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MN 39: Mahâ-assapura Sutta – Il paragone del legno

Questo ho sentito. Una volta il Sublime soggiornava nel Bengala, presso una città bengala di nome Assapuram. Là il Sublime si rivolse ai monaci:

‘Asceti, essi sono asceti’: così pensano le genti di voi monaci. E voi, se vi si chiede: ‘Che siete voi?’, riconoscete: ‘Noi siamo asceti’. Voi, monaci, che così siete conosciuti e così vi riconoscete, avete anche da esercitare dei doveri e dire: ‘Ciò che spetta agli asceti ed ai santi, questo lo abbiamo accettato e lo compiremo. E questo appellativo che ci viene dato, dev’essere vero e il nostro riconoscimento effettivo. E per l’elemosina di veste, cibo, tetto e medicina, i donatori devono presso noi ottenere alta ricompensa, alto merito. Il nostro ascetismo quindi non deve rimanere vano, ma raggiungere scopo e fine’.

Ma che cosa spetta agli asceti ed ai santi? Voi monaci dovete esercitarvi ad essere verecondi e umili. Può forse venirvi il pensiero che essendo verecondi e umili, ciò sia sufficiente e basti: ‘Abbiamo raggiunto il fine dell’ascetismo, non abbiamo altro da fare’; e di ciò potreste già appagarvi.

Vi avverto, monaci, vi avverto: voi che mirate al fine dell’ascetismo, possa esso non sfuggirvi, poiché vi è molto altro da fare.

Cosa bisogna fare? Ecco come dovete bene esercitarvi: ‘Sincero sia il nostro agire, aperto ed onesto, non segreto ed occulto; e per questo sincero agire noi non ci insuperbiremo, né disprezzeremo gli altri’.

E cos’altro c’è da fare? Sincero sia il nostro discorso, aperto ed onesto, non segreto ed occulto; e di ciò non ci insuperbiremo, né disprezzeremo gli altri.

E cos’altro? Sincero sia il nostro pensiero, aperto ed onesto, non segreto ed occulto; e di ciò non ci insuperbiremo, né disprezzeremo gli altri.

E cos’altro? Sincera sia la nostra vita, aperta ed onesta, non segreta ed occulta; e di ciò non ci insuperbiremo, né disprezzeremo gli altri.

E cos’altro? Vigiliamo le porte dei sensi. Vigiliamo la vista, l’udito, l’ olfatto, il gusto, il tatto e il pensiero. Se vediamo una forma, se udiamo un suono, se percepiamo un odore, se percepiamo un sapore, se percepiamo un contatto e se riconosciamo col pensiero una cosa; non dobbiamo concepire inclinazione, né interesse. Siccome brama ed avversione, perniciosi e dannosi pensieri ben presto sopraffanno colui che non vigila, occupiamoci alacri di questo controllo, vigiliamo su tutti i sensi.

E cos’altro? Così dovete esercitarvi: ‘Siamo misurati nel mangiare, consideriamo profondamente ogni boccone, destinato non a ristoro e diletto, non ad ornamento e fregio, ma solo a sostentare questo corpo, per evitare danno, per poter condurre una vita santa. Così smorzerò l’anteriore sensazione e non ne farò sorgere una nuova, e ne avrò abbastanza per un benessere senza macchia’. E cos’altro?

Così dovete esercitarvi: ‘Vogliamo dedicarci alla vigilanza.

Di giorno, camminando e sedendo; nelle prime ore della notte, camminando e sedendo; tergeremo l’animo da cose che lo turbano. Nelle ore di mezzo della notte ci stenderemo come il leone sul fianco destro, un piede sull’altro, con la mente raccolta, pensando al tempo del levarsi. Nelle ultime ore della notte ci leveremo di nuovo e, camminando e sedendo, tergeremo l’animo da cose che lo turbano’.

E cos’altro? Così dovete esercitavi: ‘Di chiara coscienza noi ci vogliamo armare: chiaro-coscienti nel venire e nell’andare, nel guardare e nel distogliere lo sguardo, nell’inchinarsi e nell’alzarsi, nel portare l’abito e la ciotola dell’elemosina, nel mangiare e nel bere, nel masticare e nel gustare, nel liberare intestino e vescica, nel camminare e nello stare a sedere, nell’addormentarsi e nello svegliarsi, nel parlare e nel tacere’.

