DN 14: Maha-padana Sutta – I Buddha del passato
[1] 1.1. Così ho sentito. Una volta il Sublime soggiornava a Savatthi, nel giardino di Anathapindika, al boschetto di Jeta, nel villaggio di capanne di Kareri. Fra alcuni monaci riunitisi dopo il pasto, al ritorno dalla questua, seduti nel padiglione di Kareri, nacque una discussione sulle vite precedenti, del tipo: ‘Così era in una vita precedente.’ oppure ‘ Invece era così.’
1.2. Il Sublime, mediante il potere sovrumano dell’orecchio divino, ascoltò ciò che stavano dicendo i monaci. Alzatosi dal suo posto, si recò nel padiglione di Kareri, dove si sedette al posto preparato, poi disse: “Monaci, qual era la vostra conversazione? Quale discussione ho interrotto?" E i monaci gli raccontarono tutto.
1.3. Allora, monaci, volete ascoltare un discorso appropriato sulle
vite precedenti?”
“Signore, è tempo di ascoltare! Sugata, è tempo di ascoltare! Se il
Signore deve dare un discorso sulle vite precedenti, i monaci lo
ascolteranno e lo ricorderanno!”
“Bene, monaci, allora fate attenzione. Vado a parlare.”
“Sì, Signore.” – risposero i monaci, e il Sublime disse:
1.4. “Monaci, 91 eoni fa il Beato, l’Arahat, il perfetto perfettamente illuminato Buddha Vipassi discese al mondo. 31 eoni fa, discese il Signore Buddha Sikhi; nello stesso 31.mo eone discese al mondo anche il Signore Buddha Vessabhu. E nell’attuale fortunato eone sono discesi al mondo i Buddha Kakusandha, Konagamana e Kassapa. Ed anch’io, monaci, sono disceso al mondo come Buddha in questo fortunato eone.
1.5. Il Signore Buddha Vipassi nacque nella casta dei Khattiya, in una famiglia dei Khattiya; lo stesso il Signore Buddha Sikhi; similmente il Signore Buddha Vessabhu; il Signore Buddha Kakusandha nella casta dei Bramani, in una famiglia di bramani; lo stesso il Signore Buddha Konagamana; similmente il Signore Buddha Kassapa; ed io, monaci, che adesso sono un Arahat ed un Buddha sono nato nella casta dei Khattiya, in una famiglia dei Khattiya.
1.6. Il Signore Buddha Vipassi era del clan dei Kondanna; lo stesso il Signore Buddha Sikhi; lo stesso il Signore Buddha Vessabhu; il Signore Buddha Kakusandha era del clan dei Kassapa; lo stesso il Signore Buddha Konagamana; lo stesso il Signore Buddha Kassapa; mentre io, Arahat e Perfetto Svegliato, sono del clan dei Gotama.
1.7. All’epoca del Signore Buddha Vipassi la durata di vita era di 80.000 anni; al tempo del Signore Buddha Sikhi 70.000 anni; al tempo del Signore Buddha Vessabhu 60.000 anni; al tempo del Signore Buddha Kakusandha 40.000 anni; al tempo del Signore Buddha Konagamana 30.000 anni; al tempo del Signore Buddha Kassapa era di 20.000 anni. In questa mia epoca la vita è molto breve; raramente si arriva a 100 anni.
1.8. Il Signore Buddha Vipassi raggiunse la sua Illuminazione ai piedi di un crisantemo; il Signore Buddha Sikhi ai piedi di un mango; il Signore Buddha Vessabhu ai piedi di un Sal; il Signore Buddha Kakusandha ai piedi di un acacia; il Signore Buddha Konagamana ai piedi di un ficus; il Signore Buddha Kassapa ai piedi di un fico del Banian; ed io ho raggiunto la completa illuminazione ai piedi di un Assattha (ficus religiosa).
1.9. Il Signore Buddha Vipassi aveva due nobili discepoli, Khanda e Tissa; il Signore Buddha Sikhi Abhibhu e Sambhava; il Signore Buddha Vessabhu Sona ed Uttara; il Signore Buddha Kakusandha Vidhura e Sanijva; il Signore Buddha Konagamana aveva Bhiyyosa e Uttara; il Signore Buddha Kassapa Tissa e Bharadvaja; i miei due nobili discepoli sono Sariputta e Moggallana.
1.10. Il Signore Buddha Vipassi aveva tre comunità di discepoli: una di 6.800.000, un’altra di 100.000, ed un’altra di 80.000 monaci, e di queste tre comunità tutti erano Arahat; il Signore Buddha Sikhi aveva tre comunità di discepoli: una di 100.000, un’altra di 80.000, ed un’altra di 70.000 monaci – tutti Arahat; il Signore Buddha Vessabhu aveva tre comunità: una di 80.000, un’altra di 70.000, ed un’altra di 60.000 monaci, tutti Arahat; il Signore Buddha Kakusandha aveva una sola comunità di 40.000 monaci – tutti Arahat; il Signore Buddha Konagamana una sola comunità di 30.000 monaci – tutti Arahat; il Signore Buddha Kassapa aveva una sola comunità di 20.000 monaci – tutti Arahat; io, monaci, ho una sola comunità di 1000 discepoli e 250 monaci, e questi ultimi sono tutti Arahat.
1.11. Il monaco Asoka era l’assistente personale del Signore Buddha Vipassi; Khemankara era l’assistente personale del Signore Buddha Sikhi; Upasannaka era del Signore Buddha Vessabhu; Vuddhija del Signore Buddha Kakusandha; Sotthija del Signore Buddha Konagamana; Sabbamitta del Signore Buddha Kassapa; mentre il mio assistente personale è Ananda.
1.12. Il padre del Signore Buddha Vipassi era il Re Bandhuma, sua madre
la regina Bandhumati e la capitale del regno era Bandhumati.Il padre del
Signore Buddha Sikhi era il Re Aruna, sua madre la regina Pabhavati, la
capitale Arunavati. Il padre del Signore Buddha Vessabhu era il Re
Suppatita, sua madre la regina Yasavati, la capitale Anopama. Il padre
del Signore Buddha Kakusandha era il Bramano Aggidatta, sua madre
Visakha. Il re di quel tempo era Khema, la capitale Khemavati. Il padre
del Signore Buddha Konagamana era il Bramano Yannadatta, sua madre
Uttara. Il re di quel tempo era Sobha, la capitale Sobhavati. Il padre
del Signore Buddha Kassapa era il Bramano Brahmadatta, sua madre
Dhanavati. Il re di quel tempo era Kiki, la capitale Caranasi. Ora,
monaci, mio padre è il re Suddhodana, mia madre la regina Maya, e la
capitale del regno è Kapilavatthu.”
Così parlò il Sublime, poi si alzò dal suo posto per tornare nella sua
dimora.
1.13. Poco dopo che il Sublime si era allontanato, un’altra discussione
nacque fra i monaci.
