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Milindapañha: Libro IV – Capitolo V

Le dimore

(Dilemma 41)

1. “Venerabile Nagasena, il Beato disse:

“Nell’amicizia del mondo nasce l’angoscia,
nella vita domestica si alza la polvere della distrazione,
la condizione di liberarsi dalla casa e dai vincoli dell’amicizia,
che, e solo questo, è lo scopo dell’asceta.”

D’altra parte disse anche:

“Perciò lasciate che il saggio,
considerando il proprio bene,
costruisca piacevoli dimore,
ed alloggiarvi uomini istruiti.”

Ora, venerabile Nagasena, se il primo di questi passi è stato realmente detto dal Tathagata, allora il secondo deve essere falso. Ma se il Tathagata realmente disse di far costruire piacevoli dimore, allora la prima affermazione deve essere falsa. Anche questo è un ambiguo dilemma ed ora è posto a voi, e voi lo dovete risolvere.”
2. “Entrambi i passi da voi citati, o re, sono stati detti dal Tathagata. E la prima è una dichiarazione in merito alla natura delle cose, un’affermazione inclusiva, una dichiarazione che non lascia spazio a nulla per essere completata, o da aggiungere altri commenti, su ciò che è conveniente, opportuno e corretto ad un asceta, e sul modo di vivere che un asceta dovrebbe adottare, il snetiero che dovrebbe percorrere, e la pratica che dovrebbe seguire.
Proprio come, o re, un cervo nella foresta, vagando nei boschi, dorme dove vuole, senza casa e senza dimora, così anche l’asceta dovrebbe avere tale opinione:

“Nell’amicizia del mondo è nata l’angoscia,
nella vita familiare si alza la polvere della distrazione.”

3. Ma il Beato disse anche:

“Costruite piacevoli dimore
E fate alloggiare uomini istruiti.”

che è stato detto solo per due questioni. E quali sono queste due? Il dono di una dimore (Wihâra) è stato lodato ed approvato, stimato e gradito da tutti i Buddha. E coloro che hanno fatto tale dono devono essere liberati dalla rinascita, dalla vecchiaia e dalla morte. Questo è il primo dei vantaggi nel dono di una dimora. Ed ancora, se vi è una dimora comune (Wihâra) le monache dell’Ordine avranno un posto per incontrarsi, e coloro che desiderano visitare (i monaci dell’Ordine), troveranno un facile motivo per farlo.

Invece, se non vi fossero dimore per i membri dell’Ordine sarebbe difficile far loro visita. Questo è il secondo dei vantaggi nel dono di una dimora (Wihâra). In riferimento solo a questi due aspetti che il Beato disse:
“Costruite piacevoli dimore
E fate alloggiare uomini istruiti.”

Ciò non vuol dire che i figli del Buddha desiderino una vita domestica.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sulle dimore.]

Moderazione nel cibo

(Dilemma 42)

4. “Venerabile Nagasena, il Beat ha detto: “Non siate negligenti sulle regole da rispettare quando elemosinate il cibo. Controllate ciò che riguarda lo stomaco.”
Ma d’altra parte ha anche detto: “Vi furono parecchi giorni, Udayin, in cui mangiai moltissimo da questa scodella quando era piena fino all’orlo.”
Ora, se la prima regola è vera, allora la seconda dichiarazione deve essere falsa. Ma se la dichiarazione è vera, allora la regola citata deve essere falsa. Anche questo è un ambiguo dilemma, ed ora è posto a voi, e voi lo dovete risolvere.”

5. “Entrambi i passi che avete citato, o re, sono stati detti dal Beato. Ma il primo passo è una dichiarazione che non lascia posto a qualche integrazione o a qualche commento, una dichiarazione su ciò che è vero e reale ed in linea con i fatti, non basata sul falso, una dichiarazione fatta da profeti, saggi, maestri, Arahant, e dai Buddha divenuti saggi solo per se stessi (Pakkeka-Buddha), una dichiarazione fatta dal Sublime, dall’Onnisciente, una dichiarazione fatta anche dal Tathagata, dall’Arahant, dal Supremo Buddha in persona. Colui che non controlla ciò che riguarda lo stomaco, o re, distruggerà creature viventi, prenderà possesso di ciò che non gli appartiene, non sarà casto, mentirà, berrà bevande forti, ucciderà sua madre o suo padre, o un Arahant, creerà uno scisma nell’Ordine, ferirà persino un Tathagata con una malizia premeditata. Non fu forse, o re, quando senza controllare il suo stomaco, che Devadatta cercando di dividere l’Ordine, accumulò un kamma della durata di un kalpa? Fu nel richiamare alla mente tutto questo, o re, e molte altre cose dello stesso genere, che il Beato dichiarò: “Non siate negligenti sulle regole da rispettare quando elemosinate il cibo. Controllate ciò che riguarda lo stomaco.”

6. Colui che controlla ciò che riguarda lo stomaco guadagna una chiara e profonda visione sulle Quattro Verità, realizza i Quattro Frutti della vita ascetica, ottiene la padronanza delle Quattro Discriminazioni, gli Otto Raggiungimenti ed i Sei Modi della Somma Conoscenza, e completa tutto ciò che va a formare la vita di un asceta. Il pulcino di pappagallo, o re, controllando il suo stomaco, non fece tremare il regno celeste dei deva dei Trentatré, ed indusse Sakka, il re dei deva, a servirlo? Fu nel richiamare alla mente tutto questo, o re, e molte altre cose dello stesso genere, che il Beato dichiarò: “Non siate negligenti sulle regole da rispettare quando elemosinate il cibo. Controllate ciò che riguarda lo stomaco.”

