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MN 112: Chabbisodhana Sutta – Sestupla purificazione

Questo ho sentito. Una volta il Sublime dimorava presso Sâvatthî, nella Selva del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là il Sublime si rivolse ai monaci: “Ecco, monaci, un monaco dichiara di aver realizzato la cognizione: ‘Esausta è la vita, vissuta la santità, operata l’opera, non esiste più questo mondo’. Tale discorso non è da approvare né da disapprovare, bisogna porsi la questione: ‘Quattro regole sono state dal Sublime rettamente indicate: nel visto, proclamazione del visto; nell’udito, proclamazione dell’udito; nel pensato, proclamazione del pensato, e nel conosciuto, proclamazione del conosciuto. Che cognizione però, che discernimento ha l’onorevole in queste quattro regole per distaccare dalle manie il cuore redento?’

Di un monaco che ha esaurito le manie, raggiunto la salvezza ed è redento in perfetta sapienza, la debita risposta è questa: ‘Nel visto, amico, io dimoro non incline, non interessato, con l’animo non limitato; lo stesso è nell’udito, nel pensato e nel conosciuto’.

Il discorso di un tale monaco è da approvare e da accettare, ma c’è da porsi un’ulteriore questione: ‘Cinque tronchi dell’attaccamento sono stati dal Sublime rettamente indicati: il tronco dell’attaccamento alla forma e quelli dell’attaccamento alla sensazione, alla percezione, alla concezione ed alla coscienza. Che cognizione però, che discernimento ha l’onorevole in questi cinque tronchi dell’attaccamento, per distaccare dalle manie il cuore redento?’

Questa è la debita risposta di un tale monaco: ‘Io dunque, amico, riconoscendo come la forma sia impotente, inappagante, sconsolata; scorgendo ciò che nella forma è consistenza d’attaccamento per la risoluzione, inclinazione ed adesione dell’animo: allontanandolo, distruggendolo, abbandonandolo e distaccandomene, comprendo che il mio cuore è redento dalle manie; lo stesso ripeto per la sensazione, la percezione, la concezione e la coscienza’.

Il discorso di tale monaco è da approvare e da accettare, ma c’è da porsi un’ulteriore questione: ‘Sei fattori sono stati dal Sublime rettamente indicati: i fattori terra, acqua, fuoco, aria, spazio e coscienza. Che cognizione però, che discernimento ha l’onorevole in questi sei fattori per distaccare dalle manie il cuore redento?’

Questa è la debita risposta di un tale monaco: ‘Io ho compreso il fattore terra come non facente parte di me stesso, e me stesso come non consistente nel fattore terra; e, ciò che nel fattore terra è consistenza d’attaccamento per la risoluzione, inclinazione ed adesione dell’animo: allontanandolo, distruggendolo, abbandonandolo e distaccandomene, comprendo che il mio cuore è redento dalle manie; lo stesso ripeto per i fattori acqua, fuoco, aria, spazio e coscienza’.

Il discorso di tale monaco è da approvare e da accettare, ma c’è da porsi un’ulteriore questione: ‘Sei sedi dei sensi, interne ed esterne, sono state dallo Svegliato rettamente indicate: la vista e le forme, l’udito e i suoni, l’odorato e gli odori, il gusto e i sapori, il tatto e i contatti, la mente e le cose. Che cognizione però, che discernimento ha l’onorevole in queste sei sedi interne ed esterne, per distaccare dalle manie il cuore redento?’

Questa è la debita risposta di un tale monaco: ‘Ciò che nella vista, nella forma, nella coscienza visiva e nelle cose percepite con essa, – ciò che nell’udito, nel suono, nella coscienza uditiva e nelle cose percepite con essa, – ciò che nell’odorato, nell’odore, nella coscienza olfattiva e nelle cose percepite con essa, – ciò che nel gusto, nel sapore, nella coscienza gustativa e nelle cose percepite con essa, – ciò che nel tatto, nel contatto, nella coscienza tattile e nelle cose percepite con essa, – ciò che nella mente, nelle cose, nella coscienza mentale e nelle cose percepite con essa è voglia, brama, compiacimento, sete, consistenza d’attaccamento per la risoluzione, inclinazione e adesione dell’animo: allontanandolo, distruggendolo, abbandonandolo e distaccandomene, comprendo che il mio cuore è redento.

