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MN 105: Sunakkhatta Sutta – Sunakkhatto

Questo ho sentito. Una volta il Sublime dimorava presso Vesâlî, nella Grande Selva, nella sala a padiglione. Quella volta da parte di molti monaci era stato detto al Sublime: “Esausta la vita, vissuta la santità, operata l’opera, non esiste più questo mondo!”.

Udì questo fatto il giovane licchavio Sunakkhatto che, recatosi dal Sublime, salutò con riverenza, si sedette accanto, riferì ciò che aveva udito e chiese: “Questi monaci che hanno comunicato ciò al Sublime, lo hanno fatto con sincerità o forse alcuni di essi lo hanno detto solo per presunzione?”

“Alcuni lo hanno comunicato con sincerità, però altri l’hanno fatto per presunzione. Per i primi è proprio così, ma per gli altri il Compiuto pensa: ‘Sia ad essi esposta la dottrina, e certamente alcuni di quei presuntuosi prepareranno una questione e verranno a propormela.’ “

“È proprio tempo che il Sublime esponga la dottrina: i monaci serberanno ciò che avranno sentito!”

“Allora, Sunakkhatto, ascolta con attenzione. Vi sono cinque corde del desiderio: le forme penetranti nella coscienza per la vista, i suoni per l’udito, gli odori per l’odorato, i sapori per il gusto, i contatti per il tatto; tutti desiati, amati, affascinanti, graditi, corrispondenti alle brame, eccitanti. Questa è la ragione per cui qualche individuo tende alla seduzione del mondo. Ora, ad un tale individuo riesce piacevole proprio un discorso su ciò; di ciò egli pensa e vive, con un uomo simile a lui egli si associa e con lui prova diletto. Ma ad un discorso concernente l’imperturbabilità egli non dà ascolto; non rivolge la mente a tale nozione, non si associa con l’uomo che parla di ciò, e con lui non prova diletto. È come se un uomo da lungo assente dal suo villaggio o città, vedesse un compaesano o un concittadino e lo interrogasse sulla situazione, la prosperità e lo stato di quel posto; e quello lo mettesse al corrente di tutte le novità: non ascolterebbe egli volentieri, non starebbe egli con piacere insieme a quell’uomo?”

“Sì, Signore!”

“Lo stesso accade all’individuo che è attratto dalla seduzione del mondo, al quale riesce piacevole proprio un discorso su ciò, si associa ad un uomo simile a lui e con lui prova diletto; ma, ad un discorso sull’imperturbabilità, egli non dà ascolto. Costui dev’essere classificato: Individuo incline alla seduzione del mondo. Può darsi però che qualche individuo sia incline alla imperturbabilità. A costui riesce piacevole un discorso su ciò; di ciò egli pensa e vive, lega con un uomo simile a lui e con lui prova diletto; ma ad un discorso sulla seduzione del mondo non dà ascolto. Così come una foglia ingiallita, staccata dal gambo, non può più rinverdire, così appunto a un individuo incline all’imperturbabilità s’è staccato il legame alla seduzione del mondo. Egli dev’essere conosciuto così: Individuo sciolto dal legame alla seduzione del mondo, incline alla imperturbabilità. Può darsi però che qualche individuo sia incline al regno della non esistenza. Allora, come ho già detto, gli riuscirà piacevole un discorso su ciò, ma ad un discorso sull’imperturbabilità egli non dà ascolto. Come una gran massa di roccia spezzata in due, non si può più ricongiungere, così pure a chi è incline al regno della non esistenza, si sono spezzati i legami dell’imperturbabilità. Egli dev’essere conosciuto così: Individuo sciolto dal legame dell’imperturbabilità, incline al regno della non esistenza. Può darsi però che qualche individuo sia incline al regno della non coscienza né incoscienza e provi interesse solo per quel regno e non dia ascolto ad un discorso sul regno della non esistenza. È come se un uomo, saziatosi di un cibo piacevole, poi lo respingesse: avrebbe egli, sazio, ancora desiderio di mangiare quel cibo?”

