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MN 119: Kâyagatâsati Sutta – Meditazione sul corpo

Questo ho sentito. Una volta il Sublime dimorava presso Sâvatthî, nella selva del Vincitore, nel parco di Anâthapindiko. Tra molti monaci, dopo aver preso il cibo elemosinato, essendosi riuniti in consesso nella sala delle adunanze, sorse questa discussione: “È mirabile, fratelli, come da Lui, dal Sublime, è stata proclamata di gran frutto la meditazione sul corpo ben esercitata!”

E la discussione non era ancora terminata, allorché il Sublime, verso sera, terminata la meditazione, venne alla sala delle adunanze, si sedette al posto preparato, e chiese: “Per cosa vi siete riuniti e di cosa stavate discutendo?”

“Stavamo discutendo dei vantaggi della meditazione sul corpo ben esercitata, quando il Sublime è sopraggiunto.”

“E come è esercitata per essere di gran frutto? Ecco, un monaco, recatosi nella foresta o al piede d’un albero o in un luogo deserto, si siede con le gambe incrociate, il corpo diritto, e si dedica alla consapevole meditazione. Meditatamente inspira ed espira. Sa se inspira o espira lungamente, brevemente, sentendo tutto il corpo, calmando la combinazione del corpo. Così si esercita, e in lui svaniscono le concezioni legate alla casa e, con lo svanire di queste, l’intimo cuore si rinsalda, si unisce, si raccoglie.

E inoltre il monaco sa se cammina, se sta, se siede, se giace; e, comunque il suo corpo è disposto, ne è cosciente. Così si esercita, e in lui svaniscono le concezioni legate alla casa e, con lo svanire di queste, l’intimo cuore si rinsalda, si unisce, si raccoglie. E inoltre ancora egli è chiaro cosciente nell’andare e nel venire, nel guardare e non guardare, nel piegarsi e nel rialzarsi, nel portare l’abito e la scodella dell’Ordine, nel mangiare, nel bere, nel masticare, nel sorbire, nel liberare l’intestino e la vescica, nell’addormentarsi, nel destarsi, nel parlare e nel tacere. Così si esercita, e in lui svaniscono le concezioni legate alla casa e, con lo svanire di queste, l’intimo cuore si rinsalda, si ;unisce, si raccoglie.

E inoltre ancora egli considera questo corpo, dalle piante dei piedi fino alla sommità dei capelli del capo, chiuso dalla pelle, pieno di varie impurità: tendini, ossa, midollo, reni, cuore, fegato, diaframma, milza, polmoni, stomaco, intestino, escrementi, bile, linfa, pus, sangue, sudore, siero, lacrime, grasso, saliva, muco, sinovia, urina. Come se vi fosse una bisaccia piena di varie granaglie: riso montano, riso di pianura, fave, fagioli, sesamo, riso brillato, e un uomo competente la esaminasse distinguendo le granaglie contenute; così appunto egli ha da considerare il corpo. Così si esercita, e in lui svaniscono le concezioni legate alla casa e, con lo svanire di queste, l’intimo cuore si rinsalda, si unisce, si raccoglie.