Il discorso di tale monaco è da approvare e da accettare, ma c’è da porsi un’ulteriore questione: ‘Che cognizione però, che discernimento ha l’onorevole in tutte le impressioni esteriori su questo corpo dotato di coscienza, per estirpare interamente le infatuazioni mentali dell’io e del mio?’ Di un monaco che ha esaurito le manie, raggiunto la salvezza ed è redento in perfetta sapienza, la debita risposta è questa: ‘Prima io ero un uomo di casa, un essere ignorante. Ecco che il Compiuto o un suo discepolo mi espose la dottrina; sentendola, concepii fiducia nel Compiuto; compreso di tale fiducia pensai: ‘Carcere è la casa, letamaio: aria libera la rinunzia. Non si può, restando in casa, vivere punto per punto la santa vita perfettamente purificata e rischiarata: e se io ora, radendo capelli e barba, indossato l’abito fulvo, rinunziassi alla casa per la mendicità? Ed io dunque, dopo un certo tempo, abbandonando una piccola o una grande proprietà, abbandonando una piccola o una grande cerchia di parenti, rinunziai alla casa per la mendicità. Così, divenuto mendicante, ho assunto le regole di vita dei monaci. Mi sono astenuto dall’uccidere: senza mazza e senza spada, sensibile e pietoso, ho nutrito amore e compassione per tutti gli esseri viventi. Mi sono astenuto dal prendere il non dato; ho preso ciò che mi veniva dato, ho atteso che mi fosse dato, senza intenzione furtiva, col cuore purificato. Ho vissuto casto, virtuoso, astenendomi dai comuni rapporti sessuali del volgo. Mi sono astenuto dalla menzogna: veritiero, leale, degno di fede, senza ingannare il mondo. Mi sono astenuto dalla maldicenza: quello che ho sentito qui, non ho raccontato là, e viceversa, per dividere questi o quelli; così, unendo i divisi, rafforzando gli uniti, contento e felice della concordia, ho sempre detto parole che suscitavano concordia. Mi sono astenuto dalle parole offensive: parole innocue, dolci all’orecchio, amorevoli, penetranti al cuore, civili, gradevoli a molti, tali parole ho detto. Mi sono astenuto dalle ciarle: parlando tempestivamente, essenzialmente, sensatamente, conforme alla dottrina e alla disciplina, il mio discorso è stato sempre ricco di contenuto, occasionalmente ornato di paragoni, chiaro e determinato, adeguato all’argomento. Mi sono astenuto dal cogliere piante e frutti. Ho mangiato una volta al giorno, digiunando di notte, astenendomi dal mangiare fuori tempo. Mi sono astenuto da balli, canti, giochi e spettacoli; da fiori, profumi, unguenti, abbellimenti ed ornamenti. Mi sono astenuto da letti alti e grandi. Mi sono astenuto dal ricevere oro ed argento; cereali crudi, carne cruda. Non ho ricevuto donne e fanciulle; servi e serve; capre e pecore; polli e porci; elefanti, buoi e cavalli; case e campi. Mi sono astenuto da messaggi, commissioni, incarichi; da compravendita, da falsi pesi e misure; da frode inganno e simulazione. Mi sono astenuto da zuffe, baruffe, liti, contese, rapine e violenze. Contento dell’abito, che copre il mio corpo, e del cibo elemosinato che sostenta la mia vita, dovunque sia andato, solo con ciò sono andato. Così come un pennuto, dovunque voli, solo col peso delle sue penne vola, così ho fatto anch’io, solo fornito di quello sono andato. Dotato di questa santa regola di virtù, provavo un’intima immacolata gioia. Vedendo ora una forma, non concepivo interesse. Siccome desiderio ed avversione, cose cattive e dannose ben presto sopraffanno chi resta