7. Ma quando il Beato, o re, disse: “Vi furono parecchi giorni, Udayin, in cui mangiai moltissimo da questa scodella quando era piena fino all’orlo.” – ciò fu detto da colui che aveva portato a termine il suo compito, che aveva compiuto tutto ciò che doveva fare, che aveva realizzato lo scopo prefisso, che aveva superato ogni ostacolo, e fu detto dal Tathagata stesso che parlava della sua persona. Proprio come, o re, è desiderabile che ad un malato, a cui gli è stato somministrato un emetico, o una purga, o un clistere, gli si dia un tonico; allo stesso modo, o re, l’uomo, colmo di influssi impuri, che non ha percepito le Quattro Verità, dovrebbe moderarsi nel cibo. Ma, proprio come, o re, non c’è bisogno di lucidare, strofinare e purificare un diamante di grande splendore, della più pulita acqua e di naturale purezza; allo stesso modo, o re, il Tathagata non ha bisogno di moderarsi nelle azioni che compie, in quanto ha raggiunto la perfezione di un Buddha.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sulla moderazione nel cibo.]

La superiorità di Bakkula sul Buddha

(Dilemma 43)

8. “Venerabile Nagasena, è stato detto dal Beato: “Un Bramano io sono, monaci, dedito all’ascetismo, sempre puro; questo corpo che porto con me è l’ultimo, io sono Guaritore e Medico.”
Ma d’altra parte il Beato ha anche detto: “Il capo, monaci, fra i miei discepoli, riguardo alla salute fisica, è Bakkula.” Ora è risaputo che il Beato parecchie volte si è ammalato. Se, Nagasena, il Tathagata era supremo, allora l’affermazione che fece sulla salute fisica di Bakkula deve essere falsa. Ma se il Ven. Bakkula era realmente il capo fra coloro che erano sani, allora l’affermazione prima citata deve essere falsa. Anche questo è un ambiguo dilemma, ed ora è posto a voi, e voi lo dovete risolvere.”

9. “Entrambe le citazioni che avete ricordato, o re, sono vere. Ma ciò che disse il Beato su Bakkula era riferito a quei discepoli che avevano imparato a memoria e studiato le sacre parole, secondo la tradizione, le quali si riferivano alle caratteristiche possedute a lui stesso.
Perciò vi erano alcuni discepoli del Beato, o re, che praticavano la meditazione camminata, trascorrendo un intero giorno ed un’intera notte a camminare su e giù in meditazione. Ma il Beato era solito meditare giorno e notte, sia praticando la meditazione camminata sia quella seduta. Ma, o re, quei discepoli, esperti di meditazione camminata, lo avevano superato in quel particolare. Poi vi erano alcuni discepoli del Beato, o re, che consumavano un solo pasto al giorno. Il Beato, a volte, consumava anche due o tre pasti. Così quei discepoli, o re, che mangiavano un solo pasto al giorno, lo avevano superato in quel particolare. Allo stesso modo, o re, tante altre cose erano stato dette di altri discepoli. Ma il Beato, o re, li superava tutti in rettitudine, in pratica meditativa, in saggezza, in liberazione ed in tutte quelle qualità che appartengono ad un Buddha. Perciò in riferimento a tutto questo, o re, che egli disse: “Un Bramano io sono, monaci, dedito all’ascetismo, sempre puro; questo corpo che porto con me è l’ultimo, io sono Guaritore e Medico.”

10. Ora una persona, o re, può essere di buona nascita, un’altra di buona salute, un’altra molto saggia, un’altra ben istruita, un’altra coraggiosa, un’altra capace, ma un re, superandole tutte, è riconosciuto supremo. Allo stesso modo, o re, il Beato è il sommo, il più rispettato, il migliore di tutti gli esseri. Per quanto riguarda la buona salute di Bakkula, questa era dovuta ad un’aspirazione (che aveva formato in una nascita precedente). Perciò, o re, quando Anoma-dassi, il Beato, fu colpito da una malattia, dovuta all’aria nello stomaco, ed ancora quando Vipassi, il Beato, con 60.000 suoi discepoli, fu colpito da una malattia del sangue, egli, essendo in quei tempi un asceta, aveva curato quel malanno con diverse medicine, e su quell’evento che disse: “Il capo, monaci, fra i miei discepoli, riguardo alla salute fisica, è Bakkula.”

11. Ma il Beato, o re, sia che soffra o non soffra di qualche malattia, sia che osservi o non osservi voti speciali – non esiste un essere pari al Beato. Perciò, o re, è stato detto dal Beato, il signore dei deva, nell’eccelso Samyutta Nikaya: “Qualunque essere, monaci, vi possa esistere – senza piedi, bipede, quadrupede, con un corpo, senza un corpo, con una coscienza, senza una coscienza, né con una coscienza né senza una coscienza – il Tathagata è riconosciuto essere il capo di tutti, l’Arahant, il Supremo Buddha.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sulla superiorità di Bakkula sul Buddha.]

L’originalità dell’insegnamento del Buddha

(Dilemma 44)

12. “Venerabile Nagasena, è stato detto dal Beato: “Il Tathagata, il Buddha supremo, è lo scopritore di un sentiero mai conosciuto.”
Ma d’altra parte disse anche: “Ho percepito, monaci, l’antico sentiero, l’antico insegnamento già percorso dai precedenti Buddha.”
Se, Nagasena, il Tathagata fu lo scopritore di un sentiero mai conosciuto, allora deve essere falso che egli avesse percepito l’antico sentiero già percorso dai precedenti Buddha. Mentre se il sentiero che egli ha percepito era un antico sentiero, allora l’affermazione che fosse sconosciuto deve essere falsa. Anche questo è un ambiguo dilemma. Ora è posto a voi e voi lo dovete risolvere.”

13. “Entrambe le citazioni, da voi menzionate, o re, sono vere. Ed entrambe le affermazioni sono corrette. Quando i precedenti Tathagata sono scomparsi, o re, allora, non essendoci rimasto nessun maestro, anche il loro sentiero è scomparso. E fu quel sentiero – sebbene interrotto, crollato, distrutto, ostruito, non più percorribile, quasi dimenticato – che il Tathagata, avendone acquisito completa conoscenza, vide con l’occhio della sua saggezza, già seguito dai precedenti Buddha. Perciò egli disse: “Ho percepito, monaci, l’antico sentiero, l’antico insegnamento già percorso dai precedenti Buddha.”