E inoltre ancora egli considera questo corpo, ritto o steso, secondo gli elementi: ‘Vi sono in questo corpo gli elementi terra, acqua, fuoco, aria’. Così come farebbe un esperto macellaio o il suo garzone, avendo ucciso una vacca ed avendola tagliata a pezzi, la porta al mercato: proprio così il monaco deve osservare il corpo. Così si esercita, e in lui svaniscono le concezioni legate alla casa e, con lo svanire di queste, l’intimo cuore si rinsalda, si unisce, si raccoglie. E inoltre ancora così come se vedesse un cadavere deposto al cimitero, uno o più giorni dopo la morte, gonfio, annerito, putrefatto, egli conclude: ‘Anche questo corpo è lo stesso, così diviene, non sfugge a ciò’. Così si esercita, e in lui svaniscono le concezioni legate alla casa e, con lo svanire di queste, l’intimo cuore si rinsalda, si unisce, si raccoglie. E inoltre ancora così come se vedesse un cadavere deposto al cimitero, straziato da cornacchie, corvi ed avvoltoi, divorato da cani e sciacalli, roso da varie specie di vermi, egli conclude: ‘Anche questo corpo è lo stesso, così diviene, non sfugge a ciò’. E inoltre ancora così come se vedesse un cadavere deposto al cimitero, ridotto a un cumulo di ossa, con carne e sangue, tenute da tendini; poi un cumulo d’ossa senza carne, tinta di sangue, tenute da tendini; poi un cumulo d’ossa senza più carne né sangue, tenute da tendini; e poi ossa senza più legamenti, sparse in giro: qua e là le ossa delle mani, quelle dei piedi, delle gambe, del torace, del bacino, della spina dorsale, e il cranio; così egli conclude: ‘Anche questo corpo è lo stesso, così diviene, non sfugge a ciò’. E inoltre ancora così come se vedesse le ossa imbiancate come conchiglie; le ossa imputridite e polverizzate dopo le piogge d’un anno; così egli conclude: ‘Anche questo corpo è lo stesso, così diviene, non sfugge a ciò’. Così si esercita, e in lui svaniscono le concezioni legate alla casa e, con lo svanire di queste, l’intimo cuore si rinsalda, si unisce, si raccoglie.

E inoltre ancora egli, ben lungi da brame, lungi da cose non salutari, in senziente, pensante, nata dal distacco beata serenità, raggiunge il grado della prima contemplazione. Egli infonde e soffonde, riempie e compenetra questo corpo di beata serenità nata dal distacco, sì che niente della sostanza del suo corpo rimane insaturato di beata serenità. Così come un barbiere o un suo garzone, in un bacile di bronzo aspergendo d’acqua il sapone profumato, l’intride, mestando e rimestando, sì che la massa di schiuma è completamente saturata di sapone odoroso e non sgocciola; ugualmente fa un monaco sì che niente della sostanza del suo corpo rimane insaturato di beata serenità. Così si esercita, e in lui svaniscono le concezioni legate alla casa e, con lo svanire di queste, l’intimo cuore si rinsalda, si unisce, si raccoglie.

E inoltre ancora, dopo compimento del sentire e pensare il monaco raggiunge l’interna calma, l’unità dell’animo, la libera di sentire e pensare beata serenità nata dal raccoglimento, la seconda contemplazione. Così come un lago con sorgente sotterranea, in cui da nessuna parte sboccasse un corso d’acqua, né mai dal cielo si versasse un rovescio di pioggia, in cui solo la fonte sotterranea portatrice d’acqua fresca, sgorgando dal fondo, riempisse e saturasse d’acqua fresca quel lago; così pure il monaco riempie e satura questo corpo di beata serenità, sì che niente della sostanza del suo corpo rimane insaturata di beata serenità nata dal raccoglimento. Così si ;esercita, e in lui svaniscono le concezioni legate alla casa e, con lo svanire di queste, l’intimo cuore si rinsalda, si unisce, si raccoglie.

E inoltre ancora, il monaco in serena pace dimora equanime, savio, chiaro cosciente, e prova nel corpo la felicità di cui i santi dicono: ‘L’equanime savio vive felice’; così raggiunge il grado della terza contemplazione. Così come in un lago con fiori di loto di vari colori, alcuni di essi, nati, cresciuti e non sporgenti dall’acqua, si nutrono immersi, e le loro cime e ;le loro radici sono infuse, soffuse e compenetrate d’acqua fresca, sì che niente della loro sostanza sia insaturato d’acqua fresca; così il monaco infonde e soffonde, riempie e compenetra questo corpo di non più beatificata serenità in modo che niente del suo corpo rimanga insaturato di serenità non più beatificata. Così si esercita, e in lui svaniscono le concezioni legate alla casa e, con lo svanire di queste, l’intimo cuore si rinsalda, si unisce, si raccoglie.

E inoltre ancora, il monaco, dopo il rigetto di gioia e dolore, dopo l’annientamento di letizia e tristezza anteriore, raggiunge la non triste né lieta, equanime, saggia, perfetta purezza, il grado della quarta contemplazione. Così come se un uomo si sedesse, avvolgendosi in una bianca veste sino alla testa, sì che niente di lui rimane scoperto; così pure un monaco siede, avvolgendo il corpo con l’animo purificato, immacolato, sì che niente della sostanza del suo corpo rimane scoperto. Così si esercita, e in lui svaniscono le concezioni legate alla casa e, con lo svanire di queste, l’intimo cuore si rinsalda, si unisce, si raccoglie.