E cos’altro? Ecco, monaci, il monaco cerca un luogo tranquillo, appartato, un bosco, il piede d’un albero, una grotta nelle rupi, una caverna di montagna, un cimitero, il folto d’una selva, un giaciglio di strame nell’aperta pianura. Dopo il pasto, quando è tornato dal giro d’elemosina, egli siede con le gambe incrociate, il corpo eretto, e cura il sapere. Egli ha smesso la brama mondana e se ne sta con animo senza brama, terge il suo cuore dalla brama. Egli ha smesso l’avversione, dimora con animo senza avversione, pieno di amore e compassione per tutti gli esseri viventi, terge il suo cuore dall’avversione. Egli ha smesso l’accidiosa pigrizia, è libero da essa; amante della luce, savio, chiaro-cosciente, terge il suo cuore dall’accidiosa pigrizia. Egli ha smesso superbia e fastidio, ne è libero; con animo intimamente pacato, egli terge il suo cuore da superbia e fastidio.

Egli ha smesso il tentennare, è sfuggito all’incertezza; non dubita di ciò che è salutare, terge il suo cuore dal dubbio.

Come se un uomo, angustiato da debiti, s’impegnasse in affari; e questi avessero esito prospero, così che egli potesse estinguere il suo antico carico di debiti e gli restasse perfino un avanzo per mantenere una donna; allora egli si rallegrerebbe e ne sarebbe lieto. Come se un uomo fosse infermo, sofferente, afflitto da grave malattia, non sopportasse alcun alimento, non avesse alcuna forza in corpo, ma, trascorso del tempo, il morbo si rimuovesse da lui, il nutrimento gli facesse bene, il corpo acquistasse di nuovo forza; allora egli se ne rallegrerebbe e ne sarebbe lieto. Come se un uomo languisse nelle carceri, ma, dopo un certo tempo, egli venisse liberato, salvo e sicuro, e non soffrisse alcuna perdita nel suo avere; allora egli se ne rallegrerebbe e ne sarebbe lieto. Come se un uomo fosse servo, non padrone di sé, dipendente da altri, non potesse andare dove vuole, ma, trascorso del tempo, egli fosse liberato da questa schiavitù, divenisse padrone di sé, indipendente, libero, potesse andare dove vuole; allora egli si rallegrerebbe e ne sarebbe lieto. Come se un uomo ricco, facoltoso, viaggiasse per una [perigliosa] deserta e lunga via di campagna, ma, dopo un certo tempo, uscisse fuori da questo deserto senza averci rimesso nulla; allora egli si rallegrerebbe e ne sarebbe lieto.

Ora così anche il monaco considera come carico di debiti, come malattia, come carcere, come schiavitù, come deserta e lunga via di campagna, quei cinque impedimenti esistenti in lui, ma egli considera come l’estinzione dei debiti, come la salute, come la liberazione dal carcere, come l’essere libero, come il luogo sicuro, quei cinque impedimenti da lui distrutti.

Egli ha distrutto i cinque impedimenti, ha imparato a conoscere le scorie dell’animo come paralizzanti; ben lungi da brame, da cose non salutari, egli raggiunge, in senziente, pensante, nata da pace beata serenità, il grado della prima contemplazione. Egli compenetra e imbeve, riempie e satura di beata serenità questo corpo, così che nessuna minima parte di esso rimane insaturata di essa.

Come un esperto barbiere, o un suo garzone, mette polvere di sapone in un bacile di metallo, la impregna d’acqua, la mescola e la strofina, così che la sua schiuma sia completamente inumidita, saturata dentro e fuori di umidità e niente goccioli giù: così pure il monaco compenetra e imbeve, riempie e satura questo corpo di pace nata da beata serenità, così che nessuna minima parte di esso rimane insaturata.

E inoltre: dopo il compimento del sentire e pensare, il monaco raggiunge l’interna calma serena, l’unità dell’animo, il grado della seconda contemplazione, libero dal sentire e pensare, nato dal raccoglimento.

Questo corpo egli compenetra e imbeve, riempie e satura di beata serenità nata dal raccoglimento così che nessuna parte del suo corpo ne sia priva.

Così come un lago con sorgente sotterranea, in cui non si versi da nessuna parte alcun ruscello, in cui non si scarichi nessuna nuvola, nel quale solo la fresca sorgente del fondo sgorghi e completamente compenetri, imbeva, riempia e saturi questo lago, così che nessuna parte ne sia priva; così fa un monaco con la beata serenità nata dal raccoglimento.

E inoltre: in serena pace dimora il monaco equanime, savio, chiaro-cosciente, ed egli prova nel corpo quella felicità di cui i santi dicono: ‘L’equanime savio vive felice’; così egli raggiunge il grado della terza contemplazione. Questo corpo egli compenetra e imbeve, riempie e satura di serenità al di là della beatitudine.

Così come in un lago con piante di loto, alcuni fiori, celesti, bianchi o rosa, sorgono nell’acqua, si sviluppano in essa, rimangono sotto la superficie, si alimentano dal fondo, e i loro fiori e le radici sono saturi d’acqua fresca; così il monaco imbeve di serenità non beata ogni parte del corpo.