“Certo che no, Signore!”

“E perché?”

“Perché quel cibo gli riuscirebbe disgustoso.”

“Egli dev’essere quindi conosciuto così: Individuo sciolto dal legame del regno della non esistenza, incline al regno della non coscienza né incoscienza. Può darsi però che qualche individuo sia incline alla completa estinzione e provi interesse solo per essa; ma non dia ascolto ad un discorso concernente il regno della non coscienza né incoscienza. Come una palma, alla quale fosse recisa la corona, non potrebbe più ricrescere: così appunto in un tale individuo il legame col regno della non coscienza né incoscienza sarebbe reciso alla radice, e fatto simile a ceppo di palma, così che non potrebbe più svilupparsi né riprodursi. Egli dev’essere quindi conosciuto così: Individuo sciolto dal legame del regno della non coscienza né incoscienza, incline alla completa estinzione. Può darsi però che qualche individuo pensi: ‘La sete è la freccia, ha detto l’Asceta, l’ignoranza è il veleno, l’attrazione e repulsione della volontà è lo strazio. Questa freccia della sete è da me estratta, rimosso il veleno dell’ignoranza: io sono quindi incline alla completa estinzione’: e allora presuma di essere un asceta. Ed egli si permettesse ora quelle cose che non sono convenienti per chi è incline alla completa estinzione: si permettesse cioè di vedere con la vista, di udire con l’udito, di odorare con l’odorato, di gustare col gusto, di toccare col tatto e di pensare con la mente ciò che non conviene. A lui la brama struggerebbe il cuore ed egli incorrerebbe nella morte o in mortale dolore.

Così come se un uomo fosse colpito da una freccia avvelenata, e i suoi amici e compagni, parenti e congiunti gli procurassero un medico chirurgo che gli circoncidesse col bisturi la bocca della piaga, specillasse la freccia, la estraesse, rimuovesse il veleno, ma non del tutto e, sapendo che c’è ancora possibilità d’infezione, dicesse: ‘Caro uomo, ho estratto la freccia ed ho estratto, ma non completamente, il veleno. Per te può esservi ancora pericolo. Mangia cibi appropriati ché la ferita non si faccia purulenta. Di tanto in tanto lava la piaga e ungi d’unguento la bocca della piaga, perché, non facendolo, essa si riempirebbe di pus e di sangue. Non esporti al vento e al sole perché se no faresti irritare la ferita con la polvere e la sporcizia.’

Ma egli pensasse: ‘Estratta è la freccia, rimosso il veleno, ma, seppur non interamente, ciò non mi può essere causa di pericolo!’ Ed egli mangiasse proprio cibi non appropriati, e la ferita diventasse purulenta; non lavasse né ungesse di tempo in tempo la piaga, e questa si riempisse di pus e di sangue; si esponesse al vento e al sole, e la piaga si irritasse per la polvere e la sporcizia; non avesse riguardo e cura della ferita: allora la piaga s’ingrandirebbe ed egli incorrerebbe nella morte o in mortale dolore.

Può anche darsi che qualcuno pensi: ‘La sete è la freccia, ha detto l’Asceta; l’ignoranza è il veleno; l’attrazione e repulsione della volontà è lo strazio. Questa freccia della sete è stata estratta, e rimosso il veleno dell’ignoranza: io sono quindi incline alla completa estinzione’. E, presumendo così di essere un asceta, egli allora si permettesse quelle cose che non sono convenienti per chi è incline alla completa estinzione: si permettesse di vedere con la vista, di udire con l’udito, di odorare con l’odorato, di gustare col gusto, di toccare col tatto e di pensare con la mente ciò che non conviene. A lui la brama struggerebbe il cuore ed egli incorrerebbe nella morte o in mortale dolore. Morte, Sunakkhatto, nell’Ordine del Santo si dice quando uno, abbandonando l’ascesi, ritorna al volgo: mortale dolore quando uno commette qualche colpa impura.