Da chiunque la meditazione del corpo sia così esercitata e seguita, da lui sono anche intuite tutte le cose salutari che portano alla conoscenza; così come da chiunque il gran mare sia compreso nello spirito, da lui sono intuiti tutti i fiumi che vanno al mare. Da chiunque la meditazione del corpo non sia così esercitata e seguita; in lui trova accesso e penetra la morte. Se un uomo gettasse una pesante palla di pietra su una massa di creta umida, che pensate, monaci: quella palla penetrerebbe nella massa di creta umida?”

“Sì, Signore!”

“Se vi fosse una scheggia di legno secco, e venisse un uomo recante un legno per accendere, ‘Accenderò i fuoco, produrrò la fiamma’: ci riuscirebbe?”

“Sì, Signore!”

“Se vi fosse un vaso per l’acqua vuoto, che se ne sta inutilizzato sul supporto, e venisse un uomo con un carico d’acqua, non potrebbe quell’uomo riempirlo d’acqua?”

“Sì, Signore!”

“Se uno gettasse un leggero gomitolo di filo contro una tavola di duro legno piallato, il gomitolo penetrerebbe nel legno?”

“No di certo, Signore!”

“Se vi fosse una scheggia di legno bagnato, potrebbe uno strofinandolo con il legno per accendere, produrre fiamma ed accenderla?”

“No di certo, Signore!”

“Se vi fosse un vaso pieno d’acqua fino all’orlo e venisse uno per versarvi altra acqua, ci riuscirebbe?”

“No di certo, Signore!”

“Se vi fosse un vaso pieno d’acqua sino all’orlo e un uomo forte lo piegasse, ne scorrerebbe fuori dell’acqua?”

“Sì, Signore!”

“Così come in questi casi è appunto evidente che chi non esercita la meditazione sul corpo, in lui trova accesso e penetra la morte.

Se su un buon terreno, ad un grande quadrivio, stesse pronto un carro aggiogato con un tiro di puro sangue e fornito di frusta, e vi montasse un esperto auriga, che prendendo con la sinistra le redini, e con la destra la frusta, guidasse dove gli pare; così da chiunque la meditazione sul corpo sia esercitata e seguita, a qualunque cosa realizzabile con la conoscenza egli rivolge l’animo per realizzarne la conoscenza, di ciò egli diviene partecipe nella capacità della meditazione.

Dalla meditazione sul corpo praticata, esercitata fatta abito, resa stabile, ben sperimentata, sono da aspettarsi questi dieci vantaggi: Si è senza passione, la si domina, si vive vincendola. Si è senza timore e terrore, li si domina e vince. Si sopporta con pazienza freddo e caldo, vento e pioggia, mosche e vespe ed altri insetti, discorsi maligni e malevoli, sensazioni corporee dolorose, cocenti, taglienti, pungenti, sgradevoli, spiacevoli, pericolose per la vita. Si raggiungono a piacere, senza difficoltà, le quattro contemplazioni che danno beatitudine in vita. Si acquista in varia guisa magica forza, avendo i corpi in proprio potere fino nei mondi di Brahmâ. Con l’orecchio celeste, purificato, sovrumano, si sentono suoni celesti e terreni, lontani e vicini. Degli altri esseri, delle persone si riconosce il cuore col cuore, secondo le sue diverse qualità. Ci si ricorda di molte diverse anteriori forme d’esistenza, di molte vite fino alle epoche durante molte formazioni e trasformazioni di mondi. Con l’occhio celeste, purificato, sovrumano si vedono gli esseri sparire e riapparire: grandi e piccoli, belli e brutti, felici ed infelici e si riconosce come gli esseri sempre secondo le azioni risorgono. Esaurendo le manie, si può ancora in vita riconoscere, realizzare e raggiungere la redenzione dell’animo senza manie, redenzione di sapienza.”

Questo disse il Sublime. Contenti quei monaci approvarono il suo dire.

Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.

Testo: Majjhima Nikaya