E inoltre, dopo il rigetto di gioia e dolore, dopo l’annientamento della letizia e della tristezza anteriore, il monaco raggiunge la non triste, non lieta, equanime, savia, perfetta purezza, il grado della quarta contemplazione. Egli si siede e copre il corpo con animo purificato, rischiarato, così che non la minima parte del suo corpo rimane scoperta.

Così come se vi fosse un uomo seduto, avvolto dal capo alle piante dei piedi in un bianco mantello così che non la minima parte del corpo rimanesse scoperta; così un monaco siede col corpo coperto con animo purificato, rischiarato, in modo che nessuna parte del corpo rimane scoperta da esso.

Con tale animo, saldo, puro, terso, schietto… egli dirige l’animo alla memore cognizione di anteriori forme di esistenza e ricorda: una vita, dieci, cento, mille, centomila vite; poi delle epoche durante parecchie formazioni, trasformazioni, formazioni e trasformazioni di mondi. ‘Là ero io, avevo quel nome, appartenevo a quella famiglia, quello era il mio stato, quella la mia attività, tale bene e male provai, così fu la fine della mia vita; di là trapassato entrai altrove di nuovo in esistenza; e così via ‘. Così egli si ricorda di molte diverse anteriori forme do esistenza, ognuna con i propri contrassegni, ognuna con le specifiche relazioni.

Come se un uomo andasse dal suo luogo ad un altro luogo, e da questo ad un altro luogo, e da questo tornasse di nuovo al suo proprio luogo; e allora gli venisse il ricordo dei luoghi dov’era stato: così il monaco ricorda molte diverse anteriori forme d’esistenza.

Con tale animo, saldo, puro, terso, schietto… egli dirige l’animo alla conoscenza dell’apparire e sparire degli esseri. Con l’occhio celeste, rischiarato, sopraterreno egli vede gli esseri sparire e riapparire, volgari e nobili, belli e brutti, felici ed infelici, egli riconosce come gli esseri sempre secondo le azioni riappaiono. ‘Questi cari esseri non retti in azioni, in parole, in pensieri, biasimano ciò che è salutare, stimano e fanno ciò che è dannoso; con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, essi pervengono giù, su cattivi sentieri, alle perdizione, in modo infernale.

Questi altri cari esseri però sono retti in azioni, in parole, in pensieri, non biasimano ciò che è salutare, stimano e fanno ciò che è retto; con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, essi pervengono, su buoni sentieri, in un mondo celeste’.

Come se vi fossero due case con due porte, e un uomo di buona vista, stando nel mezzo, osservasse come gli uomini vi entrano ed escono, vengono e vanno; proprio così il monaco vede con occhio celeste, rischiarato, sopraterreno come gli esseri sempre secondo le azioni riappaiono.

Con tale animo, saldo, puro, terso, schietto… egli dirige l’animo alla conoscenza dell’estinguersi della mania. Egli comprende conforme a verità: ‘Questo è il dolore; questa è l’origine del dolore; questo è l’annientamento del dolore; questa è la via che mena all’annientamento del dolore. Egli comprende conforme a verità: ‘Questa è la mania; questa è l’origine della mania; questa è l’estinzione della mania; questa è la via che mena all’estinzione della mania’. Così riconoscendo e vedendo, il suo animo viene redento dalla mania del desiderio, dalla mania dell’esistenza, dalla mania dell’errore. ‘Nel redento è la redenzione’ questa cognizione sorge. Egli allora comprende: ‘Esausta è la vita, compiuta la santità, operata l’opera non esiste più questo mondo’.

Come se sulla sponda di un lago alpino, di acqua chiara, trasparente, pura, stesse un uomo di buona vista e guardasse conchiglie e chiocciole sulla ghiaia e la sabbia, ed i pesci che guizzano e stanno, e se ne rendesse conto: così anche appunto il monaco vedrebbe conforme a verità il dolore, la sua origine, il suo annientamento e la via che conduce al suo annientamento. Egli capirebbe la mania, la sua origine, la sua estinzione e la via che conduce alla sua estinzione.

Un tale monaco viene chiamato “Asceta”, “Santo”, “Puro”, “Conoscitore”, “Libero”, “Superbo”, “Sovrano”. Ma come un monaco diviene tutto ciò? Egli s’è mondato delle cose dannose, non salutari, insozzanti, seminanti resistenza, orrende, covanti dolore, rinnovanti vita, vecchiaia e morte. » così che il monaco merita tutti quegli appellativi.”

Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i monaci delle sue parole.

Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.

Testo: Majjhima Nikaya