“E’ straordinario amici, è meraviglioso, il grande potere e la grande
visione del Tathagata – ha rievocato i Buddha del passato che hanno
raggiunto il Parinibbana, dopo aver reciso ogni ostacolo, la fonte della
brama, posto fine alla ruota del divenire, superato ogni sofferenza. Ha
descritto la loro nascita, il loro nome, la loro casta, la durata della
vita, i discepoli e le comunità a loro legate: ‘Essendo nati in questo
modo, questi Buddha così si chiamavano, questi erano i loro nomi, la
loro casta, la loro disciplina, il loro Dhamma, la loro saggezza, la
loro liberazione.’ Ora, amici, come ha fatto il Tathagata, mediante la
penetrante conoscenza, a ricordare che: ‘Essendo nati in questo modo,
questi Buddha così si chiamavano, questi erano i loro nomi, la loro
casta, la loro disciplina, il loro Dhamma, la loro saggezza, la loro
liberazione?’ Quale divinità gli ha rivelato questa conoscenza?”
Questa era la conversazione di questi monaci, di lì a poco interrotta.
1.14. Quindi il Sublime, dopo aver lasciato la sua quotidiana
meditazione, si recò nel padiglione e si sedette al posto preparato. Poi
disse:
“Monaci, qual era la vostra conversazione? Quale discussione ho
interrotto?” I monaci gli riferirono tutto.
1.15. “Il Tathagata comprende queste cose mediante la propria visione
profonda del Dhamma; anche i deva così hanno detto. Bene, monaci, volete
ascoltare altri particolari sulle vite precedenti?”
“Signore, è tempo di ascoltare! Sugata, è tempo di ascoltare! Se il
Signore deve dare un discorso sulle vite precedenti, i monaci lo
ascolteranno e lo ricorderanno!”
“Allora, monaci, ascoltate con attenzione. Vado a parlare.”
“Sì, Signore.” – risposero i monaci, e il Sublime così disse:
1.16. “Monaci, 91 eoni fa il Perfetto, l’Arahat, il Buddha Vipassi discese al mondo. Nacque nella casta dei Khattiya, in una famiglia dei Khattiya. Faceva parte del clan dei Kondanna. La durata della sua vita era di 80.000 anni. Raggiunse la completa illuminazione ai piedi di un crisantemo. Aveva due nobili discepoli Khanda e Tissa come suoi principali discepoli. Aveva tre comunità di discepoli: una di 6.800.000, un’altra di 100.000, ed un’altra di 80.000 monaci, tutti Arahat. Il suo assistente personale era il monaco Asoka. Suo padre era il Re Bandhuma, sua madre la regina Bandhumati. La capitale del regno era Bandhumati.
1.17. E così, monaci, il Bodhisatta Vipassi discese dal paradiso dei
Tusita, attento e mentalmente presente, ed entrò nel grembo di sua
madre. Così è di regola, monaci.
Monaci, quando un Bodhisatta discende dal paradiso Tusita nel grembo
materno, l’universo intero – il mondo degli dei, di Mara e di Brahma, il
mondo degli asceti e dei bramani, dei re e delle genti – è pervaso da
uno splendido ed infinito bagliore, superiore alla luce degli dei più
potenti. Ed ogni mondo immerso nelle tenebre dell’intero universo, oltre
la fine dei mondi, non raggiunto dalla luce dei soli e delle lune, viene
illuminato da questo infinito e splendido bagliore, superiore alla luce
degli dei più potenti. E gli esseri che dimorano in quei mondi oscurati
si trovano mirabilmente illuminati da questo bagliore, riconoscendosi
l’un l’altro, comprendendo che: ‘Anche altri esseri sono rinati in
questo mondo!’ e tremano, si scuotono e tremano i diecimila mondi
dell’universo. Questa è una regola immutabile.
Quando un Bodhisatta entra nel grembo materno, quattro divinità lo
proteggono da tutte le direzioni dello spazio cosmico, dicendo: “Nessun
essere, sia umano sia non umano, o qualsiasi altra entità faccia del
male al Bodhisatta o alla madre del Bodhisatta!”. Questa è una regola
immutabile.
1.18. Quando un Bodhisatta entra nel grembo materno, sua madre per natura possiede la virtù, si astiene dall’uccidere, dal rubare, da una condotta sessuale illecita, dal mentire, da bevande e droghe che recano stordimento mentale. Questa è una regola immutabile.
1.19. Quando un Bodhisatta entra nel grembo materno, sua madre è lontana da qualsiasi pensiero sessuale verso un uomo, e non può essere lambita da nessun uomo con pensieri impuri. Questa è una regola immutabile.
1.20. Quando un Bodhisatta entra nel grembo materno, sua madre gioisce dei quintuplici piaceri dei sensi, e di questi piaceri ella ne è colma e profondamente risollevata. Questa è una regola immutabile.
1.21. Quando un Bodhisatta entra nel grembo materno, sua madre non è turbata da nessun tipo di malattia, né da una qualsiasi debolezza fisica o dolore, ed è in grado di vedere formarsi il Bodhisatta nel suo grembo, completo di tutti i suoi arti e facoltà, proprio come un uomo dalla vista acuta riconoscerebbe un filo azzurro, rosso, giallo o bianco infilato in una pietra preziosa purissima, divisa in otto facce, tagliata da mano di maestro, limpida e senza difetti, perfetta in ogni dettaglio. Questa è una regola immutabile.
1.22. Sette giorni dopo la nascita di un Bodhisatta, la madre del Bodhisatta muore, per rinascere nel paradiso Tusita. Questa è una regola immutabile.
1.23. Mentre altre donne danno alla luce il loro figlio dopo averlo portato in grembo per nove o dieci mesi, la madre di un Bodhisatta partorisce soltanto dopo dieci mesi. Questa è una regola immutabile.
1.24. Mentre altre donne partoriscono in posizione seduta o sdraiata, la madre di un Bodhisatta partorisce in piedi. Questa è una regola immutabile.
1.25. Quando il Bodhisatta esce dal grembo materno, sono gli dei ad accoglierlo prima degli uomini. Questa è una regola immutabile.
1.26. Quando il Bodhisatta esce dal grembo materno, prima che tocchi terra, quattro deva lo accolgono e lo mostrano alla madre, dicendo: “Gioite, nostra regina, perché un possente figlio vi è nato!” Questa è una regola immutabile.
1.27. Quando il Bodhisatta esce dal grembo materno, viene al mondo senza macchia, pulito da ogni tipo di liquido, di muco, di sangue, o da altre impurità, immacolato e puro. Come una pietra preziosa posta su una mussolina del Kasi, la mussolina non macchia la pietra preziosa, né la pietra preziosa macchia la mussolina. Perché? Perché entrambe sono pure. Allo stesso modo, quando il Bodhisatta esce dal grembo materno, viene al mondo senza macchia, pulito da ogni tipo di liquido, di muco, di sangue, o da altre impurità, immacolato e puro. Questa è una regola immutabile.
