia con cui seduce i discepoli di altri asceti.”

“Non è possibile che Upâli divenga seguace di Gotamo; è ben possibile che accada il contrario. Va’, padre di famiglia, sii tu a superare Gotamo con la parola!”

Dîghatapassî per tre volte ripeté la sua obiezione, e per tre volte Nâthaputto non gli diede retta e incoraggiò Upâli a sfidare a parole l’asceta Gotamo.

“Sì, Signore!” rispose Upâli, e si recò là dove si trovava il Sublime. Lo salutò rispettosamente, si sedette accanto e chiese se lo svincolato Dîghatapassî era stato lì e di cosa avevano parlato. Il Sublime disse di sì e riferì quanto era stato detto. Così informato, Upâli replicò al Sublime:

“Tapassî è stato un bravo discepolo ed ha correttamente compreso ed esposto la dottrina del maestro.”

“Se tu, padre di famiglia, ti vuoi attenere nel discorso alla verità, tra noi può aver luogo un colloquio.”

“Alla verità, Signore, mi atterrò nel discorso: possa tra noi aver luogo un colloquio!”

“Che pensi tu dunque: ecco uno svincolato che è sofferente, gravemente malato, e rifiuta l’acqua fresca [del fiume] e beve solo acqua calda [di pozzo, vietata perché contiene un maggior numero di piccoli esseri viventi]; e non ottenendo acqua fresca, muore. Secondo quanto dice lo Svincolato, dove riappare costui?”

“Egli riappare dove vi sono gli dèi che si chiamano ‘pensierosi’ perché egli, certo, è morto mentre era dedito a pensieri.”

“Padre di famiglia, rifletti bene e poi rispondi: perché c’è contraddizione in quello che dici. Eppure hai promesso di attenerti alla verità, per ottenere il colloquio.”

“Anche se il Signore dice così, è sempre di gran lunga peggiore il tratto d’opera per commettere cattiva azione, e non tratto di parola o di pensiero.”

“Che pensi tu ora: ecco uno svincolato, quadruplamente frenato da ferma disciplina, che si proibisce e si vieta ogni fonte; e, mentre va e viene, calpesta a morte molti piccoli esseri. Che conseguenza ne ha?”

“Ciò che accade senza intenzione, Signore, lo Svincolato dice non essere gran colpa.”

“E se accade con intenzione?”

“Allora è grande colpa.”

“E l’intenzione, Nâthaputto l’indica come cosa?”

“Come tratto di pensiero, Signore!”

“Padre di famiglia, rifletti bene e poi rispondi: perché c’è contraddizione in quello che dici. (*) Eppure hai promesso di attenerti alla verità, per ottenere il colloquio.”

“Anche se il Signore dice così, è sempre di gran lunga peggiore il tratto d’opera per commettere cattiva azione, e non tratto di parola o di pensiero.”

“Che pensi ora: questa Nâlandâ, fiorente e prospera, è popolata da molti uomini?”

“Certo, Signore!”

“Se arrivasse uno con la spada sguainata in mano e dicesse: ‘Ciò che è vivente qui in Nâlandâ io lo ridurrò in un istante in una sola poltiglia di carne’. Cosa pensi: potrebbe egli fare ciò che dice?”

“Non dico dieci, ma neppure cinquanta uomini potrebbero in un istante ridurre in poltiglia di carne tutti i viventi della città; come potrebbe farlo un solo uomo?”

“E se arrivasse un asceta o un sacerdote magicamente dotato, possente di spirito, e dicesse così: ‘Con un solo pensiero di collera io ridurrò Nâlandâ in cenere’. Potrebbe ciò accadere?”

“Non dico dieci, ma persino cinquanta Nâlandâ potrebbe ridurre in cenere un tale asceta o sacerdote: che varrebbe dunque una sola miserabile Nâlandâ?”

“Padre di famiglia, rifletti bene e poi rispondi: perché c’è contraddizione in quello che dici. Eppure hai promesso di attenerti alla verità, per ottenere il colloquio.”

“Anche se il Signore dice così, è sempre di gran lunga peggiore il tratto d’opera per commettere cattiva azione, e non tratto di parola o di pensiero.”

“Dimmi, padre di famiglia, hai sentito dire che la selva Dandaka, la selva Mejjha, la selva Kâlinga, la selva Mâtanga è divenuta impenetrabile?”

“Certo, Signore!”

“E sai perché ciò è accaduto?”

“Ho sentito dire che è per i pensieri d’ira dei Vati che ciò è accaduto.”

“Padre di famiglia, rifletti bene e poi rispondi: perché c’è contraddizione in quello che dici. Eppure hai promesso di attenerti alla verità, per ottenere il colloquio.”