Però potrebbe darsi il caso che qualche individuo pensi: ‘La sete è la freccia, ha detto l’Asceta; l’ignoranza è il veleno; l’attrazione e repulsione della volontà è lo strazio. Questa freccia della sete è stata estratta, e rimosso il veleno dell’ignoranza: io sono quindi incline alla completa estinzione’. Ed essendo proprio incline alla completa estinzione, egli non si permettesse quelle cose che non sono convenienti per chi è incline alla completa estinzione. A lui la brama non struggerebbe il cuore: ed egli non incorrerebbe nella morte o in mortale dolore. Se l’uomo colpito dalla freccia avvelenata venisse curato dal chirurgo nel modo che sappiamo, ma avesse questa volta rimosso il veleno senza lasciarne traccia, seguisse con scrupolo le sue raccomandazioni, l’infezione non vi sarebbe, la piaga guarirebbe rapidamente, ed egli, con la ferita risanata e liberata dalle fasce, non incorrerebbe nella morte o in mortale dolore.

Allo stesso modo potrebbe darsi il caso che qualche individuo pensi: ‘La sete è la freccia, ha detto l’Asceta; l’ignoranza è il veleno; l’attrazione e repulsione della volontà è lo strazio. Questa freccia della sete è stata estratta, e rimosso il veleno dell’ignoranza: io sono quindi incline alla completa estinzione’. Ed essendo proprio incline alla completa estinzione, egli non si permettesse quelle cose che non sono convenienti per chi è incline alla completa estinzione. A lui la brama non struggerebbe il cuore: ed egli non incorrerebbe nella morte o in mortale dolore. Questo paragone, Sunakkhatto, è stato fatto da me per spiegarvene il senso, che è questo: la ferita è una designazione delle sei sedi interne dei sensi; il veleno è l’ignoranza; la freccia è la sete; lo specillo è l’esame, il bisturi è la santa sapienza. Il chirurgo è la designazione del Compiuto, del santo, perfetto Svegliato.

Un monaco che fa la guardia alle sei sedi dei sensi, sapendo che l’ attaccamento è radice di dolore, senza più attaccarsi s’è redento nella fine dell’attaccamento: non accadrà che egli faccia riconnettere il corpo all’attaccamento o faccia ripalpitare il cuore.

Come se vi fosse una coppa piena di liquore bello e profumato, ma infuso di veleno, e giungesse un uomo desideroso di vivere, desideroso del piacere, aborrente il dolore, cosa pensi, Sunakkhatto, berrebbe egli questa coppa se sapesse: ‘Se bevo, incorro nella morte o in mortale dolore?’ “

“Certo che no, Signore!”

“Allo stesso modo se un monaco fa la guardia alle sei sedi dei sensi e, sapendo che l’attaccamento è radice di dolore, si è redento da ciò, non accadrà che egli faccia riconnettere il corpo all’attaccamento o faccia ripalpitare il cuore. Se vi fosse un serpente terribilmente velenoso, e giungesse un uomo desideroso di vivere, desideroso del piacere, aborrente il dolore, cosa pensi, Sunakkhatto, lo toccherebbe forse quell’uomo con la mano o col dito, pur sapendo: ‘Morsicato da questo, io incorro nella morte o in mortale dolore?’ “

“Certo che no, Signore!”

“Allo stesso modo se un monaco fa la guardia alle sei sedi dei sensi e, sapendo che l’attaccamento è radice di dolore, si è redento da ciò, non accadrà che egli faccia riconnettere il corpo all’attaccamento o faccia ripalpitare il cuore.”

Questo disse il Sublime. Contento il giovane licchavio Sunakkhatto approvò le sue parole.

Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.

Testo: Majjhima Nikaya