1.28. Quando il Bodhisatta esce dal grembo materno, due cascate d’acqua, una con la proprietà del freddo, l’altra con la proprietà del caldo, fluiscono dal cielo, con cui ritualmente vengono lavati il Bodhisatta e la madre. Questa è una regola immutabile.
1.29. Quando il Bodhisatta è appena nato si alza in piedi e compie sette passi verso Nord, poi coperto da un bianco baldacchino scruta i quattro punti cardinali, e grida con voce di toro: “Sono il signore del mondo, il supremo del mondo. Questa è la mia ultima nascita, non ci saranno altre esistenze.” Questa è una regola immutabile.
1.30. Quando il Bodhisatta esce dal grembo materno, brilla in questo mondo – il mondo degli dei, di Mara e di Brahma, il mondo degli asceti e dei bramani, dei re e delle genti – una infinita, splendida luce, superiore a quella degli dei più potenti. Questa è una regola immutabile.
1.31. Monaci, appena nato il principe Vipassi, fu mostrato al re
Bandhuma:
“Vostra Maestà, un figlio vi è nato. Degnatevi, sire, di ammirarlo. Il
re guarda il principe, e poi ordina ai Bramani di controllare se
possiede i segni caratteristici:
“Esaminate se il principe possiede i segni caratteristici, signori
venerabili.”
Dopo aver esaminato il principe i Bramani dissero al re Bandhuma:
“Sire, gioite, un possente figlio vi è nato. E’ una fortuna per voi
sire, è una ricchezza per voi sire, che un simile figlio sia nato nella
vostra famiglia. Sire, questo principe porta i 32 segni caratteristici
di un grande uomo. E di fronte a chi di questi segni è dotato si aprono
due vie, che escludono tutte le altre. Se vive la vita di famiglia
diverrà un regnante, un retto monarca della legge della ruota che gira,
conquistatore dei quattro trimestri, stabilendo la sicurezza del suo
reame e possedendo i sette tesori. Questi sono: il tesoro della Ruota,
il tesoro dell'Elefante, il tesoro del Cavallo, il tesoro del Gioiello,
il tesoro della Donna, il tesoro del Capofamiglia e, come settimo, il
tesoro del Consigliere. Avrà più di mille figli, destinati a diventare
eroi e vincitori degli eserciti ostili. Conquisterà questa terra senza
usare nè bastone nè spada, solo con la legge. Ma se lascia la vita di
famiglia per l'ascetismo, allora diverrà un Arahat, un Buddha pienamente
illuminato, colui che toglierà di nuovo il velo dal mondo.
1.32. E quali sono questi 32 segni caratteristici di un grande uomo?
(1) Pianta dei piedi ben fatta.
(2) Disegno di una ruota con mille raggi sulle piante dei piedi.
(3) Talloni ben formati.
(4) Lunghe dita sottili.
(5) Mani morbide e vellutate, così i piedi.
(6) Arti flessibili.
(7) Caviglie affusolate.
(8) Gambe sottili come quelle di un’antilope.
(9) Braccia che arrivano alle ginocchia.
(10) Pene ricoperto da una guaina.
(11) Carnagione color oro.
(12) Pelle delicata e levigata tanto che nessun pulviscolo può
attaccarsi.
(13) Peli separati, ognuno nel suo poro.
(14) Peli con punta arricciata e di colore blu scuro come il collirio
con il ricciolo rivolto verso destra.
(15) Corpo che irradia una luce divina.
(16) Sette protuberanze che sporgono dalla fronte.
(17) Corpo maestoso come quello di un leone.
(18) Spalle ben formate.
(19) Corpo proporzionato come un fico baniano ed apertura delle braccia
uguale alla lunghezza del corpo.
(20) Busto armoniosamente arrotondato.
(21) Molto sviluppato il senso del gusto.
(22) Mascelle forti come quelle di un leone.
(23) Quaranta denti.
(24) Denti tutti perfetti.
(25) Denti privi di spazio tra loro.
(26) Denti bianchi.
(27) Lingua ampia.
(28) Voce meravigliosa e divina simile al canto dell’uccello karavika.
(29) Occhi di colore blu intenso.
(30) Ciglia come quelle di un toro.
(31) Bianco ciuffo di peli luminoso tra le sopracciglia.
(32) Capo simile ad un turbante di re.
1.33. Sire, questo principe porta i 32 segni caratteristici di un
grande uomo. E di fronte a chi di questi segni è dotato si aprono due
vie, che escludono tutte le altre. Se vive la vita di famiglia diverrà
un regnante, un retto monarca della legge della ruota che gira,
conquistatore dei quattro trimestri, stabilendo la sicurezza del suo
reame e possedendo i sette tesori. Questi sono: il tesoro della Ruota,
il tesoro dell'Elefante, il tesoro del Cavallo, il tesoro del Gioiello,
il tesoro della Donna, il tesoro del Capofamiglia e, come settimo, il
tesoro del Consigliere. Avrà più di mille figli, destinati a diventare
eroi e vincitori degli eserciti ostili. Conquisterà questa terra senza
usare nè bastone nè spada, solo con la legge. Ma se lascia la vita di
famiglia per l'ascetismo, allora diverrà un Arahat, un Buddha pienamente
illuminato, colui che toglierà di nuovo il velo dal mondo.
Allora il Re Bandhuma fece dare ai Bramani dei vestiti nuovi e soddisfò
ogni loro desiderio.
1.34. Poi il Re Bandhuma diede delle nutrici al Principe Vipassi. Alcune lo allattavano, altre lo lavavano, altre ancora lo portavano in braccio, ed altre ancora si prendevano cura di lui. Un bianco baldacchino stava sopra di lui notte e giorno, così non pativa mai il freddo o il caldo, né poteva essere sporcato da polvere o da altro. Inoltre il Principe Vipassi era molto amato dal popolo. Proprio come si ama un loto bianco, o blu, o giallo, così era amato il Principe Vipassi. E così cresceva il principe, e tutti con sé volevano averlo.
1.35. Il Principe Vipassi aveva una soave voce, una voce adorabile, affascinante e seducente. Simile al canto dolce, seducente ed affascinante dell’uccello Karavika dell’Himalaya.
1.36. Grazie al buon kamma accumulato, il Principe Vipassi possedeva l’occhio divino, con cui era in grado di vedere nitidamente fino ad una lega di distanza, giorno e notte.
1.37. Il Principe Vipassi poteva prevedere il futuro, come i deva Trentratrè. Per questo motivo fu chiamato Vipassi (grande veggente). Quando il Re Bandhuma doveva prendere una decisione, teneva il principe sulle ginocchia, e a lui comunicava la legge che al caso poteva applicarsi; finchè il principe, sempre sulle ginocchia del padre, pronunciava con la sua bocca la giusta sentenza. Ed anche per questa ragione che fu chiamato Vipassi.