14. Immaginate, o re, che alla scomparsa di un monarca supremo, la mistica Gemma della Sovranità rimanga nascosta in una grotta sulla vetta di una montagna, e che appaia ad un altro monarca supremo giunto alla sua suprema dignità. Direste, dunque, o re, che la Gemma fu prodotta da lui? Allo stesso modo, o re, il Beato, acquisendone completa conoscenza con l’occhio della saggezza, fece rivivere e rese di nuovo percorribile il Nobile Ottuplice Sentiero nella sua condizione originaria come quando era percorso dai precedenti Tathgata – sebbene quel sentiero, senza alcun maestro, fosse interrotto, crollato, distrutto, ostruito, non più percorribile, quasi dimenticato. Perciò disse: “Il Tathagata, il Buddha supremo, è lo scopritore di un sentiero mai conosciuto.”

15. E’ come quando, o re, una madre espelle dal suo grembo il bambino in lei presente, e si dice che la madre ha dato alla luce un bambino. Allo stesso modo, o re, il Tathagata avendone acquisito completa conoscenza con l’occhio della saggezza, fece rivivere e rese di nuovo percorribile il Nobile Ottuplice Sentiero nella sua condizione originaria come quando era percorso dai precedenti Tathgata – sebbene quel sentiero, senza alcun maestro, fosse interrotto, crollato, distrutto, ostruito, non più percorribile, quasi dimenticato.
E’ come quando qualcuno trova una cosa che era stata persa, e la gente usa l’espressione: “L’ha riportata in vita.” Ed è come quando un uomo spiana un pezzo di giungla e la gente usa l’espressione: “Quella è la sua terra.” Ma quella terra non è stata creata da lui. Poiché ha reso utile quella terra lo dichiarano proprietario della terra. Allo stesso modo, o re, il Tathagata, avendone acquisito completa conoscenza con l’occhio della sua saggezza, riportò alla vita, e rese di nuovo percorribile un sentiero che già esisteva, sebbene fosse interrotto, crollato, distrutto, ostruito, non più percorribile, quasi dimenticato. Perciò egli disse: “Il Tathagata, il Buddha supremo, è lo scopritore di un sentiero mai conosciuto.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sull’originalità dell’insegnamento del Buddha.]

La bontà del Buddha

(Dilemma 45)

16. “Venerabile Nagasena, è stato detto dal Beato: “Già nelle precedenti esistenze, quando ero un uomo, avevo acquisito l’abitudine di non fare alcun male ad esseri viventi.”
Ma d’altra parte disse anche:
“Quando era Lomasa Kassapa, il Rishi, fece uccidere centinaia di creature viventi per celebrare il grande sacrificio la “Bevanda del Trionfo”.
Ora, Nagasena, se è vero ciò che disse il Buddha, che, nelle sue precedenti nascite, come uomo non fece nessun male ad esseri viventi, allora il detto che fece uccidere centinaia di creature viventi, come Lomasa Kassapa, deve essere falso. Anche questo è un ambiguo dilemma. Ora è posto a voi e voi lo dovete risolvere.”

17. “Il Beato, o re, disse che già nelle precedenti nascite, quando era un uomo aveva acquisito l’abitudine di non fare alcun male ad esseri viventi. E Lomasa Kassapa, il Rishi, fece uccidere centinaia di creature viventi per celebrare il grande sacrificio la “Bevanda del Trionfo”. Ma ciò fu fatto quando la sua mente era colma di avidità e non quando era cosciente di ciò che stava facendo.”

“Ci sono queste otto classi di uomini, Nagasena, che uccidono esseri viventi: l’uomo avido per la sua avidità, l’uomo crudele per la sua rabbia, l’uomo tardo per la sua stupidità, l’uomo orgoglioso per il suo orgoglio, l’uomo avaro per la sua avarizia, l’uomo bisognoso per continuare a vivere, lo sciocco per gioco, il re per dare una punizione. Queste, Nagasena, sono le otto classi di uomini che uccidono esseri viventi. Il Bodhisattva, venerabile Nagasena, deve aver agito secondo la sua natura quando fece ciò.”

“No, o re, non fu un atto naturale a lui che il Bodhisattva fece allora. Se il Bodhisattva fosse stato indotto da naturale inclinazione ad offrire il grande sacrificio, non avrebbe pronunciato i versi:

“Non vorrei possedere, Sayha, l’intero mondo
dall’oceano circondato,
con tutti i mari e le colline,
con vergogna.”

Ma sebbene, o re, il Bodhisattva avesse così parlato, tuttavia alla vista della principessa Kandavati (viso di luna), impazzì e perse il controllo per amore. E fu quando, così impazzito, confuso ed agitato, che, con pensieri dubbiosi, dispersi e vaganti, offrì il grande sacrificio la “Bevanda del Trionfo” – e molto sangue fu versato dai colli delle bestie macellate!

Proprio come, o re, un pazzo, quando fuori di senno, cammina su dei carboni ardenti, o afferra una serpe velenosa, o affronta un elefante infuriato, o si butta in grandi acque dove non si vede la più vicina riva, o guazza in luride pozzanghere e zone fangose, o si getta fra le spine o in precipizi, o si nutre di sudiciume, o gira nudo per le strade, o compie altre cose indegne a farsi – allo stesso modo, o re, il Bodhisattva impazzì alla vista della principessa Kandavati, e poi agì come si è detto.

18. Ora una cattiva azione, o re, compiuta da uno fuori di mente, anche in questo mondo non è considerata come una grave colpa, né lo è per il frutto in una vita futura. Immaginate, o re, che un pazzo fosse colpevole di una capitale offesa, quale punizione gli dareste?”

“Quale punizione è dovuta ad un pazzo? Daremo l’ordine di picchiarlo e poi di lasciarlo libero. Questa sarebbe l’unica punizione.”