“Già col primo paragone il Sublime mi ha fatto contento, ma io insistevo perché volevo sentire ancora ricche questioni e spiegazioni; pensavo che così potrei rispondere al Sublime. Benissimo, Signore, benissimo! Come se si raddrizzasse ciò che è rovesciato, o si scoprisse ciò che è coperto, o s’indicasse la via a chi s’è perso, o si portasse luce nelle tenebre: ‘Chi ha occhi vedrà le cose’: così appunto il Sublime ha illuminato da molti lati la dottrina. E così io prendo rifugio nel Sublime, nella Dottrina e nell’Ordine dei mendicanti: come fedele seguace voglia il Sublime considerarmi da oggi e per la vita fedele.” “Riflettici convenientemente, padre di famiglia: è bene che ci sia riflessione in gente come voi.”

“Con ciò che hai appena detto, Signore, io sono ancora più contento e lieto. Perché quando gli altri asceti mi acquisirono come loro seguace, essi vollero esibirmi come vessillo per tutta Nâlandâ: Upâli si è convertito al nostro seguito!’. Ma il Sublime non l’ha fatto ed io prendo per la seconda volta rifugio nel Sublime, nella Dottrina e nell’Ordine dei mendicanti.”

“Per lungo tempo la tua porta è stata ospitalmente aperta agli svincolati: così che tu vorrai ricordarti benignamente di loro che vengono a te per l’elemosina.”

“Anche questo, Signore, mi rende più lieto. Ho sentito dire: ‘L’asceta Gotamo parla così: A me e ai miei discepoli bisogna dare dono, non ad altri. Solo così se ne ha alta ricompensa.’ Ma ora il Signore smentisce questa calunnia. Noi daremo agio al tempo. E io prendo per la terza volta rifugio nel Sublime, nella Dottrina e nell’Ordine dei mendicanti.”

Quindi ora il Sublime approfondì il colloquio con Upâli: parlò del dono, della virtù, del cielo, rese palese la miseria, la molestia ed il travaglio delle brame e l’eccellenza della rinunzia. Quando osservò che Upâli era divenuto disposto, duttile, libero, sollevato, sereno nel cuore, allora gli espose quella dottrina che è propria degli Svegliati: il dolore, l’origine, l’annientamento, la via.

Così come un abito pulito e senza macchie, può prendere perfettamente il colore, così pure Upâli, mentre ancora sedeva là, sorse il rischiarato, purificato occhio della verità: ogni cosa che sorge, tramonta. E Upâli, quand’ebbe visto, compreso, riconosciuto e indagato la verità, sfuggito al dubbio, senza esitazione, non fidando in alcun altro, in sperimentata fiducia nell’Ordine del Maestro, si rivolse così al Sublime:

“Orsù dunque, adesso, Signore, vogliamo andare: più d’un dovere ci aspetta, più di un obbligo.”

“Come ora, padre di famiglia, ti sembra bene.” Ed Upâli, rallegrato ed appagato, tornò a casa e disse al portiere:

“Da oggi in poi la mia porta è chiusa agli svincolati ed alle svincolate: essa è aperta ai discepoli del Sublime ed ai suoi seguaci. Se viene qualche svincolato, avvertilo; puoi fargli solo l’elemosina!”

Ora Dîghatapassî, lo svincolato, apprese della conversione di Upâli e andò a riferirlo a Nâthaputto che non volle crederlo sebbene Tapassî glielo avesse confermato tre volte. Per controllare, Dîghatapassî andò alla casa di Upâli e fu fermato dal portiere che gli ripeté quanto il padrone gli aveva detto di dire. Come svincolato non poteva entrare, ma se aveva bisogno d’ elemosina, gli sarebbe stata portata lì. Dîghatapassî rispose che non aveva bisogno d’elemosina e ritornò a riferire a Nâthaputto. Per tre volte raccontò l’accaduto e per tre volte Nâthaputto non volle credergli, e, con un grande seguito di svincolati, si recò alla casa di Upâli. Fermato anche lui dal portiere, gli disse: “Vai da Upâli e annunziagli: ‘Lo Svincolato Nâthaputto sta con un gran seguito di seguaci fuori dalla porta e vorrebbe vederti'”

Così avvertito, Upâli, disse di preparare le sedie nel vestibolo di mezzo, e, quando furono pronte, andò nel vestibolo, prese posto nel sedile più alto e più distinto, e mandò il portiere a dire a Nâthaputto che, se gli aggradava, poteva entrare. Entrò Nâthaputto col suo seguito, ma mentre Upâli, prima, gli andava incontro, gli spolverava e gli offriva il primo ed il miglior seggio, ora sedeva egli stesso su quel sedile e disse: “Vi sono, signore, posti per sedere: se vuoi, siediti.” Nâthaputto, così interpellato, gli rispose: “Sei matto, padre di famiglia, sei scemo! Sei andato, come volevi, a sfidare l’asceta Gotamo e sei tornato con una possente disfatta della tua arte oratoria. Così come se uno, andando a strappare coglioni (sic!), ritornasse coi coglioni strappati; o andato a strappare occhi, tornasse con gli occhi strappati: così è capitato a te. Ora tu sei stato sedotto dall’asceta Gotamo con seducente astuzia.”