1.38. Poi il Re Bandhuma fece costruire tre palazzi per il Principe Vipassi, uno per la stagione delle piogge, uno per la stagione fredda, ed uno per la stagione calda, forniti di tutto ciò che poteva deliziare i cinque sensi. Nel palazzo destinato alla stagione delle piogge il Principe Vipassi soggiornava quattro mesi durante quella stagione, servito e circondato da donne esperte nella musica; e mai lasciava il suo palazzo.
[Fine della sezione dedicata alla nascita]
2.1. Poi, monaci, dopo molti anni, migliaia di anni, il Principe
Vipassi disse al suo cocchiere: “Prepara i carri, cocchiere. Andremo a
passeggiare nel parco.” Così fece il cocchiere, poi disse al principe:
“ Sua Altezza Reale i carri sono pronti, è tempo di soddisfare i vostri
desideri.” Così il Principe Vipassi montò sul carro e si diresse verso
il parco.
2.2. Lungo il cammino verso il parco, il Principe Vipassi vide un
vecchio, curvo come la trave di un tetto, decrepito, appoggiato ad un
bastone, tremante e barcollante, triste per la perduta giovinezza. A
quella vista chiese al cocchiere: “Cos’è successo a quell’uomo,
cocchiere? Perché il suo corpo ed i suoi capelli non sono come il corpo
ed i capelli degli altri uomini?”
“Principe, quell’uomo è ciò che si chiama un vecchio.”
“Ma perché lo si chiama vecchio?”
“Lo si chiama vecchio, principe, perché non gli resta molto da vivere.”
“Anch’io sarò come lui? O sarò libero da vecchiaia?”
“Sia io che voi, principe, diventeremo vecchi, perché non siamo liberi
da vecchiaia.”
“Bene, ne ho abbastanza. Volta i cavalli, cocchiere, e torna in fretta a
palazzo.”
“Bene, Principe.” – rispose il cocchiere, e condusse il Principe a
palazzo.
Lì giunto, il Principe Vipassi fu preso da angoscia e disperazione:
“Mortificazione è essere soggetto alla nascita, perché da essa deriva la
vecchiaia.”
2.3. A questo punto il re fece chiamare il cocchiere e gli disse: “Si è
divertito il Principe alla passeggiata nel parco? E’ stato felice?”
“Maestà, il Principe non si è divertito, non è stato felice.”
“Cosa ha visto?”
Il cocchiere riferì ogni cosa al re.
2.4. Allora il Re Bandhuma pensò: “Il Principe Vipassi non deve rinunciare al trono, non deve lasciare la vita mondana per seguire la vita errante degli asceti. I presagi dei Bramani non devono diventare realtà!” Così il re adottò ogni misura per soddisfare ancora di più i piaceri dei sensi del Principe Vipassi, per allontanarlo fortemente dall’idea della vita ascetica. Così il Principe continuò a vivere tra quei piaceri dei sensi.
2.5. Dopo molti anni, migliaia di anni, il Principe Vipassi disse al suo cocchiere: “Prepara i carri, cocchiere. Andremo a passeggiare nel parco.” Così fece il cocchiere, poi disse al principe: “ Sua Altezza Reale i carri sono pronti, è tempo di soddisfare i vostri desideri.” Così il Principe Vipassi montò sul carro e si diresse verso il parco.
2.6. Lungo il cammino verso il parco, il Principe Vipassi vide un uomo
colpito da malattia, sofferente, debole, debilitato, coperto d’urina e
di escrementi. A quella vista chiese al cocchiere: “Cosa è successo a
quell’uomo? Perché i suoi occhi e la sua voce sono diversi da quelli
degli altri?”
“Principe, quell’uomo lo si chiama malato.”
“Perché lo si chiama malato?”
“Lo si chiama malato perché è stato colpito da malattia e difficilmente
riacquisterà la sua salute.”
“Solo a lui è capitata questa disgrazia?”
“No, Principe. Comune a tutti è questa disgrazia. Io come voi siamo
esposti a malattia, e nessuno ne è immune.”
“Bene, ne ho abbastanza. Volta i cavalli, cocchiere, e torna in fretta a
palazzo.”
“Bene, Principe.” – rispose il cocchiere, e condusse il Principe a
palazzo.
Lì giunto, il Principe Vipassi fu preso da angoscia e disperazione:
“Mortificazione è essere soggetto alla nascita, perché da essa deriva la
malattia.”
2.7. A questo punto il re fece chiamare il cocchiere e gli disse: “Si
è divertito il Principe alla passeggiata nel parco? E’ stato felice?”
“Maestà, il Principe non si è divertito, non è stato felice.”
“Cosa ha visto?”
Il cocchiere riferì ogni cosa al re.
2.8. Allora il Re Bandhuma pensò: “Il Principe Vipassi non deve rinunciare al trono, non deve lasciare la vita mondana per seguire la vita errante degli asceti. I presagi dei Bramani non devono diventare realtà!” Così il re adottò ogni misura per soddisfare ancora di più i piaceri dei sensi del Principe Vipassi, per allontanarlo fortemente dall’idea della vita ascetica. Così il Principe continuò a vivere tra quei piaceri dei sensi.
2.9. Dopo molti anni, migliaia di anni, il Principe Vipassi disse al suo cocchiere: “Prepara i carri, cocchiere. Andremo a passeggiare nel parco.” Così fece il cocchiere, poi disse al principe: “ Sua Altezza Reale i carri sono pronti, è tempo di soddisfare i vostri desideri.” Così il Principe Vipassi montò sul carro e si diresse verso il parco.
2.10. Lungo il cammino verso il parco, il Principe vide una moltitudine
di persone dagli abiti variopinti, occupati a costruire una pira. A
quella vista chiese al cocchiere: “Cosa fanno tutte quelle persone?”
“Costruiscono una pira per qualcuno che è morto.”
“Portami vicino alla persona morta.”
“Va bene, Principe.” – disse il cocchiere, e così fece. Il Principe
Vipassi fissò attentamente il cadavere di quell’uomo. Poi chiese al
cocchiere: “Perché lo si chiama morto?”
“Principe, lo si chiama morto perché i suoi genitori ed altri parenti
non potranno più vederlo, né egli più vedrà loro.”
“Anch’io sono soggetto alla morte? O sono libero dalla morte?”
“Voi, Principe, siete soggetto alla morte come lo sono io. Nessuno è
libero dalla morte.”
“Bene, ne ho abbastanza. Volta i cavalli, cocchiere, e torna in fretta a
palazzo.”
“Bene, Principe.” – rispose il cocchiere, e condusse il Principe a
palazzo.
Lì giunto, il Principe Vipassi fu preso da angoscia e disperazione:
“Mortificazione è essere soggetto alla nascita, perché da essa deriva la
morte.”
2.11. A questo punto il re fece chiamare il cocchiere e gli disse: “Si
è divertito il Principe alla passeggiata nel parco? E’ stato felice?”
“Maestà, il Principe non si è divertito, non è stato felice.”
“Cosa ha visto?”