“Quindi, o re, non vi è punizione per la colpa commessa da un pazzo. Di conseguenza non vi è colpa nell’azione compiuta da un pazzo, essa è perdonabile. Lo stesso, o re, per Lomasa Kassapa, il Rishi, che alla vista della principessa Kandavati impazzì e perse il controllo per amore. E fu quando, così impazzito, confuso ed agitato, che, con pensieri dubbiosi, dispersi e vaganti, offrì il grande sacrificio la “Bevanda del Trionfo” – e molto sangue fu versato dai colli delle bestie macellate! Ma quando ritornò al suo stato naturale, riacquistando il controllo della mente, di nuovo rinunciò al mondo, ed avendo ripreso i cinque poteri della visione profonda, divenne certo di rinascere nel mondo di Brahma.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sulla bontà del Buddha.]

La derisione del Buddha

(Dilemma 46)

19. “Venerabile Nagasena, è stato detto dal Beato del Sei zanne, l’elefante reale:

“Quando ha cercato di ucciderlo, e lo aveva raggiunto con la sua proboscite,
percepì la veste gialla, il simbolo dell’asceta,
allora, sebbene dolorante, il pensiero si impossessò del suo cuore.
Colui che indossa la veste dell’Arahant
deve essere tenuto sacro e in salute dal bene.”

Ma d’altra parte disse anche:
“Quando era Gotipala, il giovane bramano, insultò e maltrattò Kassapa, il Beato, l’Arahant, il supremo Buddha, con parole vili ed offensive, chiamandolo monaco rasato e buono a nulla.”

Ora se, Nagasena, il Bodhisattva, quando era un animale, rispettò la veste gialla, allora l’affermazione che come Gotipala, un bramano, insultò e maltrattò il Beato in quel tempo, deve essere falsa. Ma se come Bramano insultò e maltrattò il Beato, l’affermazione che quando era il Sei zanne aveva rispettato la veste gialla deve essere falsa. Se quando il Bodhisattva era un animale, sebbene soffriva di un dolore atroce, acuto, forte e straziante, rispettò la veste gialla, dal cacciatore indossata, com’è che quando era un uomo, un uomo saggio, nella piena conoscenza, vestito con la stoffa più preziosa, eccellente e delicata di Benares, non riverì, quando lo vide, Kassapa, il Beato, l’Arahant, il supremo Buddha, dotato dei dieci poteri, la guida del mondo, il sommo, il cui splendore emanava da ogni lato, che indossava la veste gialla? Anche questo è un ambiguo dilemma, ed ora è posto a voi, e voi lo dovete risolvere.”

20. “Il verso che avete citato, o re, è stato detto dal Beato. E Kassapa, il Beato, l’Arahant, il supremo Buddha fu maltrattato e vilipeso da Gotipala, il giovane bramano, con parole vili ed offensive, con gli epiteti di monaco rasato e buono a nulla. Ma ciò fu dovuto alla sua nascita e all’ambiente familiare. Perché Gotipala, o re, discendeva da una famiglia di miscredenti, uomini senza fede. Sua madre e suo padre, le sue sorelle ed i suoi fratelli, gli schiavi e le schiave, i servi e i dipendenti al suo servizio nella casa erano adoratori di Brahma, veneratori di Brahma; e nutrendo l’idea che i Bramani fossero i più alti ed i più onorati fra gli uomini, ingiuriavano e detestavano tutti gli altri asceti. Fu per aver ascoltato ciò che dicevano che Gotipala, invitato da Ghatikara il vasaio a visitare il maestro, replicò: “A cosa vi serve visitare quel monaco rasato e buono a nulla?”

21. Proprio come, o re, quando persino un nettare unito ad un veleno diventa acido, proprio come l’acqua più fresca in contatto col fuoco diventa bollente, così fu che quel Gotipala, il giovane bramano, dopo esser nato e cresciuto in una famiglia di miscredenti, uomini senza fede, insultò ed offese il Tathagata secondo suo costume. E proprio come, o re, un potente, ardente e sfavillante fuoco, se, anche all’apice della sua gloria, venisse a contatto con l’acqua si raffredderebbe, con il suo splendore e la sua gloria danneggiati, e diventerebbe cenere, nera come frutti marci. Proprio così, o re, Gotipala, colmo come era di merito e fede, potente come la gloria della sua conoscenza, tuttavia quando rinacque in una famiglia di miscredenti, di uomini privi di fede, divenne come cieco ed insultò e maltrattò il Tathagata. Ma quando si recò da lui e conobbe le virtù dei Buddha da lui possedute, allora divenne come un servo; e dopo aver rinunciato al mondo ed essere entrato nell’Ordine sotto l’insegnamento del Glorioso, acquisì il quintuplice potere della visione profonda e l’ottuplice potere della meditazione beata, e si assicurò la rinascita nel mondo celeste di Brahma.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma su Gotipala.]

La debolezza del Buddha

(Dilemma 47)

22. “Venerabile Nagasena, anche questo è stato detto dal Beato: “La dimora di Ghatikara il vasaio rimase, tutta intera, a cielo aperto per tre mesi e non vi cadde pioggia.”
Ma d’altra parte disse anche: “Pioggia cadde nella capanna di Kassapa il Tathagata.” Come fu, venerabile Nagasena, che la capanna di un Tathagata, i cui meriti hanno radici tanto grandi, si bagnò? Si crede che un Tathagata avesse il potere di prevenire tutto questo. Se, Nagasena, la dimora del vasaio Gathikara era asciutta quando era a cielo aperto, non può essere vero che la capanna del Tathagata fosse bagnata. Ma se così fu, allora deve essere falso che la dimora del vasaio fosse asciutta.”

