Una volta soggiornava il Sublime nella Selva del Vincitore, il parco di Anathapindiko, e parlo’ ai monaci cosi’:
Voglio mostrarvi come ci si difenda da ogni asava; all’esperto io annunzio l’estinzione degli asava, non all’inesperto, non all’ignaro. Per conoscere come estinguere gli asava occorre riconoscere leggera attenzione e profonda attenzione. Leggera attenzione fa germogliare nuovi asava e rinforza gli antichi; profonda attenzione, o monaci, non fa sorgere nuovi asava e distrugge gli antichi.
Gli asava devono essere superati: sapendo; difendendosi; curandosi; pazientando; fuggendo; combattendo; operando.
Quale asava sarà’ superato sapendo? Supponiamo che vi sia un uomo comune, che non ha conosciuto niente, senza intendimento per ciò’ che e’ santo, estraneo ed inaccessibile alla dottrina, a ciò’ che e’ nobile, alla dottrina dei nobili, e che non riconosce ciò’ che merita attenzione e non riconosce ciò’ che non merita attenzione. Senza conoscenza delle cose degne e di quelle indegne, egli fa attenzione all’indegno e non al degno.
Cos’è l’indegno che egli reputa degno? Quello per la cui stima germoglia nuova smania di desiderio, di esistenza, di errore, e l’antica si rinforza.
E cos’è il degno che egli non reputa degno? Quello per la cui stima non può’ sorgere nuova smania di desiderio, di esistenza, di errore e l’antica e’ distrutta. Cosi’, mentre reputa degne cose indegne e indegne cose degne, nuovi asava sorgono in lui e gli antichi si rinforzano.
E con leggera attenzione egli pensa cosi’: sono mai esistito nelle epoche passate? O non sono mai esistito? Che cosa sono stato o non sono stato nelle epoche passate? E in che modo sono divenuto quel che allora sono stato? Esisterò’ o non esisterò’ nelle epoche future? E in che modo? Anche il presente lo riempie di dubbi: Esisto o non esisto? Che cosa e come sono, io? Da dove sono venuto e dove andrò’?
E con tali pensieri leggeri egli giunge ad una delle sei opinioni, diviene in lui ferma persuasione: io ho un’anima; io non ho un’anima; animato prevedo animazione; animato prevedo disanimazione; senz’anima prevedo animazione; questo me stesso si troverà’ qua e la’, a godere la mercede delle buone e delle cattive opere; e questo me stesso e’ permanente, persistente, eterno, immutabile, rimarrà’ quindi a se’ eternamente eguale.
Questo si chiama, o monaci, vico delle opinioni, caverna delle opinioni, gola delle opinioni, spina delle opinioni, roveto delle opinioni, rete delle opinioni. Impigliatosi nella rete delle opinioni, o monaci, l’inesperto figlio della terra non si libera dal nascere, dall’invecchiare e morire, da bisogno, miserie e pene, da strazio e disperazione, non si libera, io dico, dal dolore.
Ma l’esperto, santo discepolo, che accede alla dottrina, riconosce ciò’ che merita attenzione e riconosce ciò’ che non merita attenzione, stima ciò’ che e’ degno e non stima l’indegno, perciò’ in lui non sorgono nuovi asava e gli antichi si estinguono.
Questo e’ il dolore, pensa egli profondamente; questa e’ l’origine del dolore; questo e’ l’annientamento del dolore; questa e’ la via che conduce all’annientamento del dolore. E con tale profondo pensiero gli si sciolgono i tre irreggimenti: la fede nella perduranza personale, la dubbiosa incertezza e l’ascesi come scopo a se stessa.
Quale asava sarà’ superato difendendosi?
Ecco, o monaci, un monaco si munisce di riflessione quale arma ed efficace difesa della vista, perché’ se egli lasciasse inerme la sua vista, allora scenderebbe su di lui turbante, dannosa smania; ma la vista munita di difesa tiene lontana da lui la turbante, dannosa smania. Alla stessa stregua, egli si munisce di riflessione quale arma di difesa dell’udito, dell’olfatto, del gusto, del tatto, del pensiero.
Quale asava sarà’ superato curandosi?
Ecco, o monaci, un monaco ha cura dell’abito a ragion veduta, solo per ripararsi dal freddo, dal caldo, dal vento e dalla tempesta, da zanzare e vespe e fastidiosi animali striscianti, solo per coprire le sue pudende. A ragion veduta egli ha cura del cibo elemosinato, non per godimento o diletto, non per essere florido e bello, ma solo per conservare e sostentare questo corpo, per scansare danni, per poter menare santa vita: “
Cosi’ io estinguerò’ la sensazione di prima e non ne faro’ sorgere una nuova, e ne avro’ abbastanza per immacolato benessere”.
A ragion veduta egli ha cura del giaciglio, solo per ripararsi dal freddo, dal caldo, dal vento e dalla tempesta, da zanzare e vespe e fastidiosi animali striscianti, solo per evitare pericoli, per poter godere di tranquillità’.
A ragion veduta egli ha cura delle medicine nel caso di una malattia, solo per sedare vive, dolorose sensazioni, per raggiungere il vero scopo: indipendenza. Se egli fosse trascurato potrebbe essere colpito da turbante, dannosa smania.
Ma quale asava, o monaci, e’ quello che deve essere superato pazientando?
Ecco, o monaci, un monaco sopporta a ragion veduta freddo e caldo, fame e sete, vento e tempesta, zanzare e vespe e fastidiosi animali striscianti; ed ai maligni, malevoli discorsi, alle corporali sensazioni di dolore che lo colpiscono, violenti, taglienti, pungenti, sgradevoli, moleste, pericolose di vita, egli pazientando non si cura. Perché’ se egli divenisse impaziente, o monaci, allora scenderebbe su di lui turbante, dannosa smania: perciò’ egli rimane paziente e sfugge alla turbante, smaniosa smania.
Ma quale asava, o monaci, e’ quello che deve essere superato fuggendo?
Ecco, o monaci, un monaco fugge a ragion veduta un elefante infuriato, un cavallo infuriato, un cane infuriato, egli fugge i serpenti, evita il suolo disboscato, gli spinosi sterpeti, le pozze e i fossi, i pantani e le paludi. Luoghi che non sono adatti alla dimora, posti che non sono adatti al cammino, amici che non sono adatti al consorzio e che ad esperti fratelli dell’Ordine non sarebbero graditi: tali luoghi, tali posti, tali amici egli fugge a ragion veduta, e cosi’ sfugge alla turbante, dannosa smania.
Ma quale asava, o monaci, e’ quello che deve essere superato combattendo?
Ecco, o monaci, un monaco a ragion veduta non da’ campo a pensieri di brama, di avversione, di furore che siano sorti in lui, li rinnega, li scaccia, li estirpa, li soffoca in germe. Ma se egli cedesse, allora scenderebbe su di lui turbante, dannosa smania: perciò’ egli li combatte e ne rimane libero.
Ma qual è, o monaci, l’asava che deve essere superato operando?
Ecco, o monaci, un monaco opera a ragion veduta il risveglio del sapere, del raccoglimento, della forza, della serenità’, della calma, dell’approfondimento, dell’equanimità’. Senza operare soggiacerebbe a turbante, dannosa smania, ma se opera nessuna turbante, dannosa smania lo raggiunge.
Se ora, o monaci, un monaco ha superato gli asava sapendo, difendendosi, curandosi, pazientando, fuggendo, combattendo, operando, allora lo si chiama monaco che ha reciso la sete di vivere, ha infranto i vincoli, e con la completa conquista degli asava ha messo fine al dolore.
Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Testo: Majjhima Nikaya