Il cocchiere riferì ogni cosa al re.
2.12. Allora il Re Bandhuma pensò: “Il Principe Vipassi non deve rinunciare al trono, non deve lasciare la vita mondana per seguire la vita errante degli asceti. I presagi dei Bramani non devono diventare realtà!” Così il re adottò ogni misura per soddisfare ancora di più i piaceri dei sensi del Principe Vipassi, per allontanarlo fortemente dall’idea della vita ascetica. Così il Principe continuò a vivere tra quei piaceri dei sensi.
2.13. Dopo molti anni, migliaia di anni, il Principe Vipassi disse al suo cocchiere: “Prepara i carri, cocchiere. Andremo a passeggiare nel parco.” Così fece il cocchiere, poi disse al principe: “ Sua Altezza Reale i carri sono pronti, è tempo di soddisfare i vostri desideri.” Così il Principe Vipassi montò sul carro e si diresse verso il parco.
2.14. Lungo il cammino verso il parco, il Principe Vipassi vide un uomo
dal capo rasato, un asceta che indossava una veste gialla. Allora chiese
al cocchiere: “Cosa è successo a quell’uomo? Perché il suo capo non è
simile a quello degli altri uomini, così le sue vesti?”
“Principe, quell’uomo lo si chiama un asceta.”
“Perché lo si chiama un asceta?”
“Principe, lo si chiama asceta perché ha intrapreso l’ascetismo e
rettamente segue il Dhamma, perché vive in pace, si dedica alle buone
azioni, rende meritoria la propria condotta, mostra benevolenza e
compassione per tutti gli esseri viventi.”
“Cocchiere, lo si chiama asceta chi intraprende l’ascetismo, chi segue
rettamente il Dhamma, chi vive in pace, chi si dedica alle buone azioni,
chi rende meritoria la propria condotta,chi mostra benevolenza e
compassione per tutti gli esseri viventi. Conducimi da lui.”
“Bene Principe.”- disse il cocchiere, e così fece. E il Principe Vipassi
pose alcune domande all’uomo che aveva intrapreso l’ascetismo.
“Principe, io sono colui che ha lasciato la casa per seguire rettamente
il Dhamma, per vivere la vita santa, per dedicarmi alle buone azioni … e
provo compassione per tutti gli esseri viventi.”
“Veramente uomo superiore sei tu che tutti chiamano un asceta, che
lasciato la casa … “
2.15. Il Principe Vipassi disse al cocchiere: “Volta i cavalli e torna
a Palazzo. Io invece, vado subito a tagliarmi capelli e barba, ad
indossare la veste gialla ed a lasciare la casa per intraprendere
l’ascetismo.”
“Bene, Principe.” – disse il cocchiere, e tornò a Palazzo. E il Principe
Vipassi, tagliati capelli e barba ed indossato la veste gialla, lasciò
la casa per l’ascetismo.
2.16. E una folla numerosa dalla capitale, Bandhumati, circa 84.000
persone, vennero a sapere che il Principe Vipassi aveva lasciato la casa
per l’ascetismo. E pensarono: “Non è sicuramente una comune dottrina e
disciplina, che ha spinto il Principe Vipassi a tagliare capelli e
barba, ad indossare la veste gialla e a lasciare la casa per
l’ascetismo. Se lo ha fatto il principe perché non noi?”
E così, monaci, una grande folla di circa 84.000 persone, dopo aver
tagliato capelli e barba ed indossato la veste gialla, seguirono il
Bodhisatta Vipassi nell’ascetismo. E il Bodhisatta andò per città e
villaggi da questa folla accompagnato.
2.17. Poi il Bodhisatta, ritiratosi in un luogo solitario, pensò: 'Non è conveniente per me vivere in mezzo a questa folla. Meglio vivere da solo, lontano dalla moltitudine.' Così poco tempo dopo lasciò la folla e dimorò in solitudine. Gli 84.000 mila seguaci presero una strada, ed il Bodhisattva un'altra.
2.18. Quindi, quando il Bodhisatta dimorava solitario, un pensiero gli
sovvenne: “Questo mondo è caduto in una condizione miserevole: vi è
nascita, vecchiaia e morte, per poi ricadere in una nuova rinascita.
Nessuno conosce il mezzo per sfuggire da questa sofferenza, da questa
vecchiaia e morte. Allora non esiste modo per distruggere questa
sofferenza, questa vecchiaia e questa morte?”
Poi, monaci, il Bodhisatta pensò: “Qual è la realtà che provoca
vecchiaia e morte? Quali condizioni provocano vecchiaia e morte?” E
allora, monaci, mediante una profonda saggezza nata in lui: “La nascita
è la realtà, la condizione che provoca vecchiaia e morte.”
Poi contemplò: “Quali condizioni provocano la nascita?” - e concluse:
“Il divenire provoca la condizione della nascita.” … “Quali condizioni
il divenire?” … “L’attaccamento …” … “Quali condizioni l’attaccamento?”
… “La brama …” … “Quali condizioni la brama?” … “La sensazione …” …
“Quali condizioni la sensazione?” … “Il contatto …” … “Quali condizioni
il contatto?” … “Le sei sfere sensorie …” … “Quali condizioni le sei
sfere sensorie?” … “Nome e forma …” … “Quali condizioni nome e forma?” …
“La coscienza …” … “Quali condizioni fanno esistere la coscienza?” – e
concluse: “Esiste la coscienza proprio in conseguenza dell’esistenza di
nome e forma. Causa della coscienza sono ancora nome e forma.”
2.19. Allora il Bodhisatta Vipassi pensò: “Questa coscienza deriva da nome e forma, ed è impossibile procedere oltre. Ed è proprio la successione di questi stati che determina la nascita, la vecchiaia e la morte e poi si rinasce: cioè nome e forma determinano la coscienza e la coscienza determina il nome e forma, i quali determinano le sei sfere sensorie, le quali determinano il contatto, il quale determina la sensazione, la quale determina la brama, la quale determina l’attaccamento, il quale determina il divenire, il quale determina la nascita, la quale determina la vecchiaia e la morte, la sofferenza, i lamenti, il dolore, le pene, l’angoscia e la disperazione. E così questa è l’origine di questo ammasso di sofferenza.” Meditò ancora: “Origine, origine.” , e si illuminò quella conoscenza, quella saggezza, quel discernimento mai realizzato prima.
2.20. Poi pensò: “Qual è la realtà che, quando non esiste, non fa
esistere nemmeno la vecchiaia e la morte? Con la cessazione di ciò che
provoca la vecchiaia e la morte cessano vecchiaia e morte?” Ed allora
mediante la profonda saggezza nata in lui, realizzò: “Senza nascita non
vi sono vecchiaia e morte. Con la cessazione della nascita cessano anche
vecchiaia e morte. … dalla cessazione del divenire deriva la cessazione
della nascita … dalla cessazione della brama deriva la cessazione
dell’attaccamento … dalla cessazione della sensazione deriva la
cessazione della brama … dalla cessazione del contatto deriva la
cessazione della sensazione … dalla cessazione delle sei sfere sensorie
deriva la cessazione del contatto …”
“Dalla cessazione di nome e forma deriva la cessazione delle sei sfere
sensorie … dalla cessazione della coscienza deriva la cessazione di nome
e forma … dalla cessazione di nome e forma deriva la cessazione della
coscienza.”