23. “Entrambe le citazioni che avete menzionato, o re, sono corrette. Il vasaio Ghatikara era un brav’uomo, con un bel carattere, che manteneva la sua vecchia madre ed il suo vecchio padre ormai ciechi. E quando era assente, la gente, senza chiedere il suo permesso, tolse la paglia dalla sua dimora per coprire la capanna del Tathagata. Allora, impassibile e tranquillo quando fu tolta cartella senza nome 2la sua paglia, ma colmo di una grande e ben salda gioia senza pari, sorse una impareggiabile felicità nel suo animo al pensiero: “Possa il Beato, il capo del mondo, avere piena fiducia in me.” E quindi ottenne il merito che recò il suo buon risultato anche in questa vita.

24. E il Tathagata, o re, non fu affatto disturbato da quel momentaneo inconveniente (della pioggia). Proprio come, o re, Sineru, il re delle montagne, non si muove, né si turba dall’assalto delle innumerevoli tempeste; proprio come il possente oceano, la dimora delle grandi acque, non si riempe, né si sente affatto disturbato dall’affluenza degli innumerevoli grandi fiumi; proprio così, o re, è un Tathagata che non si turba per un momentaneo inconveniente.
E la pioggia cadde sulla capanna del Tathagata senza curarsi della considerazione di tutta la gente. Perciò vi sono due circostanze, o re, che impediscono ai Tathagata di fornirsi (con potere creativo) del necessario che hanno bisogno. E quali sono queste due? Uomini e deva, con il fornire il necessario ad un Buddha, in quanto maestro degno di doni, avranno una felice rinascita. E per evitare che altri trovino qualche colpa, col dire: “Cercano il loro sostentamento facendo miracoli.” Se, o re, Sakka avesse tenuto asciutta quella capanna, o lo stesso Brahma, anche allora quell’azione sarebbe stata colpevole, sbagliata e degna di biasimo. Perché la gente avrebbe potuto dire: “Questi Buddha con la loro abilità soggiogano e padroneggiano il mondo.” Questa è la ragione per cui tale azione sarebbe stato meglio non farla. I Tathagata, o re, non chiedono alcun vantaggio, ed è per questo motivo che sono ritenuti puri.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sul vasaio Gathikara.]

Perché Gotama diceva di essere un Bramano

(Dilemma 48)

25. “Venerabile Nagasena, anche questo è stato detto dal Beato: “Un Bramano io sono, monaci, dedito al perfetto ascetismo.”
Ma d’altra parte dichiarò: “Un re io sono, Sela.”
Se, Nagasena, il Beato era un Bramano, allora dichiarò il falso quando disse di essere un re. Ma se, invece, era un re, allora dichiarò il falso quando disse di essere un Bramano. Egli doveva essere o un Khattiya o un Bramano. In quanto non poteva appartenere, nella stessa nascita, a due caste. Anche questo è un ambiguo dilemma, ed ora è posto a voi, e voi lo dovete risolvere.”

26. “Entrambe le citazioni che avete detto, o re, sono vere. Ma vi è una buona ragione per cui il Tathagata sarebbe stato un Bramano e pure re.”
“Vi prego, Nagasena, di dirmi tale ragione.”
“Siccome tutte le qualità nocive, che non producono merito, sono nel Tathagata soppresse, abbandonate, eliminate, disperse, sradicate, distrutte, terminate, scomparse e cessate, allora il Tathagata è chiamato Bramano. Per Bramano, o re, si intende colui che ha superato ogni esitazione, perplessità e dubbio. E siccome il Tathagata ha realizzato tutto questo, egli è chiamato Bramano. Per Bramano, o re, si intende colui che è sfuggito ad ogni tipo e classe di divenire, che è completamente liberato dal male e da ogni impurità, che dipende solo da se stesso. E siccome il Tathagata ha realizzato tutto questo, egli è chiamato Bramano. Per Bramano, o re, si intende colui che coltiva in sé la migliore e più alta delle eccellenti e supreme condizioni della mente. E siccome il Tathagata ha realizzato tutto questo, egli è chiamato Bramano. Per Bramano, o re, si intende colui che continua la linea della tradizione degli antichi insegnamenti su come superare ed insegnare i sacri scritti, su come accettare i doni, su come soggiogare i sensi, su come controllare la propria condotta e portare a termine il compito. E siccome il Tathagata continua la linea della tradizione delle antiche regole accettate dai Gloriosi su tutte queste cose, egli è chiamato un Bramano. Per Bramano, o re, si intende colui che gode la suprema beatitudine della meditazione estatica. E siccome il Tathagata ne gode, egli è chiamato un Bramano. Per Bramano, o re, si intende colui che conosce il corso e la rivoluzione delle nascite in tutte le forme di esistenza. E siccome il Tathagata conosce tutto questo, egli è chiamato un Bramano. L’appellativo “Bramano”, o re, non fu dato al Beato da sua madre, né da suo padre, né da suo fratello, né da sua sorella, né dai suoi amici, né dai suoi parenti, né da qualche maestro spirituale, né dai deva. E’ per ragione della loro liberazione che questo nome è dato ai Buddha, ai Beati. Dal momento in cui, sotto l’Albero del Risveglio, esi avevano sconfitto gli eserciti del Maligno, avevano eliminato in loro tutte le qualità nocive e non produttive di merito, avevano ottenuto la conoscenza dell’Onnisciente, fu dall’aver acquisito tale visione profonda, la comparsa in lui di tale illuminazione, che questa vera designazione fu a loro applicata: il nome di “Bramano”. Questa è la ragione per cui il Tathagata è chiamato un Bramano.”

27. “Allora qual è la ragione per cui il Tathagata è chiamato un re?”