“Letificante, signore, beatificante è questa seducente astuzia. Se le mie care genti e famiglie si lasciassero tentare da tale seducente astuzia, allora essa riuscirebbe loro a lungo di bene e di salvezza. Se tutti i nobili, se tutto il mondo con i suoi dèi, i suoi cattivi e buoni spiriti, con le sue schiere di penitenti e religiosi, dèi e uomini, si lasciasse tentare da tale seducente astuzia, allora essa riuscirebbe a tutti loro, a lungo, di bene e di salvezza. E voglio farti un paragone perché anche mediante paragoni a più d’un uomo intelligente diviene chiaro il senso d’un discorso. C’era una volta, signore, un brâhmano, che era vecchio e canuto, ed aveva per moglie una giovane brâhmana, incinta, vicina al parto. E questa disse al marito: ‘Va’ al mercato, compra un giovane scimmiotto e portalo a casa per farne un compagno di giochi del mio bambino.’ Il brâhmano rispose: ‘Aspetta, cara donna, fintanto che avrai partorito; se partorirai un bambino, allora farò quello che vuoi; ma se partorirai una bambina ti porterò una giovane scimmia che farà da compagna di giochi alla bambina.’ Ma la moglie insistette tre volte, e il brâhmano, che amava molto la moglie, andò al mercato a comprare lo scimmiotto. Ora la moglie disse al brâhmano: ‘Vai con lo scimmiotto da Rattapâni e digli di tingerlo di giallo e di sfregarlo, strofinarlo e lisciarlo sui due lati.’ E il brâhmano, che amava molto la moglie, andò dal tintore che però obbiettò: ‘Questo giovane scimmiotto prende bene il colore, ma non si fa strofinare e lisciare.’ Or così appunto anche il discorso dello stolto svincolato prende bene il colore, per stolti, non per savi, ma non si fa preparare, non si fa levigare. E il brâhmano andò un’altra volta dal tintore con una nuova pezza di panno e Rattapâni gli confermò che quel panno prendeva il colore, si faceva strofinare e lisciare. Or così appunto il discorso del Sublime, del santo Perfetto Svegliato, prende colore, per savi, non per stolti, e si fa preparare e levigare.”

“Il re, padre di famiglia, e la corte sa di te: ‘Upâli è un seguace dello Svincolato Nâthaputto’; per seguace di chi dobbiamo ritenerti adesso?”

Così interrogato, Upâli si alzò dal suo seggio, denudò una spalla, s’inchinò riverentemente nella direzione dove il Sublime dimorava, e rispose: “Sono seguace del Savio, che nessuna mania abbaglia, nessun fastidio vince e nessuna vittoria tenta, nessun male tormenta, nessuna emozione commuove, al quale matura virtù e retta mente consiglia, Sublime sopra ogni mondo e senza macchia: di lui sono seguace. Dell’Audace, che non ha esitazione, guida sicura, che amorevole come nessun altro insegna la verità. Del Vero, che unico esiste, e pensa immensurabili profondi pensieri, che ben ci consiglia ed aiuta ed imperturbabile si attiene alla retta regola, e, Sublime, è senza vincoli. Del Grande, che estraneo vive, da ogni legame svincolato, libero, non più schiavo di servitù alcuna, e senza intenzione, senza attaccamento, Sublime riposa rivolto in sé. Del Vate augusto, che ci è di giovamento, santamente compiuto, triplamente rischiarato, acuto, perché sa la parola, calmo, perché vede il senso, Sublime, benigno come il re degli dèi. Del Valente, che su se stesso vigila, costante nel passo, pronto all’annuncio, che in sé guarda ed intorno a sé guarda, a nessuno assoggettato, da nessuno disassoggettato, Sublime di cuore possente, impassibile. Del Principe, che esercita contemplazione, senza impedimenti segregato, liberamente rapito, distaccato senza più provar timore, dell’esistenza scaricato, fino all’ultimo fine, Sublime e salvato salvatore. Del Santo, che riccamente, potentemente sa, e non ha più brama, perfetto qui, qui benvenuto, a nessun altro simile o eguale, Sublime, lungi scorge, finemente intende. Dello Svegliato, che nessuna sete arde, nessun fumo adombra, né la nebbia bagna; dello Spirito che onora il sacrificio, che come nessun altro maestosamente s’innalza, Sublime, famoso, ad altezza di gigante.”

“Quando dunque, padre di famiglia, hai raccolto queste lodi dell’asceta Gotamo?”

” Come se vi fosse un mucchio di diversi fiori, ed un abile giardiniere o garzone di giardiniere li legasse in variegata ghirlanda, così appunto spetta a Lui, al Sublime, molteplice lode, più che centuplice lode: e chi non loderà uno che merita lode?”

Ma allo Svincolato Nâthaputto, che non poteva sopportare più a lungo la lode del Sublime, sgorgò allora caldo sangue dalla bocca.

Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.

Testo: Majjhima Nikaya