2.21. Poi il Bodhisatta Vipassi pensò: “Ho trovato il sentiero profondo
dell’illuminazione, e cioè:
con la cessazione di nome e forma cessa la coscienza; con la cessazione
della coscienza cessano nome e forma; con la cessazione di nome e forma
cessano le sei sfere sensorie; con la cessazione delle sei sfere
sensorie cessa il contatto; dalla cessazione del contatto cessa la
sensazione; con la cessazione della sensazione cessa la brama; con la
cessazione della brama cessa l’attaccamento; con la cessazione
dell’attaccamento cessa il divenire; con la cessazione del divenire
cessa la nascita; con la cessazione della nascita cessano vecchiaia,
morte, dolore, lamenti, pena, angoscia e sofferenza. In questo modo
cessa questa intera massa di sofferenza. Contemplando: “Cessazione,
cessazione.”, nacque nel Bodhisatta quella conoscenza, quella saggezza,
quel discernimento mai realizzato prima.
2.22. Quindi, monaci, un’altra volta il Bodhisatta Vipassi dimorò contemplando il sorgere e lo svanire dei cinque aggregati dell’attaccamento: “Ecco la forma, ecco l’apparire della forma, ed ecco lo svanire della forma; ecco la sensazione … ecco la percezione … ecco le formazioni mentali … ecco la coscienza … ecco il sorgere … ecco lo svanire.” E così rimase contemplando il sorgere e lo svanire ei cinque aggregati dell’attaccamento, con la mente libera da ogni impurità senza alcun residuo.
[Fine della seconda parte di recitazione]
3.1. Poi, monaci, il Beato, l’Arahat, il Buddha perfettamente illuminato Vipassi pensò: “E se dovessi insegnare il Dhamma?” Di nuovo pensò: “Questo Dhamma ho scoperto, profondo, difficile da vedere, difficile da capire, pacifico, eccelso, oltre ogni ragionamento, sottile, compreso solo dai saggi. Ma questa umanità trova diletto nell’aggrapparsi alle cose, gioisce e gode di questo attaccamento. Perciò per tutti costoro sarà difficile comprendere la natura condizionata dei fenomeni, o l’origine dipendente. E sarà più difficile comprendere l’acquietarsi di tutte le formazioni mentali, il distacco da ogni elemento base di rinascita, l’estinzione della brama, la cessazione del desiderio, l’annientamento ed il Nibbana. Se mi metterò ad insegnare ad altri questo Dhamma che pochi possono comprendere, sarà inutile e dispendioso.”
3.2. Quindi al Signore Buddha Vipassi si rivelarono spontaneamente questi versi, mai ascoltati prima:
“Ciò che ho scoperto, perché lo dovrei annunciare?
Non sarà mai compreso da una umanità colma di odio ed avidità.
E’ sottile, profondo questo Dhamma,
risale la corrente,
difficile da scorgere e da comprendere
dagli esseri accecati da odio e desiderio.”
Così, immerso nella meditazione, la mente del Signore Buddha Vipassi era incline a non insegnare il Dhamma. E, monaci, fu allora che un certo Grande Brahma comprese le intenzioni del Signore Buddha Vipassi . Costui pensò: “Perirà, ahimè, il mondo, e sarà distrutto perché la mente di Vipassi, il Beato, l’Arahat, il Pienamente Illuminato Buddha è incline a non insegnare il Dhamma!”
3.3. Così questo Grande Brahma, come un uomo robusto che in un attimo stende il suo braccio piegato e ripiega il suo braccio teso, scomparve dal mondo di Brahma e riapparve davanti al Signore Buddha Vipassi. Gettato il suo mantello su una spalla e posato dritto a terra il suo ginocchio, salutò il Signore Buddha Vipassi a mani giunte e disse: “Voglia il Beato insegnare il Dhamma, voglia il Perfetto insegnare il Dhamma! Ci sono degli esseri la cui vista è offuscata da un velo leggero di polvere, che non si salveranno se non potranno ascoltare il Dhamma: saranno loro a conoscere il Dhamma!”
3.4. Allora il Signore Buddha Vipassi spiegò: “Questo Dhamma ho scoperto, profondo, difficile da vedere, difficile da capire, pacifico, eccelso, oltre ogni ragionamento, sottile, compreso solo dai saggi. Ma questa umanità trova diletto nell’aggrapparsi alle cose, gioisce e gode di questo attaccamento. Perciò per tutti costoro sarà difficile comprendere la natura condizionata dei fenomeni, o l’origine dipendente. E sarà più difficile comprendere l’acquietarsi di tutte le formazioni mentali, il distacco da ogni elemento base di rinascita, l’estinzione della brama, la cessazione del desiderio, l’annientamento ed il Nibbana. Se mi metterò ad insegnare ad altri questo Dhamma che pochi possono comprendere, sarà inutile e dispendioso.”
3.5-6. Il Grande Brahma supplicò una seconda volta ed una terza il Signore Buddha Vipassi ad insegnare il Dhamma … allora il Signore Buddha Vipassi, riconoscendo la terza supplica di Brahma, mosso di compassione per l’umanità, gettò il suo sguardo sul mondo. Così vide degli esseri la cui vista era offuscata da un velo leggero di polvere ed altri con la vista completamente offuscata, esseri dallo spirito vivo oppure ottuso, di indole buona e cattiva, attenti e distratti ascoltatori, e alcuni di loro che vivono nella paura della vita futura e del peccato. Come in uno stagno di fiori di loto azzurro, rosso o bianco alcuni dei fiori nati e cresciuti nell’acqua non emergono e nell’acqua rimangono nascosti, mentre altri fiori, nati anch’essi e cresciuti nell’acqua, emergono in superficie, ed altri ancora, che sempre nati e cresciuti nell’acqua, emergono fuori dall’acqua senza bagnarsi, allo stesso modo, monaci, il Signore Buddha Vipassi gettò il suo sguardo sul mondo. Così vide degli esseri la cui vista era offuscata da un velo leggero di polvere ed altri con la vista completamente offuscata, esseri dallo spirito vivo oppure ottuso, di indole buona e cattiva, attenti e distratti ascoltatori, e alcuni di loro che vivono nella paura della vita futura e del peccato.
3.7. Quindi, comprendendo il pensiero del Signore Buddha Vipassi, a lui si rivolse con questi versi:
"Come un osservatore su una cima di montagna vede la gente al di sotto
così, il Grande Saggio, vede tutta l’umanità dall’alto del Dhamma!
Libero da dolore, osserva gli altri immersi nella sofferenza, oppressi
dalla nascita e dalla vecchiaia.