“Per re si intende, o re, colui che governa e guida il mondo, ed il Beato governa in rettitudine i diecimila sistemi di mondi, egli governa l’intero mondo con i suoi esseri umani e divini, con i suoi spiriti maligni e benigni, i suoi maestri, asceti e bramani. Questa è la ragione per cui il Tathagata è chiamato un re. Per re si intende, o re, colui che, elevato su tutte le persone comuni, rallegrando coloro che a lui sono legati e mortificando coloro che si oppongono, solleva in alto il Parasole della Sovranità, di un bianco puro e senza macchie, con il suo manico di solido legno duro e con le sue molte centinaia di stecche – il simbolo della sua potente fama e gloria. Ed il Beato, o re, mortificando l’esercito del Maligno e coloro che credono a false dottrine; riempiendo di gioia le menti di coloro, uomini e deva, devoti alla retta dottrina, solleva in alto sui diecimila sistemi di mondi il Parasole della sua Sovranità, puro e senza macchia nel candore della liberazione, con le sue centinaia di stecche formate dalla saggezza più alta, con il suo solido e forte manico per porre fine ad ogni sofferenza: il simbolo della sua potente fama e gloria. Anche questa è una ragione per cui il Tathagata è chiamato un re. Un re è colui che è lodato da moltitudini di esseri, uomini e deva, che gli rendono visita e sono alla sua presenza. Anche questa è una ragione per cui il Tathagata è chiamato un re. Un re è colui che, quando è compiaciuto da uno zelante servitore, lo rende felice regalandogli, secondo i suoi gusti, un qualsiasi dono da lui scelto. Ed il Beato, o re, quando è compiaciuto di qualcuno che è stato zelante in parola, o in azione, o in pensiero lo rende felice regalandogli, come dono scelto, la suprema liberazione da ogni sofferenza – molto al di là di tutti i doni materiali. Anche questa è una ragione per cui il Tathagata è chiamato un re. Un re è colui che censura, multa o condanna l’uomo che trasgredisce gli ordini reali. Così, o re, l’uomo che, per impudenza o per malcontento, trasgredisce l’ordine del Beato, come formulato nelle regole del suo Ordine, quell’uomo, disprezzato, disonorato e censurato, è espulso dalla dottrina del Glorioso. Anche questa è una ragione per cui il Tathagata è chiamato un re. Un re è colui che, nel proclamare leggi e regole secondo le istruzioni in precedenza stabilite da retti sovrani in tempi antichi, nel seguire la sua regola con rettitudine, diventa amato e caro alla gente, nel mondo desiderato e, per la forza della sua rettitudine, stabilisce la sua dinastia per molto tempo nel suo regno. Ed il Beato, o re, proclamando leggi e regole secondo le istruzioni in precedenza stabilite dai Buddha del passato, ed essendo in questo modo il maestro del mondo – anch’egli è amato e caro a deva ed a uomini, da loro desiderato e, per la forza della sua rettitudine, rende duratura la sua dottrina nel tempo. Anche questa è una ragione per cui il Tathagata è chiamato un re. Molte, o re, sono le ragioni per cui il Tathagata sarebbe Bramano e pure re, tanto che anche il più abile dei monaci a fatica riuscirebbe a contarle tutte insieme in un eone. A che scopo dilungarmi ancora? Accettate ciò che ho detto in breve.”

“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole”

[Qui finisce il dilemma sul Buddha appartenente a due caste.]

I doni al Buddha

(Dilemma 49)

28. “Venerabile Nagasena, è stato detto dal Beato:

“I doni celebrati per i sacri inni
sono doni che non devo accettare.
Tutti coloro che seguono il Dhamma
devono sempre esercitarsi.
Tutti i Buddha si rifiutarono di celebrare per denaro,
così è sempre stata la loro condotta
quando prevalse il Dhamma
in ogni tempo.”

Ma d’altra parte il Beato, quando predicava il Dhamma, o ne parlava, iniziava di solito con il cosiddetto “discorso preliminare”, in cui la generosità era al primo posto e la bontà al secondo. Cosicché quando deva ed uomini ascoltarono questo discorso del Beato, il signore cosmo, prepararono ed offrirono doni ed i discepoli parteciparono alla questua. Ora se, Nagasena, è vero ciò che disse il Beato, che non accettava doni guadagnati con il canto delle sacre parole, allora è falso che il Beato poneva la generosità al primo posto. Ma se, esaltando l’offrire doni, fece rettamente, allora non è vero che non accettava doni guadagnati con la recitazione delle sacre parole. E perchè? Perché se qualcuno, degno di offerte, ostentasse ai laici i buoni risultati per loro nel fare elemosina, costoro, ascoltando quel discorso e provando soddisfazione, continuerebbero a fare sempre elemosina. E quindi, chi gode di quel dono, realmente gode di ciò che è stato guadagnato con la recitazione delle sacre parole. Anche questo è un ambiguo dilemma, ed ora è posto a voi, e voi lo dovete risolvere.”

29. “La stanza che avete citato, o re, è stata detta dal Beato. Tuttavia egli era solito porre la generosità all’inizio di un suo discorso. Ma questa era l’usanza di tutti i Tathagata: preparare i cuori degli ascoltatori con un discorso sul fare elemosina e poi, subito dopo, esortarli alla rettitudine. Ciò è come quando, o re, gli uomini, prima di tutto, danno ai bambini piccole cose con cui giocare, come aratri giocattolo, mazze, mulini giocattolo, pesi fatti con foglie, carri giocattolo, archi e frecce, e poi stabilisce per ognuno di loro il proprio compito. Oppure è come quando un medico fa prima bere dell’olio ai suoi pazienti per quattro o cinque giorni in modo da rinvigorire e placare i loro corpi, e poi somministrare una purga. I sostenitori della fede, o re, i più degni donatori, hanno le loro menti tranquille, duttili e controllate. In tal modo giungono alla riva più lontana dell’oceano della trasmigrazione con l’aiuto della barca dei loro doni, con il sostegno del ponte dei loro doni. Ed il Buddha, con questo metodo di insegnamento, non può essere accusato di “imposizione”.

30. “Venerabile Nagasena, quando dite “imposizione”, cosa sono queste “imposizioni”?