con la vista non vigilata, io sorvegliavo e vigilavo sulla vista. Sentendo un suono, odorando un odore, gustando un sapore, toccando un contatto, percependo con la mente una cosa, io non concepivo interesse né inclinazione. Sorvegliavo e vigilavo sulla mente. Dotato di questo raffrenamento dei sensi, provavo un’intima immacolata gioia. Io ero chiaro cosciente nel venire e nell’andare, nel guardare e non guardare, nel piegarmi e nel distendermi, nel portare l’abito e la scodella dell’Ordine, nel mangiare, nel bere, nel masticare e gustare, nel liberare intestino e vescica, nel camminare, nello stare, nell’addormentarmi, nello svegliarmi, nel parlare e nel tacere. Dotato di questa santa regola di virtù, di questo raffrenamento dei sensi, di questo santo chiaro sapere, cercavo un’appartata sede di riposo: il piede d’un albero nella foresta, una grotta, una caverna, un cimitero, la solitudine della selva, un giaciglio di strame nell’aperta pianura. Dopo il pasto, al ritorno dal giro dell’elemosina, mi sedevo con le gambe incrociate, il busto ritto, sollevato, e curavo la meditazione. Respinta la cupidigia del mondo, l’avversione, l’accidia, la vanità e l’orgoglio, il dubbio, rimanevo con l’animo privo di impedimenti, il cuore purificato dagli impedimenti. Avendo respinto questi cinque impedimenti, conoscendo le debilitanti impurità dell’animo, lungi da cose non salutari, in senziente, pensante, nata da pace beata serenità, raggiungevo il grado della prima contemplazione. Dopo il compimento del sentire e pensare, raggiungevo l’interna calma serena, l’unità dell’animo, la beata serenità nata dal raccoglimento e libera dal sentire e dal pensare, il grado della seconda contemplazione. In serena pace permanevo equanime, saggio, chiaramente cosciente, e provavo nel corpo quella felicità di cui i santi dicono: ‘L’equanime saggio vive felice’; così egli raggiunge il grado della terza contemplazione. Dopo il rigetto delle gioie e dei dolori, dopo l’annientamento della letizia e della tristezza antecedenti, raggiungevo la non triste né lieta, equanime, saggia, perfetta purezza, il grado della quarta contemplazione. Con tale animo, saldo, purificato, terso, schietto, libero da scorie, malleabile, duttile, compatto, incorruttibile, dirigevo l’animo alla conoscenza dell’esaurimento delle manie. Comprendevo conforme a realtà: questo è il dolore. Questa è l’origine del dolore. Questa è la fine del dolore. Questa è la via che conduce alla fine del dolore. Queste sono le manie. Questa è l’origine delle manie. Questa è la fine delle manie. Questa è la via che conduce alla fine delle manie. Così riconoscendo, così vedendo, il mio animo fu redento dalla mania del desiderio, dalla mania dell’esistenza, dalla mania dell’ignoranza. Nel redento è la redenzione: questa cognizione sorse. Esausta è la vita, vissuta la santità, operata l’opera, non esiste più questo mondo: compresi io allora. Tale dunque, amico, è la mia cognizione, tale il discernimento in tutte le impressioni esteriori su questo corpo dotato di coscienza, per estirpare interamente le infatuazioni mentali dell’io e del mio’.

Il discorso di un tale monaco, è ben da approvarsi ed accettarsi. Di lui è da dire: ‘Fortunati siamo noi, ben fortunati, ché vediamo l’onorevole quale vero asceta!’ “

Questo disse il Sublime. Contenti i monaci approvarono il suo dire.

Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.

Testo: Majjhima Nikaya