Alzati, eroe, vincitore in battaglia, guida dell’Umanità, attraversa il
mondo!
Insegna, O Signore, il Dhamma, e loro lo comprenderanno."
E il Signore Buddha Vipassi così replicò ai versi del Grande Brahma:
"Spalancata è la porta dell’Eternità!
Entri chi vuole ascoltare e chi ha fede.
Credevo inutile insegnare all’umanità
il Supremo Dhamma, Brahma!"
Allora il Grande Brahma comprese: “Il Signore Buddha Vipassi insegnerà il Dhamma. Ha accolto la mia supplica.” Così, dopo aver reso omaggio al Signore Buddha Vipassi, girò intorno a lui sulla destra, e scomparve.
3.8. Allora il Signore Buddha Vipassi pensò: “A chi per primo insegnerò il Dhamma? Chi lo comprenderà facilmente?” Poi ancora pensò: “Ci sono Khanda, il figlio del re e Tissa il figlio del bramano, che vivono nella capitale Bandhumati. Essi sono saggi, colti, istruiti, e da molto tempo i loro occhi sono coperti da un leggero velo di polvere. Se iniziassi da loro a insegnare il Dhamma, lo capirebbero facilmente.” Così il Signore Buddha Vipassi, come un uomo robusto che in un attimo stende il suo braccio piegato e ripiega il suo braccio teso, scomparve dai piedi dell’albero dove raggiunse l’illuminazione e riapparve nella capitale del regno Bandhumati, al parco del cervo di Khema.
3.9. Il Signore Buddha Vipassi disse al custode del parco: “Custode,
recati a Bandhumati e riferisci al principe Khanda e a Tissa il figlio
del bramano: “Miei signori, Vipassi il Beato, l’Arahat, il Buddha
pienamente illuminato è giunto a Bandhumati e risiede al Parco del Cervo
di Khema. Egli desidera vedervi.”
“Molto bene, Signore.” – rispose il custode, e andò a consegnare il
messaggio.
3.10. Quindi Khanda e Tissa, dopo aver preparato dei carri, si recarono al Parco del Cervo di Khema, alla periferia di Bandhumati. Poco lontano dal parco, fermarono i carri e proseguirono a piedi. Giunti sul posto, salutarono rispettosamente il Signore Buddha Vipassi e sedettero accanto.
3.11. Il Signore Buddha Vipassi pronunciò un insegnamento graduale sulla generosità, sulla moralità e sui mondi celesti, mostrando il pericolo, il declino e la corruzione del desiderio sensuale, e il beneficio della rinuncia. Poi quando il Signore Buddha Vipassi si rese conto che le menti di Khanda e Tissa erano pronte, plasmabili, libere dagli ostacoli, gioiose e quiete, enunciò brevemente un importante insegnamento: sulla sofferenza, sulla sua origine, sulla sua cessazione e sul sentiero. E una volta istruiti da questo discorso il principe Khanda e Tissa, il figlio del bramano, ottennero l’occhio puro del Dhamma e compresero che tutto ciò che ha un’origine è soggetto alla cessazione.
3.12. Così, dopo aver visto, raggiunto, fatto esperienza e penetrato il Dhamma, dopo aver dissolto ogni dubbio, aver acquisito la fede negli insegnamenti dottrinali, dissero: "Magnifico, Signore! Straordinario! Proprio come se si rivoltasse ciò che era capovolto, rivelare ciò che era nascosto, mostrare la via a chi si era smarrito, o recare una luce nell’oscurità in modo che chi ha occhi possa vedere le forme, allo stesso modo il Beato ha reso chiaro il Dhamma. Noi prendiamo rifugio nel Buddha e nel Dhamma. Vogliamo noi lasciare la casa per l’ascetismo e ricevere direttamente dal Beato l’ordinazione!"
3.13. Così il principe Khanda e Tissa, il figlio del bramano ricevettero l’ordinazione direttamente dal Signore Buddha Vipassi. Poi il Signore Buddha Vipassi li istruì con un insegnamento sul Dhamma, li ispirò, li esortò e li deliziò, mostrando loro il pericolo, il declino e la corruzione del desiderio sensuale, e il beneficio della rinuncia. Mediante l’esortazione, l’ispirazione e la gioia ricevute da questo insegnamento, le loro menti furono liberate da ogni impurità senza alcun residuo.
3.14. Intanto una grande folla di 84.000 persone di Bandhumati seppe che il Signore Buddha Vipassi soggiornava al Parco del Cervo di Khema, e che Khanda e Tissa avevano tagliato barba e capelli, indossato la veste gialla, e lasciato la casa per la vita errante dell’asceta. Quindi pensarono: “Non è sicuramente una comune dottrina e disciplina, che ha spinto il Principe Khanda e Tissa, il figlio del bramano, a tagliare capelli e barba, ad indossare la veste gialla e a lasciare la casa per l’ascetismo. E se loro hanno potuto ricevere questi insegnamenti direttamente dal Signore Buddha Vipassi, perché non noi?” Così questa grande folla di 84.000 persone lasciò Bandhumati per raggiungere il Parco del Cervo a Khema dove risiedeva il Signore Buddha Vipassi. Giunti da lui lo salutarono riverentemente per poi sedersi ad un lato.
3.15. Il Signore Buddha Vipassi pronunciò loro un insegnamento graduale sulla generosità, sulla moralità e sui mondi celesti, mostrando il pericolo, il declino e la corruzione del desiderio sensuale, e il beneficio della rinuncia. Poi quando il Signore Buddha Vipassi si rese conto che le menti di queste 84.000 persone erano pronte, plasmabili, libere dagli ostacoli, gioiose e quiete, enunciò brevemente un importante insegnamento: sulla sofferenza, sulla sua origine, sulla sua cessazione e sul sentiero. E una volta istruite da questo discorso queste 84.000 persone ottennero l’occhio puro del Dhamma e compresero che tutto ciò che ha un’origine è soggetto alla cessazione.
3.16. Così, dopo aver visto, raggiunto, fatto esperienza e penetrato il
Dhamma, dopo aver dissolto ogni dubbio, aver acquisito la fede negli
insegnamenti dottrinali, le 84.000 persone dissero:
"Magnifico, Signore! Straordinario! Proprio come se si rivoltasse ciò
che era capovolto, … Noi prendiamo rifugio nel Buddha e nel Dhamma.
Vogliamo noi lasciare la casa per l’ascetismo e ricevere direttamente
dal Beato l’ordinazione!"
