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Theragatha: Cap. 11 — Canti di undici strofe

Theragatha 11.1: Sankicca {vv. 597-607}

I monsoni ti incitano
poiché la solitudine è per coloro che sono assorti nei jhana.

Come il monsone
guida le nuvole nella stagione delle piogge,
così i pensieri legati alla solitudine
mi stimolano.

Un corvo nero
nel costruire il suo nido in un ossario
mi infonde
la consapevolezza –
sul distacco –
del corpo.

Colui che non custodisce gli altri,
e non è custodito dagli altri:
è un monaco
che vive in pace,
privo di passioni sensuali.

Da limpide acque e
grandi massi,
popolate da scimmie e
cervi,
coperte da muschio ed
erbacce:
quelle rupi rocciose
mi ravvivano.

Ho vissuto in terre desolate,
in canyon e caverne,
in dimore isolate
ricche di prede e predatori,
ma mai ho avuto
pensieri ignobili e pieni d’odio come:
“Possano questi esseri
essere distrutti,
massacrati,
divorati dal dolore.”

Il Maestro che ho servito;
il Risvegliato,
il compiuto;
il pesante fardello deposto;
la guida del divenire [cioè la brama] sradicata.
La meta per cui ho lasciato
la casa per l’ascetismo
è stata raggiunta:
la fine
di ogni legame.

Non mi delizia la morte,
non mi delizia la vita.
Attendo la mia ora
come un lavoratore la sua paga.
Non mi delizia la morte,
non mi delizia la vita.
Attendo la mia ora
vigile e con piena presenza mentale.

Traduzione in Inglese dalla versione Pâli di Thanissaro Bhikkhu. Tradotto in italiano da Enzo Alfano.