“Ci sono due tipi di imposizioni, o re: fisica e verbale. E vi è un’imposizione fisica errata, ed un’altra che non lo è; vi è un’imposizione verbale errata, ed un’altra che non lo è. Qual è l’imposizione fisica errata? Immaginate, o re, un qualsiasi membro dell’Ordine, durante la questua, che, nello scegliere un posto dove stare, stesse dove non gli è permesso – questa è un’imposizione fisica errata. I veri membri dell’Ordine non accettano nessuna elemosina chiesta in questo modo, e l’individuo che così agisce sarà disprezzato, criticato, non rispettato, biasimato, ignorato, non ben visto nella dottrina dei Nobili; viene considerato come uno che non ha rispettato i propri doveri sociali. Ed ancora, o re, immaginate un qualsiasi membro dell’Ordine che, durante la questua, stesse dove non gli è permesso stare, ed allungasse il collo come un pavone vanitoso, nella speranza: “Così la gente mi vedrà.” – anche questa è un’imposizione fisica errata. I veri monaci non accettano un’elemosina chiesta in questo modo, e colui che così agisce è considerato come prima. Ed ancora, o re, immaginate un qualsiasi membro dell’Ordine che facesse dei segnali con la sua mascella, o con le sue ciglia, o con le dita – anche questa è un’imposizione fisica errata. I veri monaci non accettano un’elemosina chiesta in questo modo, e colui che così agisce è considerato allo stesso modo.

31. E qual è la retta imposizione fisica? Se un monaco, durante la questua, è padrone di se stesso, tranquillo, consapevole delle sue azioni; se sta, ovunque vada, dove gli è permesso; se si ferma dove ci sono persone desiderose di donare, e, dove non vi sono persone non così desiderose, va via – questa è una retta imposizione fisica. Di elemosine così ricevute i veri membri dell’Ordine parteciperanno; e l’individuo che chiede in questo modo, è, nella dottrina dei Nobili, lodato, ben visto, stimato e considerato fra coloro il cui comportamento è senza malizia, il cui modo di vivere è puro. Perciò così è stato detto dal Beato, il signore di tutti i deva:

“Il vero saggio non mendica, perciò gli Arahant disdegnano di mendicare.
Il bene è la loro elemosina, solo così essi mendicano.”

32. Qual è l’imposizione verbale errata? Nel caso in cui, o re, un monaco imponesse il suo desiderio per un numero di cose, necessarie per un membro dell’Ordine – vesti, scodelle, giacigli e medicine – questa è un’imposizione verbale errata. Le cose chieste in questo modo non saranno accettate dai veri membri dell’Ordine (Ariya); e nella dottrina dei Nobili l’individuo che agisce in questo modo è disprezzato, non ben visto, non rispettato, biasimato, ignorato, non considerato, contato come uno che non ha rispettato i propri doveri sociali. Ed ancora, o re, nel caso in cui un monaco, dopo aver ascoltato gli altri, parlasse in questo modo: “Io voglio tale e tale cosa.”, e in conseguenza di tali parole, dopo essere stato ascoltato dagli altri, ricevesse quelle cose – anche questa è un’imposizione verbale errata. I veri membri dell’Ordine non useranno una cosa ottenuta in questo modo, e colui che così agisce è considerato come prima. Ed ancora, o re, nel caso in cui un monaco, dilungandosi nel parlare, facesse intendere alle persone: “In questo modo ed in quest’altro si devono offrire i doni ai monaci.”, e le persone, dopo aver ascoltato le sue parole, gli offrissero ogni cosa prelevata dalle loro riserve – anche questa è un’imposizione verbale errata. I veri membri dell’Ordine non useranno una cosa ottenuta in questo modo, e colui che così agisce è considerato come prima. Perciò quando il Venerabile Sariputta, o re, era malato durante la notte, dopo il tramonto del sole, e dopo essere stato interrogato dal Venerabile Moggallana quale medicina gli avrebbe giovato, ruppe il silenzio – e grazie a quel silenzio interrotto ottenne la medicina – Sariputta allora dicendo a se stesso: “Questa medicina è giunta per aver rotto il silenzio; non lasciatemi infrangere (il rispetto delle regole riguardanti i) mezzi di sussistenza.”, non rifiutò forse quella medicina per non usarla? I veri membri dell’Ordine non useranno una cosa ottenuta in questo modo, e colui che così agisce è considerato come prima.

33. E qual è la retta imposizione verbale? Immaginate, o re, un monaco che, quando vi fosse necessità, accennasse alle famiglie da lui conosciute, o a coloro che lo hanno invitato a trascorrere con loro la stagione delle piogge, di aver bisogno di medicine – questa è una retta imposizione verbale. I veri membri dell’Ordine parteciperanno a cose chieste in questo modo; e l’individuo che così agisce, è, nella dottrina dei Nobili, lodato, ben visto, stimato e considerato fra coloro il cui comportamento è senza malizia, il cui modo di vivere è puro, approvato dai Tathagata, dagli Arahant, dai Supremi Buddha. E le elemosine che il Tathagata, o re, rifiutò di accettare da Kasi-Bharadvaga, il Bramano, che gli fu presentato per metterlo alla prova con un complicato dilemma che avrebbe dovuto sciogliere, con lo scopo di trascinarlo, di indurlo in errore, di fargli riconoscere lo sbaglio. Perciò il Tathagata rifiutò quell’elemosina e non ne prese parte.

34. “Nagasena, era sempre così, quando il Tathagata stava mangiando, che i deva versassero il Nettare della Vita dal regno celeste nel contenuto della sua scodella, o era solo in queste due pietanze: la tenera carne di verro e il riso bollito nel latte?”

“Ogni volta che mangiava, o re, ed in ogni boccone che prendeva – proprio come il cuoco reale prende la salsa e la versa sopra ogni boccone che il re sta mangiando. E così a Veranga, quando il Tathagata stava mangiando i dolci di orzo, i deva inumidirono ognuno con il Nettare della Vita, appena posti vicino a lui. E così il corpo del Tathagata fu pienamente rinfrescato.”