3.17.- 21. (come i versi precedenti)
3.22. A quell’epoca si riunì una grande assemblea di 6.800.000 monaci nella capitale del regno. Durante il suo ritiro il Signore Buddha Vipassi pensò: “Si è riunita qui nella capitale questa grande assemblea di monaci. Supponiamo di dare loro il permesso, esortandoli: ‘ Errate monaci per il bene di molti, per la felicità di molti, colmi di compassione per il mondo, per il benessere e la gioia di esseri umani e divini. Insegnate il Dhamma, amabile all’inizio, nel mezzo ed alla fine, sia nella parola sia nello spirito, e mostrate la completa e perfetta vita santa. Ci sono esseri con un leggero velo di polvere sui loro occhi che periranno se non ascolteranno il Dhamma, e diventeranno conoscitori del Dhamma. Però, esattamente ogni sei anni dovete riunirvi nella capitale del regno di Bandhumati per recitare il codice della disciplina.
3.23. Poi un certo Grande Brahma, come un uomo robusto che in un attimo
stende il suo braccio piegato e ripiega il suo braccio teso, scomparve
dal mondo di Brahma e riapparve davanti al Signore Buddha Vipassi.
Gettato il suo mantello su una spalla e posato dritto a terra il suo
ginocchio, salutò il Signore Buddha Vipassi a mani giunte e disse:
“Proprio così, o Signore, proprio così, o Sugata! Voglia il Beato
permettere a questa grande assemblea di monaci di errare per il bene di
molti, per la felicità di molti, colmi di compassione per il mondo, per
il benessere … (come prima).
E noi faremo come i monaci: ogni sei anni ci riuniremo a Bandhumati per
recitare il codice della disciplina.
Dette queste parole, quel Brahma, dopo aver reso omaggio al Signore
Buddha Vipassi, girò intorno a lui sulla destra, e scomparve.
3.24.-25.-26. Così il Signore Buddha Vipassi, lasciato il suo ritiro,
parlò ai monaci in questo modo: “Monaci, vi permetto di errare per il
bene di molti, per la felicità di molti, colmi di compassione per il
mondo, per il benessere … (come prima).
Udite quelle parole la maggior parte di quei monaci iniziò ad errare per
il paese annunciando il Dhamma.
3.27. In quel tempo vi erano 84.000 monasteri a Jambudvipa. Alla fine del primo anno i deva annunciarono: signori, un anno è trascorso, ne rimangono altri cinque. Fra cinque anni bisogna riunirsi a Bandhumati per recitare il codice della disciplina. Analogamente alla fine del secondo, del terzo, del quarto e del quinto. Trascorsi sei anni i Deva annunciarono: “Signori, sono trascorsi esattamente sei anni, è tempo di riunirci a Bandhumati per recitare il codice della disciplina.” Lo stesso i monaci, chi in possesso di poteri psichici, chi con poteri divini, si riunirono tutto il giorno a Bandhumati per recitare il codice della disciplina.
3.28. Allora il Signore Buddha Vipassi diede a tutti i monaci riuniti i seguenti precetti:
“La paziente tolleranza è il sommo sacrificio.
Supremo è il Nibbana, così affermano i Buddha.
Non segue il sentiero chi danneggia gli altri,
né è un asceta chi fa del male al prossimo.
Non fare alcun male ma coltiva il bene,
per purificare la propria mente, questo è l’insegnamento del Buddha.
Non denigrare, non nuocere, sii compassionevole seguendo i precetti,
sii moderato nel cibo, dimora in solitudine,
lasciati istruire dall’eccelso pensiero, questo è l’insegnamento del
Buddha.”
3.29. Una volta, monaci, soggiornavo presso Ukkattha nel boschetto di
Subhaga ai piedi di un albero di Sal. Mentre meditavo mi sovvenne questo
pensiero: “Non esiste dimora che non abbia lungamente visitato come
quella dei deva delle Pure Dimore. E se andassi a farci visita?” Allora,
come un uomo robusto che in un attimo stende il suo braccio piegato e
ripiega il suo braccio teso, così lasciai Ukkattha per apparire fra i
deva Aviha. Molti di loro mi diedero il benvenuto, e poi si sedettero
accanto. Poi dissero: “Sublime, sono 91 eoni fa che il Buddha Vipassi è
apparso al mondo.
Il Signore Buddha Vipassi nacque nella casta dei Khattiya, in una
famiglia dei Khattoya; faceva parte del clan dei Kondanna; nella sua
epoca la durata della vita era di 80.000 anni; egli raggiunse la
completa illuminazione ai piedi di un ficus; aveva due nobili discepoli
Khanda e Tissa; aveva tre comunità di discepoli, una di 6.800.000,
un’altra di 100.000 ed un’altra di 80.000 monaci, tutti diventati
Arahat; il suo assistente personale era il monaco Asoka, suo padre era
il Re Bandhuma, sua madre la regina Bandhumati, e la capitale del regno
era Bandhumati. Il Signore Buddha Vipassi in questo modo divenne un
asceta, in questo modo lasciò la casa, in questo modo raggiunse la piena
illuminazione, in questo modo mise in moto la ruota del Dhamma.
E noi, Signore, che abbiamo vissuto la vita santa sotto la guida del
Signore Buddha Vipassi, dopo esserci liberati da ogni avidità, siamo
risorti in questo mondo celeste.”
3.30. Allo stesso modo molti deva si avvicinarono e dissero: “Signore,
in questo fortunato eone, ora è disceso al mondo il Signore Buddha; egli
è nato nella casta dei Khattiya, in una famiglia dei Khattiya; è del
clan dei Gotama; nella sua epoca la durata della vita è breve, al
massimo si arriva a 100 anni. Egli ha raggiunto la completa
illuminazione ai piedi di un Assattha: ha due nobili discepoli,
Sariputta e Moggallana; ha una comunità di 1000 discepoli e 250 monaci,
quest’ultimi tutti Arahat; il suo assistente personale è Ananda; suo
padre è il Re Suddhodana, sua madre la regina Maya, e la capitale del
regno è Kapilavatthu. In questo modo è diventato un asceta, in questo
modo ha lasciato la casa, in questo modo ha raggiunto la piena
illuminazione, in questo modo ha messo in moto la ruota del Dhamma. E
noi, Signore, che abbiamo vissuto la vita santa sotto la guida del
Beato, dopo esserci liberati da ogni avidità, siamo risorti in questo
mondo celeste.”
3.31.-32. Poi mi sono recato presso i deva Atappa, i deva Sudassa, i
deva Sudassi, e i deva Akanittha.
Altri deva si avvicinarono e dissero …. (come i versi 29-30).
3.33. Quindi, monaci, avendo penetrato i fondamenti del Dhamma, il
Tathagata ricorda i precedenti Buddha che hanno raggiunto il definitivo
Nibbana, reciso ogni molteplice, seguito il sentiero, estinto il ciclo
delle rinascite, eliminata ogni sofferenza; egli richiama le loro
nascite, i loro nomi, i loro clan, la loro durata di vita, i loro nobili
discepoli, le loro comunità di discepoli: “Così è stata la nascita, il
loro nome, il loro clan, la loro moralità, il loro Dhamma, la loro
saggezza, la loro dimora, la loro liberazione di questi Signori Beati.”
Così parlò il Sublime, e i monaci trovarono gioia e delizia alle sue parole.