“Davvero fu grande la buona fortuna, Nagasena, di quei deva che sempre erano così zelanti nel prendersi cura del corpo del Tathagta! Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sui modi di vivere del Buddha.]

Il dubbio del Buddha

(Dilemma 50)

35. “Venerabile Nagasena, la vostra gente afferma: “Il Tathagata, gradualmente, attraverso milioni d anni, eone dopo eone, ha condotto la sua onnisciente saggezza alla perfezione per salvare la grande massa delle persone.”
Ma d’altra parte (afferma): “Appena ottenuta l’onniscienza, la sua mente preferì, non proclamare il Dhamma, ma restare in pace.”
Cosicché, Nagasena, proprio come se un arciere, o l’allievo di un arciere, dopo aver praticato l’arte del tiro con l’arco per molti giorni con lo scopo di combattere, si ritirasse nel giorno della grande battaglia – così il Tathagata che, dopo aver per molto tempo gradualmente sviluppato la sua onniscienza per portare in salvo sull’altra sponda (della liberazione) la grande massa delle persone, nel giorno in cui raggiunse quell’onniscienza, si è tirato indietro nel proclamare il Dhamma. Proprio come se un lottatore, esercitatosi nella lotta per molti giorni, si ritirasse nel giorno della gara di lotta, così il Tathagata che, dopo aver per molto tempo gradualmente sviluppato la sua onniscienza per portare in salvo sull’altra sponda (della liberazione) la grande massa delle persone, nel giorno in cui raggiunse quell’onniscienza, si è tirato indietro nel proclamare il Dhamma.

Ora fu per paura, Nagasena, che il Tathagata si ritirò, o fu per incapacità di predicare, o fu per debolezza, o fu perché, dopo tutto, non aveva raggiunto l’onniscienza? Quale fu la ragione? Vi prego, ditemi la ragione per poter rimuovere i miei dubbi. Perché se per così lungo tempo egli aveva perfezionato la sua saggezza per salvare le persone, allora l’affermazione che esitò ad annunciare il Dhamma deve essere falsa. Ma se è vera, allora l’altra affermazione deve essere falsa. Anche questo è un ambiguo dilemma, ed ora è posto a voi – un dilemma profondo, un nodo difficile da sciogliere – e voi lo dovete risolvere.”

36. “Le affermazioni in entrambi i passi da voi citati, o re, sono corrette. Ma la sua mente preferì, non proclamare il Dhamma, bensì essere inattiva, e fu perché egli vide, da una parte, quanto profonda ed astrusa fosse la Dottrina, quanto difficile da comprendere e da capire, quanto difficile da penetrare; e dall’altra, quanto inclini fossero gli esseri alla soddisfazione delle loro brame, quanto fortemente posseduti da false nozioni di Egoismo. E così (vacillò) al pensiero: “A chi insegnerò? E in che modo?” – la sua mente era rivolta ai poteri di penetrazione che gli esseri possedevano.
Proprio come, o re, un abile medico, chiamato presso un paziente affetto da molti mali, potrebbe pensare: “Quale cura, quale farmaco può alleviare la malattia di quest’uomo?” – allo stesso modo, o re, quando il Tathagata richiamò alla mente quanto afflitte fossero le persone da ogni tipo di malattia nata dalla colpa, e quanto profonda ed astrusa fosse la Dottrina, quanto sottile, e quando difficile da afferrare, allora al pensiero: “A chi insegnerò? E in che modo?”, la sua mente preferì più essere inattiva che predicare – la sua mente era rivolta ai poteri di penetrazione che gli esseri possedevano.

Proprio come, o re, un sovrano, di sangue reale, un monarca consacrato, quando richiama alla mente le molte persone i cui guadagni dipendono dal re – le sentinelle e le guardie del corpo, il seguito dei cortigiani, i commercianti, i soldati e i messaggeri reali, i ministri ed i nobili – potrebbe pensare: “Come ed in che modo sarò capace di conciliarli tutti?” – allo stesso modo, o re, quando il Tathagata richiamò alla mente quanto afflitte fossero le persone da ogni tipo di malattia nata dalla colpa, e quanto profonda ed astrusa fosse la Dottrina, quanto sottile, e quando difficile da afferrare, allora al pensiero: “A chi insegnerò? E in che modo?”, la sua mente preferì più essere inattiva che predicare – la sua mente era rivolta ai poteri di penetrazione che gli esseri possedevano.

37. Ed anche questa è una necessità inerente a tutti i Tathagata che proclamarono il Dhamma alla richiesta di Brahma. E qual è la ragione? Tutti gli uomini in quei tempi, asceti e monaci, maestri erranti e bramani, erano devoti di Brahma, adoratori di Brahma, ponevano la loro fede in Brahma. E quindi al pensiero “Quando uno così potente e glorioso, così famoso e rinomato, così sommo e grande si mostrerà incline (al Dhamma), allora l’intero mondo dei deva e degli uomini lo seguirà, lo ascolterà, avrà fede in esso.” – su tale base, o re, i Tathagata predicarono il Dhamma quando esortati da Brahma. Perché, o re, proprio come quando un sovrano o un ministro di stato rende omaggio, o venera, il resto dell’umanità, in base all’omaggio di un personaggio così potente, rende omaggio e venerazione – allo stesso modo, o re, quando Brahma rese omaggio ai Tathagata, così fece l’intero mondo dei deva e degli uomini. Perché il mondo, o re, venera ciò che è venerato. Ecco perché Brahma chiese a tutti i Tathagata di far conoscere la Dottrina, e perché, a tale richiesta, la resero manifesta.”

“Molto bene, Nagasena! Il groviglio è stato sciolto, la vostra spiegazione è stata abilissima. Così è ed io accetto le vostre parole.”

[Qui finisce il dilemma sull’esitazione del Buddha di mostrare la Dottrina.]

Qui finisce il Quinto Capitolo.

Traduzione in Inglese dalla versione Pâli di T. W. Rhys Davids. Tradotto in italiano da Enzo Alfano.

TestoMilindapañha